Centro di riabilitazione Daxin, periferia di Pechino. Qui, per 4 mesi, Shosh Shlam e Hilla Medalia produttrici e registe del documentario “Web junkie” (letteralmente drogati dal Web) hanno documentato come in Cina viene affrontato quello che ormai sta diventando, soprattutto fra i giovani, un vero e proprio problema sociale. Nel centro di Daxin, denominato “Base per lo sviluppo psicologico dell’adolescente”, di pertinenza dell’Ospedale Militare di Pechino, vengono accolti ragazzi e ragazze dai 13 ai 18 anni che abbiano sviluppato la così detta IAD (Internet addiction disorder). Ragazzi con una forte dipendenza che giocano al computer 15/18 ore al giorno, abbandonano gli studi, non mangiano, soffrono d’insonnia e travisano ogni aspetto della realtà incluso il rifiuto dell’igiene personale e i bisogni fisiologici, perdono gli amici e il contatto sociale creandosi una vita e amicizie virtuali che li rendono totalmente dipendenti da internet. Il centro aperto nel 2004 dallo psichiatra Tao Ran, colonnello dell’esercito, è organizzato sotto molti aspetti come una vera e propria base militare e si propone di ristabilire l’ordine mentale di questi giovani, disconnessi dalla realtà a causa dell’utilizzo intensivo e ossessivo di internet in tutte le sue forme e tale da creare una dipendenza psicologica paragonabile a quella dell’eroina.
Un documentario, di 75 minuti, presentato con successo al “Sundance Film Festival” 2014 e disponibile sulla piattaforma di Prime Video, indaga a tutto tondo su questa piaga sociale cercando sia di capire come i ragazzi sono arrivati fino a un punto di non ritorno sia sui metodi del centro che li accoglie e dove vige un regime da caserma. Si Indossano tute militari, si fa molto esercizio fisico, la mattina si presenzia sempre a terapie comportamentali e ogni disobbedienza è punita con la cella di rigore. Le rare visite dei genitori, fuori dai programmi stabiliti, avvengono solo attraverso un cancello in un clima inquietante, reso davvero squallido dalle grosse sbarre di ferro “ornate” da fiori e rampicanti di plastica. Ascoltando e seguendo nel quotidiano i sedicenni Xi Wang e Wang Yuchao e il quindicenne Gao Quance si intuisce in loro un confuso malessere che li porta a non voler affrontare la realtà e a nascondersi quindi in un altro mondo, quello virtuale. Costretti con la forza, talvolta con l’inganno, vengono portati nel Centro di Daxin da genitori spesso distaccati e indifferenti ai problemi adolescenziali o incapaci di gestire la situazione.
In Cina oltre 400 centri di riabilitazione operano seguendo il modello dettato da Tao Ran, che prevede anche esperimenti con test neurologici per determinare se esiste la predisposizione alla realtà virtuale che motivi la fuga dal mondo reale, ritenendoli dipendenti quando l’uso di internet va oltre le 6 ore al giorno. Metodi che appaiono discutibili, ma in piena sintonia con un tipo di mentalità molto diversa da quella occidentale. Quello che è interessante notare nel documentario è che le autrici hanno avuto l’autorizzazione di riprendere tutto quanto accade a Dixin e a interagire con i ragazzi in piena libertà, cosa quanto mai singolare in un Paese dove si opera la più rigida censura per quanto avviene al suo interno. Ma la Cina rivendica un primato che potrebbe avere effetti positivi e dimostrare l’efficienza del Governo, quello di essere «il primo paese ad aver iscritto la dipendenza da internet tra le malattie psichiatriche», rendendola il più grave disturbo che oggi affligge la popolazione più giovane, anche se la psicologa statunitense Kimberly Young, già nel 1998, avviando degli studi, aveva ipotizzato l’esistenza di disturbi mentali legati all’abuso di internet equiparandoli alla dipendenza da gioco d’azzardo patologico. “Web junkie” fa riflettere sul futuro di un pericoloso fenomeno sociale in continuo aumento che presto sarà, o forse lo è già un serio problema globale.
[di Federico Mels Colloredo]