martedì 13 Maggio 2025

La lunga battaglia per una legge completa contro la violenza di genere

“È un delitto commesso da chi usa in modo illecito la propria forza, la propria autorità o un mezzo di sopraffazione costringendo con atti, prevaricazione o minaccia (esplicita o implicita) a compiere o a subire atti sessuali contro la propria volontà”. È così che la giurisdizione definisce la violenza sessuale: un fenomeno diffuso in tutto il mondo, le cui dinamiche si perpetuano identiche a prescindere dalla cultura o dall’etnia di chi la pratica o subisce. Quello che spesso fa la differenza, invece, oltre all’esistenza di un sistema legislativo che tuteli le vittime, è che queste siano a conoscenza dei propri diritti: la violenza sessuale va denunciata e punita, eliminando quanto più possibile gli ostacoli che si interpongono tra queste due fasi e il raggiungimento della giustizia. Vanno per questo abbattuti tutti gli stereotipi di genere che in qualche modo possono rivelarsi dannosi, fomentando idee sbagliate sulla violenza sessuale (come la colpevolezza della vittima, il fatto che fosse vestita in un certo modo, ad esempio).

Come? Partiamo da uno strumento che sta alla base di tutte le società che possano reputarsi tali: la legge.

violenza contro le donne

INDONESIA, IL CASO PIÙ RECENTE

Uno dei casi più recenti riguarda l’Indonesia, che per la prima volta nella sua storia il 12 aprile ha approvato una legge contro la violenza sessuale. La normativa in questione, che ha impiegato dieci anni ad arrivare a far parte dell’ordinamento, punisce in tutto nove reati: molestie sessuali, contraccezione forzata, sterilizzazione forzata, matrimonio forzato, tortura sessuale, sfruttamento sessuale, schiavitù sessuale e violenza sessuale online. Uno dei pilastri chiave della normativa – e che rappresenta un cambiamento radicale – è che alla vittima sarà concesso denunciare presentando solo un elemento di prova della violenza subita (oltre alla loro testimonianza). Prima era invece necessario che ce ne fossero almeno due.

Inoltre, ci sono anche delle modifiche in merito al tipo di prova da poter presentare. Ad oggi, il tribunale reputa valida anche la perizia di uno psicologo o di un medico. “Cambierà anche il modo in cui le nostre forze dell’ordine trattano le vittime di casi di violenza sessuale” hanno ribadito gli attivisti, soprattutto perché la nuova legge impone alla polizia di indagare obbligatoriamente su ogni denuncia di abuso sessuale che gli viene presentata. Sarà inoltre vietata la giustizia riparativa, che prevedeva di risarcire la vittima con del denaro per evitare una qualche condanna.

Violenza donne

La Commissione nazionale sulla violenza contro le donne (in aggiunta ad altri gruppi di attivisti) aveva avanzato una proposta in questo senso già nel 2012, a cui è seguito un lungo periodo di stallo. La svolta decisiva è arrivata nel gennaio del 2022, quando il Presidente Joko Widodo ha spinto il proprio governo ad arrivare ad una normativa definitiva.

Perché sono passati 10 anni?

C’entra l’opposizione fatta dai partiti islamici conservatori, in particolare il Partito islamista per la giustizia prospera (PKS). Questi hanno bloccato la legislazione per più di cinque anni, principalmente per il riferimento che la legge avrebbe fatto al reato di schiavitù sessuale e agli abusi sessuali sia all’interno che all’esterno del matrimonio. Il PKS sosteneva che queste due clausole avrebbero potuto violare la legge islamica, “che impone alle mogli di essere obbedienti ai loro mariti nei rapporti familiari”.

Nel corso dell’iter di approvazione inoltre alcuni deputati conservatori avevano anche avanzato la proposta di aggiungere all’elenco il reato di “adulterio”, paragonando di fatto l’avere una relazione sessuale fuori dal matrimonio ad una violenza. Proposta scartata dalla maggior parte del Parlamento.

QUALI CONDANNE SONO PREVISTE

Un traguardo importante quello dell’approvazione della legge. Anche se gli attivisti – seppur soddisfatti – hanno contestato il fatto che nel regolamento non siano state incluse specifiche clausole per i reati di stupro e di aborto forzato, quello della violenza sessuale in Indonesia era un tema che andava affrontato, e con una certa urgenza.

