domenica 22 Dicembre 2024

#SPORTNEGATO: la disobbedienza per il diritto allo sport ai tempi del green pass

Lavoro di squadra, allenamento, fatica, competizione, sconfitte, gioie… Quando si pensa allo sport, sono questi i termini che rimbalzano alla mente, o almeno dovrebbero. Tuttavia, negli ultimi mesi, per ogni ragazzino italiano a cui era permesso praticare sport, ne esistevano tanti altri a cui lo sport veniva negato. Dal 10 gennaio 2022, infatti, con l’entrata in vigore del decreto legge n.229 è stato, di fatto, vietato a tutti coloro che avessero più di 12 anni e fossero sprovvisti di super green pass (previa vaccinazione o guarigione da Covid-19), di accedere alla maggior parte degli impianti sportivi e ricreativi, sia all’aperto che al chiuso. E se da un lato è vero che dal primo maggio 2022, con il graduale superamento del green pass, queste restrizioni sono state alleggerite, dall’altro non vanno di certo dimenticati i mesi in cui è stato impedito a ragazzini sani, tra i più colpiti dagli effetti psicofisici della pandemia, di praticare sport di squadra, con il rischio di esacerbarne ulteriormente le conseguenze negative.

Ne abbiamo parlato con Chiara Boscotrecase, amministratrice nazionale dei canali di comunicazione social di Sport Negato. Un gruppo di genitori e ragazzi, sparsi in tutta la penisola, che disobbedendo in maniera civile e facendo rete, hanno creato una comunità alternativa di sportivi (a distanza e non). Grazie all’hashtag da loro lanciato (#sportnegato), la pagina è riuscita a coinvolgere un numero sempre maggiore di persone (anche vaccinate) che hanno deciso di sostenere la causa, rifiutandosi di scendere in campo senza i loro compagni.

Partiamo dall’inizio: com’è nata l’idea di Sport Negato?

L’idea è nata da Michela Malandrini, una mamma Toscana, con due figli, esclusi dallo sport. Lei ha creato un gruppo Telegram per capire cosa si potesse fare e per cercare di sentirsi meno sola. Io sono entrata nel gruppo per lo stesso motivo: ho una figlia ballerina e volevo trovare un modo per sostenerla. All’epoca eravamo 150 genitori che si stavano conoscendo a causa di un problema comune; non pensavamo di costruire la rete che oggi è Sport Negato. Il nostro intento era quello di far cessare in anticipo l’estromissione dei nostri figli dalla pratica dallo sport e in questo non siamo riusciti. Il che è una follia, visto e considerato che i ragazzi, a cui al mattino era permesso di entrare nelle palestre di migliaia di scuole, erano gli stessi ai quali nel pomeriggio venivano negate le loro passioni. Siamo riusciti, invece, a creare una rete incredibile di oltre 9.000 persone e quindi ad aiutare, nel concreto, tutti i nostri giovani sportivi che, sentendosi esclusi, stavano passando un momento davvero complicato della loro vita. Soprattutto dopo l’anno e mezzo di pandemia che avevano appena vissuto.

[Foto di #SPORTNEGATO in esclusiva per L’Indipendente.]
È stato complicato portare avanti la realtà di Sport Negato, in un periodo storico così complesso? Mi spiego meglio: la pagina ha generato molto odio oppure i messaggi che avete ricevuto in questi mesi erano solidali nei vostri confronti?

Inizialmente abbiamo ricevuto tantissimi insulti. Ragazzini di 15 anni che ci scrivevano: “Fatevi la vostra squadra e morite da soli”. Cose dell’altro mondo. Io ho cercato di dialogare e di dare argomentazioni anche a tutti coloro che gettavano odio sulla pagina, non rispondendo con lo stesso tono. Oggi capisco che quella è stata la chiave giusta, perché non ricevo più nemmeno uno di quegli insulti. Per il resto, è stato complicato a causa di tanti motivi. In primis, tutti noi lavoriamo e dedicarsi a questo gruppo, che in poco tempo è diventato più grande di noi, è stato davvero faticoso. Inoltre, serviva rimanere aggiornati costantemente sulle norme e i decreti, poiché in molti facevano riferimento ed affidamento sul nostro lavoro. Io dovevo rispondere a messaggi, commenti, interviste, attivare e seguire le squadre alternative, supportare mia figlia, scrivere articoli e gestire i social. Un lavoro a tempo pieno che mi è costato parecchie notti di sonno. È stato complicato ma, per me e per tutti coloro che hanno aiutato il progetto, non fare sentire soli i ragazzi e i genitori che hanno contattato la pagina – disperati per la situazione che nessuno capiva, se non chi la stava vivendo – era più importante. E di questo sono orgogliosa: dell’umanità trovata in questi momenti difficili.

Volendo quantificare le testimonianze che avete ricevuto, riuscirebbe a dirmi quanti ragazzi e genitori in cerca di sostegno si sono rivolti a Sport Negato?

