I risultati ottenuti domenica dal primo turno delle elezioni presidenziali in Colombia lasciano presagire una svolta inedita nel prossimo futuro della Colombia: al ballottaggio che si svolgerà il 19 giugno si presenterà con discrete possibilità di vittoria il candidato Gustavo Petro, leader del movimento di sinistra Pacto Histórico, che ha raccolto quasi il 41,1% dei consensi, sfidando l’imprenditore Rodolfo Hernández, che ha raccolto il 28,2% superando a sorpresa il candidato conservatore e sostenuto dal presidente uscente Federico Gutiérrez, che i sondaggi davano in vantaggio e invece con il 23,9% si ritrova fuori dai giochi. Se il profilo di Hernández, pur nella novità formale di una campagna elettorale portata avanti via social e dal tentativo di accreditarsi come candidato anti-casta fin dal nome del movimento da lui formato (Liga de Gobernantes Anticorrupción – Lega dei governanti contro la corruzione) si pone in realtà perfettamente in linea con la storia colombiana, trattandosi di un ricco imprenditore, liberista e filo-americano, l’eventuale vittoria di Petro porta speranza specie tra i ceti popolari del paese.
La Colombia non è mai stata governata da un rappresentante di sinistra e fino ad ora ha custodito gelosamente la propria anima conservatrice. Che, a quanto pare, non piace più. Negli ultimi anni infatti migliaia di latinoamericani sono scesi in piazza a protestare (anche in Perù, in Cile) contro i partiti al comando e per una generale insoddisfazione per il modello economico vigente, le istituzioni esistenti, la corruzione e la collusione tra stato e militari.
Per capire come potrebbe essere il futuro della Colombia, bisogna conoscere meglio i candidati alla presidenza. Cominciamo con Gustavo Petro, 62enne ex sindaco della capitale Bogotà e leader del Pacto Histórico, un’alleanza di sinistra, che si era già candidato alla presidenza altre due volte, sconfitto poi dalla parte conservatrice del Paese. È noto soprattutto per il suo passato da ex guerrigliero del Movimento 19 aprile, una fazione della sinistra rivoluzionaria operante tra gli anni ’70 e ’80 in lotta con il Governo (fino alla pace firmata nel 1990). Dopo la “resa delle armi” il gruppo divenne per un breve periodo un vero e proprio partito, l’Alleanza Democratica M-19, i cui interessi principali erano orientati verso un’istruzione accessibile a tutti, lavoro e maggiore rispetto per l’ambiente (con lo stop alle nuove esplorazioni di petrolio e gas).
Rodolfo Hernández ha invece ha 77 anni e incarna gli interessi della parte più facoltosa della Colombia: è un imprenditore impegnato soprattutto in ambito immobiliare, ma è stato sindaco della città settentrionale di Bucaramanga. Per il resto, la sua esperienza politica e militante è relativamente recente, tant’è che la sua figura non è particolarmente nota tra gli elettori. Quello che lo contraddistingue però – e per cui molti lo accomunano a Trump – è la sua indole populista e conservatrice, pompata da una campagna elettorale fondata su temi come la lotta alla corruzione: lo stesso reato per cui è indagato dalla procura, con l’accusa di aver favorito un’azienda in cui era impiegato il figlio.
«Gli elettori sono stufi e vogliono cambiare», ha detto a Ojo Público Silvia Otero, esperta di politica latinoamericana. Prosegue l’articolo: “E la voglia di farlo è così grande che molti elettori sembrano non curarsi di alcune caratteristiche della personalità di Petro: la sua tendenza all’autoritarismo e alla megalomania, sempre in agguato nei suoi discorsi, nei suoi tweet, nei momenti chiave della sua biografia e persino nell’enorme P –in maiuscolo e in rosso brillante– che ha plasmato il palcoscenico su cui ha camminato il grande leader mentre pronunciava il suo discorso inaugurale della campagna elettorale a Barranquilla”, a nord del Paese.
Di cos’è che vorrebbero liberarsi i colombiani? Prima di tutto della nomea di “Narcostato”, appellativo che ad oggi ben si addice al Paese che più di tutti esporta cocaina. A prescindere da chi avrà la meglio nel ballottaggio finale, il nuovo presidente dovrà infatti scontrarsi con una vera e propria “economia della droga”, da cui derivano traffico illecito e lotte armate tra bande. Sarà importante che il nuovo leader continui ad occuparsi del rapporto con la FARC, le Forze Armate Rivoluzionarie nate negli anni ’60 come movimento di lotta contadina pro indipendenza, e diventate oggi un’organizzazione che controlla almeno il 25% del territorio colombiano. Anche se nel 2016 l’ex presidente Manuel Santos e i rappresentanti delle FARC hanno firmato un accordo di pace, lo scontro non è mai cessato – e anzi ha spinto alla nascita di altri gruppi illegali più piccoli che monitorano il traffico di droga.
E poi gran parte di loro vorrebbero liberarsi di decenni di politiche liberiste, come confermato dalle enormi proteste che travolsero il paese lo scorso anno e che costarono la vita a decine di persone brutalmente uccise dai militari. Non un caso, visto che nel narcostato Colombiano la polizia pare storicamente molto più interessata a colpire chi vuole cambiare il sistema rispetto a chi lo sostiene. Sono almeno 145 i leader sociali o difensori dei diritti umani che sono stati uccisi in Colombia nel 2021:tra loro attivisti indigeni che si battono contro le estrazioni minerarie, sindacalisti, attivisti di base e giornalisti.
[di Gloria Ferrari]