giovedì 26 Dicembre 2024

Libertà di stampa: l’Italia sprofonda al 58° posto nella classifica mondiale

È uscito il nuovo World Press Freedom Index – una classifica annuale che valuta lo stato del giornalismo e il suo grado di libertà in 180 paesi del mondo – e per l’Italia non ci sono buone notizie. Il nostro paese occupa attualmente la 58esima posizione, perdendo 17 posti rispetto al 2021 e al 2020 (quando invece era stabile alla 41esima posizione). L’Italia è stata superata anche da Gambia e Suriname. Nel report, realizzato grazie a interviste rilasciate dai cronisti in forma anonima, la principale novità rispetto agli anni scorsi è legata all’autocensura, ammessa da diversi giornalisti.

Un cambio di rotta che inverte una tendenza che a partire dal 2016 sembrava andare in positivo. Da quell’anno infatti la condizione del giornalismo in Italia aveva fatto un balzo avanti rispetto, ad esempio, a sei anni fa, quando il paese era 77esimo su 180. Il 2022, quindi, ha segnato una battuta d’arresto, dovuta a molteplici fattori.

Come accennato, uno dei fattori che ha particolarmente influenzato la discesa in graduatoria dell’Italia, è l’autocensura: “i giornalisti a volte cedono alla tentazione di autocensurarsi, o per conformarsi alla linea editoriale della propria testata giornalistica, o per evitare una denuncia per diffamazione o altre forme di azione legale, o per paura di rappresaglie da parte di gruppi estremisti o della criminalità organizzata”, si legge nel report.

Il rapporto punta il dito anche su “un certo grado di paralisi legislativa”, spiegando che questa stagnazione governativa sta “frenando l’adozione di vari progetti di legge”, che avrebbero invece l’obiettivo di tutelare l’attività giornalistica. Nello specifico, queste normative andrebbero a circoscrivere meglio il reato di diffamazione (che ad oggi è descritto nell’articolo 595 del codice penale e “si concreta nell’offesa all’altrui reputazione operata a mezzo della stampa) e ad alleggerire delle procedure burocratiche che rendono “più complesso e laborioso per i media nazionali accedere ai dati detenuti dallo stato”. Soprattutto durante e dopo la pandemia.

Rimanendo sull’argomento, il World Press Freedom Index si è espresso anche sulla situazione generata dall’arrivo del coronavirus, e che principalmente ha causato una grossa crisi economica in tutto il paese. Questa difficoltà si è tradotta spesso in una dipendenza dei media dal denaro e “dagli introiti pubblicitari e da eventuali sussidi statali, mentre anche la carta stampata sta affrontando un graduale calo delle vendite”.

Una pressione e intromissione statale che ha avuto modo di farsi notare anche nella “polarizzazione della società italiana durante la pandemia”. Da questo punto di vista il rapporto sottolinea i pur sparuti casi di “giornalisti oggetto di aggressioni verbali e fisiche perpetuate durante le proteste contro le misure adottate dalle autorità per combattere la pandemia”. Non si lega invece la denunciata autocensura dei giornalisti al clima di polarizzazione che è stato alimentato dai media stessi, dove non si può certo dire che le opinioni di minoranza siano state ospitate in modo degno, ma spesso stigmatizzate.

Andando oltre l’Italia, come se l’è cavata il resto del mondo?

La vetta della classifica stilata da “Reporter senza frontiere” vede la Norvegia al primo posto, seguita da Danimarca e Svezia. Anche la Germania, come l’Italia, perde alcune posizioni, scendendo dalla 13esima alla 16esima. Un balzo invece per il Regno Unito che passa dalla 33 alla 24. L’ultimo posto spetta invece alla Corea del Nord, preceduta da Eritrea e Iran. La Russia si piazza al 155esimo posto su 180.  

In generale, l’indice ha comunque rilevato che il 73% dei paesi considerati è caratterizzato da situazioni gravi o comunque problematiche per giornalismo e giornalisti. Solo 8 paesi (rispetto ai 12 dell’anno scorso) possono dirsi in una “buona situazione”.

[di Gloria Ferrari]

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