Quella di domenica 19 giugno per la Colombia è una data da segnare in calendario: l’ex guerrigliero Gustavo Petro ha vinto il ballottaggio delle presidenziali, diventando ufficialmente presidente del paese. La vittoria di Petro è stata decretata dal 50,7% dei voti (cioè quasi 700mila in più rispetto a quelli guadagnati dall’avversario politico Rodolfo Hernández): il neo presidente ha esultato accanto a Francia Márquez, un’avvocata che ricoprirà il ruolo di vicepresidente. È a prima donna nera ad avere questo incarico. La sua presenza al Governo può avere un ruolo molto importante: Marquez si oppone da tempo alle miniere illegali e in quanto combattente ecologista è stata lei stessa vittima di attentati per il suo schieramento.
🇨🇴 Com 94,57% das urnas apuradas, Gustavo Petro é eleito presidente da Colômbia:
🔴 Gustavo Petro: 10.692.503 votos (50,69%)
🟢 Rodolfo Hernández: 9.923.729 votos (47,04%). pic.twitter.com/jFm6Hv3Vip— Eixo Político (@eixopolitico) June 19, 2022
La Colombia non è mai stata governata da un rappresentante di sinistra e fino ad ora ha custodito gelosamente la propria anima conservatrice e filo-americana. Che, a quanto pare, non piace più. Negli ultimi anni infatti migliaia di latinoamericani sono scesi in piazza a protestare (anche in Perù, in Cile) contro i partiti al comando e per una generale insoddisfazione per il modello economico vigente, le istituzioni esistenti, la corruzione e la collusione tra stato e militari.
@petrogustavo wins 🇨🇴 #cali #colombia #Elecciones2022 pic.twitter.com/f4F6ni2wNT
— The Dream Traveler (@dreamtraveler77) June 20, 2022
Ma chi è Gustavo Petro e come si colloca in tutto questo? La sua presenza in politica non è una novità. Il presidente è stato ex sindaco della capitale Bogotà ed è leader del Pacto Histórico, un’alleanza di sinistra. Si era già candidato alla presidenza altre due volte, sconfitto poi dalla parte conservatrice del Paese. È noto soprattutto per il suo passato da ex guerrigliero del Movimento 19 aprile, una fazione della sinistra rivoluzionaria operante tra gli anni ’70 e ’80 in lotta con il Governo (fino alla pace firmata nel 1990). Dopo la “resa delle armi” il gruppo divenne per un breve periodo un vero e proprio partito, l’Alleanza Democratica M-19, i cui interessi principali erano orientati verso un’istruzione accessibile a tutti, lavoro e maggiore rispetto per l’ambiente (con lo stop alle nuove esplorazioni di petrolio e gas).
La sua campagna elettorale si era incentrata proprio su alcuni di questi temi, di fatto riprendendoli: Petro infatti ha “promesso” istruzione gratuita e maggiore attenzione nei confronti dei disoccupati. Un punto chiave su cui ha battuto la sua politica (e che era un focus importante anche nella vecchia alleanza) è lo stop a nuove esplorazioni di petrolio e gas. Un tema molto caldo e che porta spesso in piazza migliaia di cittadini. Proprio lo scorso aprile decine di manifestanti si sono riversati in strada per opporsi all’estrazione di idrocarburi fossili mediante fracking – o fratturazione idraulica. Si tratta di una controversa pratica a detta di molti altamente impattante sul territorio. A concedere l’autorizzazione era stata l’Autorità colombiana sulle licenze ambientali, che non si è consultata con le comunità interessate. Andare in strada non è un “semplice” atto rivoluzionario: per i cittadini equivale a mettere a repentaglio la propria vita visto che la Colombia è ancora al primo posto per delitti nei confronti dei difensori dell’ambiente.
Anche in questo caso Petro ha proposto di cambiare le cose, promettendo di non permettere più persecuzioni politiche, e garantendo maggior coinvolgimento della «maggioranza silenziosa di contadini, persone indigene, donne e giovani».
È difficile stabilire se le cose andranno effettivamente così, per diversi motivi. Primo fra tutti (e più scontato) è che non sempre quanto detto in campagna elettorale poi trova un riscontro dopo le elezioni. In secondo luogo Petro non avrà di certo vita facile. Già prima del ballottaggio sono stati molti i tentativi messi in atto per screditare la sua figura. Nelle scorse settimane alcune forze conservatrici e di centro, unitesi attorno a Hernández, l’altro candidato, hanno definito Petro “una minaccia per la democrazia”. Anche la stampa ci ha messo del suo, pubblicando titoli come “Gustavo Petro ha un patto con Satana?”. Non sono mancate poi fake news e video messi in rete, tant’è che la giornalista colombiana María Jimena Duzán è arrivata a coniare il termine “Petrofobia”.
È pur vero che «gli elettori sono stufi e vogliono cambiare», ha detto a Ojo Público Silvia Otero, esperta di politica latinoamericana. «E la voglia di farlo è così grande che molti elettori sembrano non curarsi di alcune caratteristiche della personalità di Petro: la sua tendenza all’autoritarismo e alla megalomania, sempre in agguato nei suoi discorsi, nei suoi tweet, nei momenti chiave della sua biografia e persino nell’enorme P –in maiuscolo e in rosso brillante– che ha plasmato il palcoscenico su cui ha camminato il grande leader mentre pronunciava il suo discorso inaugurale della campagna elettorale a Barranquilla», a nord del Paese.
Quello che è certo è che la Colombia ha un gran bisogno di farcela: liberarsi da decenni di politiche liberiste e dalla nomea di narcostato sarebbe già un ottimo punto di partenza.
[di Gloria Ferrari]