Il presidente del Copasir, Adolfo Urso, ha annunciato che nelle prossime settimane verranno eseguite audizioni per indagare sulla disinformazione e la presunta propaganda russa nei media italiani. Il Comitato per la Sicurezza della Repubblica aveva già fatto il punto sulla guerra in Ucraina con Mario Draghi, il 5 aprile. Il 3 maggio era invece stato ascoltato il direttore dell’Aise (Agenzia informazioni e sicurezza esterna), Giovanni Caravelli. Adesso, per “approfondire l’ingerenza straniera”, mercoledì 11 maggio sarà la volta di Mario Parente, direttore dell’Aisi (Agenzia informazioni e sicurezza interna). Seguirà giovedì 12 l’amministratore delegato della Rai, Carlo Fuortes e, infine, il 18 maggio Giacomo Lasorella, presidente di Agcom (Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni). Lo scopo di ciò sarebbe “preservare la libertà e l’autonomia editoriale e informativa” dei canali di informazione, evitando qualsiasi “forma di condizionamento” in particolare per la guerra in Ucraina.
Intervistato da il Giornale, il presidente Urso ha garantito che il Copasir non avrebbe intenzione di fissare «regole» per fare informazione, e nemmeno di dare consigli. «Non interveniamo in alcun modo nei palinsesti e nelle libere scelte dei giornalisti. Il nostro compito è semmai esattamente il contrario: garantire che non ci siano interferenze esterne finalizzate a condizionare la nostra libera informazione». Tuttavia la notizia di un intervento da parte dell’organo parlamentare ha suscitato reazioni forti, specie da parte di giornalisti. Soprattutto perché la decisione è presa a stretto giro con gli annunci del Comitato di Vigilanza Rai, che invocava d’urgenza “un’audizione congiunta” proprio con il Copasir, per capire “se gli ospiti che amplificano alla Rai la propaganda del Cremlino si muovano come rappresentanti della stampa estera o come funzionari del governo di Putin”. Richiesta tra l’altro inedita nella storia della Repubblica Italiana, motivo per cui non sono pochi coloro che vedono all’orizzonte il rischio di un’intromissione indebita della politica nella sfera di competenza, autonomia e indipendenza dell’informazione. L’ultima presa di posizione in questo senso è quella di Massimo Giannini, che in diretta al programma televisivo Otto e Mezzo ha descritto come «ridicoli» Copasir e Vigilanza Rai: «La politica deve stare alla larga dall’informazione», ha ribadito.
Effettivamente è dalla politica che parte l’idea di un qualche intervento nell’informazione italiana. Era Andrea Romano, deputato del PD che, in una riunione notturna sui generis della Vigilanza, proponeva l’audizione col Copasir. Subito seguito da Michele Anzaldi di Italia Viva. All’origine della proposta “d’urgenza” vi era una puntata del programma televisivo Cartabianca. Troppa “filorussaggine” in quel programma: fra il prof. Orsini che parlava di uscita dalla Nato e la giornalista russa Nadana Fridrikhson, che in quanto russa fa per forza propaganda. O almeno questo è il “ragionamento” che va per la maggiore fra politici. Ma prima ancora era il presidente del Comitato stesso, il forzista Alberto Barachini, a uscirsene con la presentazione di un decalogo dei “talk show pollaio”.
La situazione ha suscitato l’intervento del presidente dell’Ordine dei Giornalisti, Carlo Bartoli. Presso l’agenzia di stampa Adnkronos ha dichiarato fermamente che uno dei punti cardine della professione giornalistica è proprio quello di poter decidere gli ospiti da invitare e intervistare. Non li decidono né il Copasir né la Commissione di vigilanza Rai, né tantomeno l’azienda per cui si lavora, ha sottolineato in tal senso Bartoli. Ci vogliono poi delle chiare evidenze per dire che certi personaggi sono “equivoci” secondo il presidente, non basta solo supporli tali. Invece spesso supposizione o sospetto diventano irrazionalmente certezza di “collusione coi russi”, di “filo-putinismo”, di “quinta colonna”, ora nell’informazione, ora nella politica e poi chissà dove. «Si possono esprimere delle critiche sulle modalità specifiche di certe scelte – ha detto Bartoli – ma sulla questione generale nessun arretramento da parte nostra».
Intanto Carlo Fuortes, prima ancora dell’audizione del 12 maggio, ha già fatto sapere che la Rai cambierà rotta. Per un’azienda che fa servizio pubblico il format televisivo dei talk show non sarebbe più adatto per l’approfondimento giornalistico. «Negli ultimi anni – ha spiegato mercoledì poco prima di andare proprio in Commissione Vigilanza – c’è stato un abuso nell’utilizzo del format del talk show nella televisione pubblica. Credo che i talk siano più adatti all’intrattenimento su temi più leggeri. L’idea di giornalisti, operatori, scienziati, intellettuali chiamati a improvvisare su qualsiasi tema non credo che possa fare un buon servizio pubblico». Per Fuortes sarebbe l’opposto di quello che la Rai ha sempre fatto.
[di Andrea Giustini]
L’anello al naso inizia a farmi male. Sarà il caso di metterci un po’ di vasellina, che dite?