Nell’arcipelago delle Vanuatu, piccolo stato insulare composto da circa ottanta isole nel Sud Pacifico, i cittadini sono in serio pericolo. Lo scorso venerdì il primo ministro del Paese Bob Loughman ha dichiarato lo stato di emergenza climatica e l’adozione di un piano da 1,2 miliardi di dollari. A destare preoccupazione è il significativo innalzamento del livello del mare, senza parlare dei disastri naturali e delle intemperie che colpiscono significativamente il Pacifico in maniera sempre crescente.
Secondo le autorità è necessario mettere in pratica manovre al più presto, per salvare i circa 300mila abitanti dell’arcipelago dopo che negli ultimi dieci anni due potenti cicloni si sono abbattuti nelle Vanuatu, colpite anche da una siccità senza precedenti. Motivo per cui il parlamento ha appoggiato all’unanimità la mozione sull’emergenza climatica. Loughman ha sottolineato come sia necessario tuttavia che provvedimenti urgenti per contrastare cause ed effetti del surriscaldamento globale vadano prese con urgenza a livello internazionale, senza lasciare soli i Paesi che, per collocazione e conformazione geografica ne stanno accusando per primi le conseguenze.
Già lo scorso anno il Paese si era mosso per chiedere il parere legale della Corte Internazionale di giustizia, con la speranza di iniziare un percorso di reale salvaguardia per alcuni luoghi del mondo che prima di altri stanno subendo le imponenti conseguenze del cambiamento climatico, come ad esempio le città Jacobabad, in Pakistan, e di Ras Al Khaimah, negli Emirati Arabi Uniti, dichiarate non più adatte alla vita umana o quella di Matatā, in Nuova Zelanda, al centro di un progetto di evacuazione. La recente dichiarazione è parte di una “spinta della diplomazia climatica” prima del voto previsto da parte delle Nazioni Unite. L’ONU voterà proprio riguardo la richiesta mossa alla Corte Internazionale da parte del governo di Vanautu. Agire per proteggere le nazioni vulnerabili dai cambiamenti climatici dovrebbe essere l’attuale priorità, ha lamentato Loughman intenzionato altresì a coronare l’Accordo di Parigi. Alle Vanautu serviranno almeno 1,2 miliardi di dollari per fronteggiare l’attuale crisi entro la data stabilita dall’Accordo (il 2030) e ci si aspetta l’arrivo di finanziamenti da paesi donatori.
La bozza del piano d’azione sui diversi impatti dettati dal cambiamento climatico palesa l’importanza di una presa in carico da parte di più Stati, a partire dalla vicina Australia soprattutto dopo la formazione del nuovo governo, dimostratosi nelle intenzioni più attento alla questione climatica. La nuova Ministra degli Esteri australiana Penny Wong sembra intenzionata ad abbracciare le richieste del leader delle Vanuatu, come promesso durante un recente viaggio alle Fiji. La stessa Wong ha espresso l’intenzione di ripristinare la politica climatica del Pacifico quasi del tutto abbandonata negli ultimi dieci anni. Wong ha promesso un impegno serio contro le emissioni di gas serra e che sarà in prima linea per chiedere una Cop sul clima che includa le isole del Pacifico.
Rimane di primaria importanza il parere dell’ONU quando analizzerà i punti della campagna diplomatica delle Vanuatu durante la prossima Assemblea generale delle Nazioni Unite, prevista per settembre 2022. La campagna dello Stato insulare chiede l’adozione di una legislazione internazionale per fare fronte alle conseguenze materiali e umane della crisi climatica e che possa garantire quanto prima una reale transizione ecologica per i Paesi del Pacifico.
[di Francesca Naima]