Negli ultimi anni nel paese i casi di abusi sono aumentati considerevolmente, anche in virtù del fatto che non ci fosse un quadro normativo chiaro e delineato che stabilisse delle pene severe. E, tra l’altro, probabilmente i numeri e i dati a disposizione sono sottostimati, perché molte vittime hanno rinunciato a denunciare le violenze in mancanza di una legge che in seguito le tutelasse a dovere. Con l’attuale normativa, invece, chi è condannato per abusi sessuali (sia nei confronti della propria moglie o marito, sia nei confronti di persone non appartenenti al nucleo famigliare) rischia pene detentive fino a 12 anni. Per lo sfruttamento sessuale invece gli anni sono 15, 9 per i matrimoni forzati (e minorili) e 4 anni per circolazione di contenuti sessuali non consensuali.

STUPRO E VIOLENZA: LE LACUNE DELLA NORMATIVA MONDIALE

La risoluzione adottata in Indonesia non colma comunque i vuoti normativi presenti in tutto il resto del mondo. Anzi, riprendiamo per un attimo la definizione con cui abbiamo aperto l’articolo: “La violenza sessuale è un delitto commesso da chi usa in modo illecito la propria forza”. Nel testo c’è un chiaro e mirato riferimento alla forza, perché? In base ai dati del 2021, solo 12 Paesi europei su 31 definiscono lo stupro come sesso senza consenso. Si tratta di Austria, Regno Unito, Irlanda, Lussemburgo, Germania, Cipro, Belgio, Portogallo, Islanda, Svezia, Grecia e Danimarca. Per gli altri, uno stupro è tale solo se accompagnato da coercizione, forza per l’appunto. E l’Italia?

“In Italia il codice penale fa riferimento ad una definizione di stupro basata esclusivamente sull’uso della violenza, della forza, della minaccia di uso della forza o della coercizione. Senza alcun riferimento al principio del consenso, così come previsto dall’articolo 36 della Convenzione di Istanbul, ratificata dal nostro paese nel 2014”, riferisce Amnesty.

Significa che in Italia, in particolare, è ancora vivo il pregiudizio secondo cui la donna ha la responsabilità della violenza sessuale subita. E lo si evince anche dal nostro codice penale: l’articolo 609-bis prevede che il “reato di stupro” sia necessariamente collegato agli elementi della violenza, o della minaccia o dell’inganno, o dell’abuso di autorità.

Oltre al nostro Paese, la maggior parte delle nazioni punisce l’abuso sessuale solo quando c’è violenza fisica, minaccia o obbligo.

violenza

Amnesty ribadisce che una “legislazione imperfetta e una cultura pericolosa della colpa la vittima sta perpetuando l’impunità in tutta Europa”, e che è “inquietante che alcuni Paesi classifichino il sesso senza consenso come un’offesa separata e più lieve, poiché trasmettono alla popolazione un messaggio secondo cui ‘il vero stupro’ si verifica solo quando si usa violenza fisica”.

CHE FATICA DENUNCIARE UNA VIOLENZA

Una legislazione che si basa su un discrimine così forte e significativo (in senso negativo) spinge molte donne a non denunciare: cresce Infatti il timore di non essere credute, o di dover rivivere quei momenti con il solo scopo di ricercare in loro una colpa che in realtà non hanno, e mai avranno (perché della violenza è sempre colpevole chi la commette, non chi la subisce).

Rivolgersi alla giustizia spesso non fa altro che accrescere il dolore, che si mescola all’umiliazione di essere nuovamente vittime di una normativa lenta, vecchia, inadatta e contaminata da credenze popolari. Molte persone infatti pensano ancora che se la vittima è ubriaca o indossa una gonna corta allora “se l’è cercata” e per questo il reato non può essere incriminato come stupro. A questo proposito è diventato un caso di studio la vicenda di Rosa, ragazza di 18 anni che aveva accusato di violenza sessuale Carmine, un istruttore di guida di 45 anni. La Cassazione aveva annullato la condanna nei confronti dell’uomo perché la ragazza indossava dei jeans e – visto che a detta dei giudici si tratta di un indumento difficile da sfilare senza consenso – non poteva trattarsi di certo di violenza sessuale. Elementi a cui in alcuni casi si aggiunge quel dannosissimo retaggio culturale di cui parlavamo poco fa. In alcuni Paesi le leggi sullo stupro e le violenze sessuali fanno ancora riferimento e appartengono alla categoria di crimini legati all’onore o alla moralità: a Malta, ad esempio, le violenze sessuali rientrano nei “crimini che riguardano il buon ordine delle famiglie”.

