Questo preziosissimo documentario di Alessandro Piva premiato al Festival di Venezia nel 2011 con la menzione speciale della Federazione Italiana Cineclub (FEDIC), in appena 52 minuti ci racconta o ancor meglio ci ricorda come nell’immediato dopo guerra, tra il 1946 e il 1952, nel clima di collaborazione delle forze antifasciste, l’Unione Donne Italiane (UDI) associazione femminista legata al Partito Comunista Italiano, vera promotrice ed organizzatrice di una grande iniziativa di rara umanità, riuscì, tramite un appello di adesione alle famiglie del centro-nord d’Italia, a far ospitare temporaneamente più di 100.000 bambini delle zone più colpite del meridione per toglierli dalla fame, dall’ assoluta povertà e salvaguardarli da tutti quei pericoli, compreso lo sfruttamento sessuale, che si creano nelle zone devastate dalla guerra, segnando cosi uno dei migliori esempi di unità e solidarietà della storia del nostro paese che al giorno d’oggi dovrebbe farci riflettere.
Con grande fiducia e speranza da parte delle famiglie del sud e con grande generosità da parte di quelle del nord ci fu un’adesione di massa al progetto e i bambini, un po’ impauriti, presero per la prima volta il treno verso un mondo sconosciuto e si trasferirono dal sud al nord. Fu così che questi due mondi vicini ma molto diversi, invece di scontrarsi, si unirono fortemente, giovando e permettendo a entrambi di vivere un esperienza che non avrebbero mai dimenticato, non solo dal punto di vista sociale e sentimentale ma anche dal punto di vista culturale, creando una crescita reciproca e legami forti a tal punto che alcuni bambini decisero, in accordo con le proprie famiglie, di rimanere con quelle ospitanti.
Il documentario, con rari reperti cine-giornalistici e fotografici, ci restituisce vivida l’epoca dei fatti ma soprattutto, con le interviste agli ospitanti e ai “bambini” ormai adulti e quelle fatte alle organizzatrici, alcune di loro in età molto avanzata, ci salvaguarda dalla perdita di una importante memoria storica e culturale. I protagonisti della vicenda raccontano la propria storia con la sottile commozione di chi ha vissuto una straordinaria esperienza.
Il regista Alessandro Piva viene a conoscenza casualmente dei fatti, se ne appassiona e grazie all’accurata ricerca fatta con i suoi collaboratori e con l’archivio storico dell’Istituto Luce, ci consegna una memoria di cui purtroppo non c’era quasi alcuna consapevolezza. Il titolo “pasta nera” simboleggia un estrema povertà e deriva dall’impasto scuro e di scadente qualità, ricavavo dai chicchi di grano che cadevano durante la trebbiatura e successivamente arsi insieme alle stoppie per fertilizzare il terreno. I chicchi raccolti, moliti e aggiunti alla poca farina bianca reperibile, creavano una macinatura color cenere dall’intenso odore di tostatura e impiegata per produrre pane e pasta.
[di Federico Mels Colloredo]