Più di 10.000 testimonianze tra ragazzi, anche disabili, paraolimpici, sportivi che si stavano giocando i ruoli nelle nazionali o in corsa per i regionali. Io ho passato le notti a rispondere a giovani devastati ed a sostenere genitori che non sapevano più “quali pesci prendere”. Ciò che ha fatto male ai ragazzi, a livello umano, è stato il fatto che nessuno gli abbia dato conforto. Nessuna associazione si è fatta sentire vicina a loro e lo stesso vale per molti dirigenti ed allenatori. Nemmeno le federazioni, tra le prime che noi abbiamo contattato, tanto meno l’autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza. Questi ragazzi sono stati buttati e chiusi dentro ad una stanza per due anni, tra DAD, senso di colpa e paura. Poi, una volta usciti da quella bolla, è iniziato il ricatto: sono stati esclusi e discriminati dalle società, che come unica spiegazione davano la colpa alle scelte sbagliate dei loro genitori. A 12 anni, non poter entrare in un qualsiasi luogo ricreativo o su un pullman, per andare a scuola, ha causato e causerà delle conseguenze pesanti nei ragazzi. Oggi, anche la ricerca scientifica ha dimostrato che, a livello psicosociale, i più giovani sono stati coloro che hanno sofferto maggiormente durante la pandemia e io non mi capacito di come abbiano potuto trattarli in questo modo. Questa situazione non si ripara con il bonus psicologo come sembra voler fare il ministro Speranza.

[Foto di #SPORTNEGATO in esclusiva per L’Indipendente.]
C’è qualcuno che invece vi ha sostenuti concretamente?

Sì. Moltissimi professionisti si sono autosospesi dal proprio ruolo, lavorando gratis per 4 mesi, contribuendo alla causa. Anche alcuni personaggi pubblici, Alessandro Di Battista, ad esempio, è stato uno dei primi a farlo, ma le iniziative sono state varie: Campo Ribelle e Rimini basket hanno organizzato vari “incontri liberi” che hanno dato la possibilità a tanti ragazzi esclusi di sperimentare nuovamente la bellezza dello stare insieme; Maria Francesca Gaetano, una ballerina della Scala, ha reso gratuite le lezioni online per tutti i ragazzi sospesi, con il progetto “Passi liberi; Paola Caruso è un’insegnante di danza che si è rifiutata di escludere qualsiasi allievo; Adriana Crisci, ex olimpionica di ginnastica artistica, ha creato “Ginnastica Negata”, un gruppo con cui ha sostenuto online ginnasti sospesi, facendo anche da mental coach ai ragazzi. Lei ha fondato anche un comitato italiano di sport libero. E potrei continuare… Sono state emozioni fortissime, sia in positivo che in negativo; la sofferenza è stata enorme, ma l’amore che abbiamo ricevuto non è quantificabile. Dobbiamo molto a tutti loro.

[In foto Adriana Crisci, ginnasta italiana che ha partecipato a varie edizioni dei Campionati europei e mondiali, oltre ai Giochi olimpici di Sydney 2000.]
Da quando le restrizioni sono state allentate ha notato cambiamenti nei bambini e nei genitori che prima si trovavano in difficoltà?

Si e no. Molti dei nostri sportivi sono rientrati in situazioni più serene: hanno ritrovato allenatori e compagni, senza essere trattati diversamente. Una parte dei ragazzi si è ritirata dallo sport e non ne vuole più sapere, nonostante il rammarico dei genitori. Altri ancora hanno ricominciato a svolgere le loro attività ma con ritorsioni: allenatori che lasciano in panchina i ragazzi, isolamento da parte degli altri compagni o sguardi poco piacevoli da parte di alcuni genitori. Questo per punire i genitori dei ragazzi sospesi, ne sono convinta perché è lo stesso che ci è stato detto quando abbiamo interpellato le Autorità garanti per l’Infanzia e l’adolescenza. A livello regionale, Trento, Liguria e Toscana ci hanno risposto e pubblicamente hanno esposto la loro preoccupazione nei confronti della situazione che stavano vivendo questi ragazzi. Mentre a livello nazionale, il garante ha dichiarato testualmente che era giusto che i ragazzi venissero emarginati per le scelte dei genitori. A quel punto, noi con l’associazione Avvocati Liberi ne abbiamo chiesto le dimissioni, ma nulla si è mosso.

[Foto di #SPORTNEGATO in esclusiva per L’Indipendente.]
Mario Draghi ha dichiarato che il green pass è qui per restare, se in autunno dovessimo imbatterci nella sua reintroduzione, voi continuerete il vostro progetto per lo sport aperto a tutti?

Il primo maggio, noi abbiamo scelto di non fermarci, perché sappiamo che la battaglia non è finita: c’è bisogno che qualcuno dica “ok, forse abbiamo sbagliato”. Fino a quel momento, noi non arretreremo neanche di un millimetro. E se ad ottobre dovesse ricominciare, penseremo ad altri modi per continuare la nostra disobbedienza civile. Siamo tanti, cresciamo di giorno in giorno e non ci fermeremo. Questo deve essere chiaro a tutti.

Chi vuole rendersi utile alla causa di Sport Negato come può contribuire?

L’11 giugno inaugureremo la festa dello sport libero. Stiamo organizzando eventi in ogni regione, per staccare dai monitor, guardarci in faccia, sentirci sereni ed uniti. Genitori e ragazzi insieme. Questa potrebbe essere un’occasione per fare comunità e darci una mano. Oltre a questo, l’aiuto maggiore che ci può essere dato è seguire le pagine social di Sport Negato ed interagire, commentando e condividendo, con ciò che noi pubblichiamo. Così facendo, si contribuisce a dare visibilità ai nostri contenuti e quindi ad aumentare la possibilità che sempre più persone capiscano cosa comporti l’utilizzo di un lasciapassare discriminatorio e cosa è stato fatto sulla pelle dei ragazzi. Gli stessi che dovrebbero rappresentare il futuro del nostro Bel Paese.

[di Iris Paganessi]

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