Abuso sessuale

LA VIOLENZA SESSUALE NON È PUNITA COME DOVREBBE

Secondo un’indagine approfondita condotta dall’Agenzia europea dei diritti fondamentali – facente riferimento ai dati di fine 2014 – “una donna su 10 ha subito una qualche forma di violenza sessuale dall’età di 15 anni e una su 20 è stata vittima di stupro. Poco più di una donna su cinque è stata vittima di violenza fisica e/o sessuale inflitta dal partner attuale o precedente e poco più di una donna su 10 indica di aver subito una forma di violenza sessuale da parte di un adulto prima di aver compiuto 15 anni. Tuttavia solo il 14 % delle donne ha denunciato alla polizia l‘episodio più grave di violenza inflitta dal partner e il 13 % ha denunciato alla polizia il caso più grave di violenza inflitta da persone diverse dal partner”. E non dimentichiamo che le ragazze e i ragazzi con disabilità rischiano di subire violenze sessuali il triplo delle volte rispetto alle altre persone. Dati, che seppur allarmanti, non trovano riscontro in un intervento normativo “serio” dei governi.

Con un documento pubblicato nel 2021, le Nazioni Unite hanno riferito che nel mondo ci sono ancora 20 paesi che non puniscono in alcun modo gli stupratori se questi sposano le loro vittime. Tra questi ci sono Russia, Tailandia, Venezuela e Kuwait. Il più delle volte è difficile cambiare certi “rituali”, così consolidati nella cultura locale. Spesso questo accade solo in seguito a tragici eventi. È il caso del Marocco (seguito poi da Giordania, Palestina, Libano e Tunisia), che ha abrogato la normativa solo dopo il suicidio di una giovane donna obbligata a sposare il suo stupratore.

In un rapporto, il Fondo delle Nazioni Unite per la popolazione (UNFPA) ha ribadito che “43 paesi non hanno ancora una legislazione ben definita che criminalizzi lo stupro coniugale”. Nel documento si legge che il 45% delle donne, residente in 57 paesi, si vede ad esempio negato il diritto di dire sì o no al sesso con il proprio partner, “usare un metodo contraccettivo o rivolgersi all’assistenza sanitaria”. Accade soprattutto in Mali, Niger e Senegal, dove meno di una donna su 10 prende le proprie decisioni in merito all’assistenza sanitaria, alla contraccezione e al sesso con i propri partner. In sostanza, centinaia di milioni di donne e ragazze non possiedono alcun diritto sul proprio corpo.

“Le loro vite sono governate da altri”.

[di Gloria Ferrari]

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2 Commenti

  1. Concordo con il commento sopra del sig. William, e aggiungo che nella violenza di genere rientrano anche i casi in cui è la donna a usare violenza all’uomo. Per quanto possa sembrare incredibile ma le dinamiche sottostanti le violenze subite sono le stesse anche per gli uomini. Parlare di violenze sugli uomini da parte delle donne è molto impopolare ma è una realtà ugualmente drammatica e diffusa. Mi piacerebbe vedere un articolo più completo e fare davvero onore alla parola ‘giustizia’. grazie del vostro lavoro.

  2. In mezzo a tante situazioni nel mondo che sembrano incredibili per i nostri tempi, penso d’altra parte che sia molto difficile per un giudice stabilire la presenza o l’assenza di consenso in un atto sessuale sottoposto al suo giudizio; a meno di accettare il rischio che chi denuncia e sostiene che il consenso non ci fosse si veda attribuita la ragione a prescindere, e spetti alla parte denunciata dimostrare il contrario, creando così l’ingiustizia opposta a quella stigmatizzata nell’articolo.

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