giovedì 21 Novembre 2024

Alluminio, litio e zinco: la Cina conquista le scorte mondiali per l’auto elettrica

Recentemente, il Parlamento europeo ha votato la messa al bando della vendita di auto diesel e benzina dal 2035 in avanti, anno a partire dal quale sarà autorizzata solo la vendita di veicoli elettrici. Tuttavia, ci è voluto poco per rendersi conto che tale decisione legherà mani e piedi l’industria del Vecchio Continente alla Cina, per via delle cosiddette materie prime critiche. Per produrre le batterie delle auto elettriche, infatti, occorrono una serie di metalli – comprese le terre rare – la cui disponibilità è detenuta in grandi quantità proprio dalla Cina. Mentre, al contrario, essi scarseggiano notevolmente in Europa e negli Stati Uniti. Se, dunque, l’obiettivo è quello di rendere indipendente l’Occidente dalle importazioni di risorse provenienti dai cosiddetti “Paesi autoritari” – come affermato spesso dai leader democratici – tale decisione sembra andare nella direzione completamente opposta.

Le auto elettriche, infatti, necessitano di decine di metalli per funzionare e le loro batterie richiedono, oltre al litio anche grafite e manganese, cobalto e nickel insieme a rame, ferro e alluminio. Per il motore, vengono usati neodimiodisprosio e praseodimio (appartenenti al gruppo di 17 elementi noti come terre rare). La maggior parte di questi elementi, però, sta diventando introvabile in Europa: si registra, infatti, una scarsità preoccupante di metalli quali lo zinco, il rame, l’alluminio e lo stesso litio. In particolare, risulta che l’alluminio sia ai minimi storici, con meno di 20000 tonnellate depositate nei magazzini e particolarmente allarmante è ciò che sta avvenendo a Londra. L’esperto di terre rare Gianclaudio Torlizzi – citato dal Corriere della Sera – spiega, infatti, che «il livello delle scorte di metalli nei magazzini del London Metal Exchange continuano a mostrare un livello critico. Nei primi quattro mesi dell’anno si è assistito a un calo di 479 mila tonnellate». Anche negli Stati Uniti si registra una situazione simile, considerato che gli stock sono in calo da 18 mesi, toccando il record minimo di 22.339 tonnellate.

Al contrario, a detenere in abbondanza diversi metalli è proprio il Dragone che possiede il 93% delle scorte mondiali di rame, una buona quantità di terre rare e di litio. Secondo le stime della US Geological Survey al mondo esiste una riserva di circa 40 milioni di tonnellate di litio, il 65% del quale si trova nel sottosuolo di Bolivia, Cile e Argentina. Gli Stati che possiedono i principali giacimenti sono, infatti, nell’ordine, Australia, Cile e Argentina, cui si è aggiunta – al quarto posto – la Cina. Tuttavia, il gigante asiatico avendo ottenuto buona parte delle concessioni da parte degli Stati dell’America latina e dall’Africa, si è posizionata ai primi posti nel settore della raffinazione e dell’estrazione. Con una capacità di progettazione a lungo termine che non appartiene di certo alla perenne logica emergenziale delle democrazie occidentali, insomma, la Cina è stata in grado di stringere prima degli altri accordi con i paesi produttori.

Già da tempo la Cina è il principale esportatore di materie prime critiche verso l’Europa con il 44% del totale, così come è il principale fornitore di terre rare che esporta per il 98%. Con la decisione europea di puntare tutto sull’elettrico, questa situazione non potrà che inasprirsi, consegnando l’industria europea completamente nelle mani di Pechino. A ciò si aggiunge il fatto, non trascurabile, per cui se è vero che i veicoli elettrici non producono emissioni inquinanti, i metodi estrattivi del litio possono avere seri impatti ambientali: le estrazioni, infatti, oltre a danneggiare il suolo e causare la contaminazione dell’aria, richiedono un enorme quantità di acqua: circa 2000 litri per un chilo di litio. Attualmente si stima che la domanda di litio sia di 500000 tonnellate e che potrebbe raggiungere circa 2 milioni di tonnellate entro il 2030. Bisogna capire, dunque, se per porre rimedio a un problema non lo si finisca in realtà per peggiorare, sebbene con impatti e modalità differenti.

Anche al netto della questione ambientale resta comunque da risolvere l’allarmante posizione in cui l’Europa versa ancora una volta, riguardante la completa dipendenza in settori strategici da quei Paesi autoritari che il mondo liberal non perde mai occasione di giudicare e condannare. La transizione energetica su cui l’Unione Europea ha investito il suo futuro economico e industriale, infatti, richiederebbe alcune scelte e strategie oculate per far sì che non si trasformi in un “suicidio green” dal punto di vista economico e occupazionale. Alcuni esperti del settore suggeriscono di promuovere gli acquisti centralizzati europei di metalli e la costruzione di alleanze commerciali con i Paesi sudamericani. Tuttavia, questi ultimi risultano in ottimi rapporti proprio con la Cina, la Russia e la coalizione dei BRICS, alla quale l’Argentina ha chiesto recentemente di aderire. Si tratta di un polo commerciale in rapida ascesa, dal quale, però, l’UE e l’Occidente in genere pare aver deciso di prendere le distanze, auto-isolandosi.

Una transizione energetica così concepita e attuata rischia di trasformarsi in un boomerang per l’economia già fragile del Vecchio Continente, distruggendo posti di lavoro e concedendo un ulteriore importante vantaggio competitivo proprio a quegli Stati che l’Occidente considera “rivali” sia da un punto di vista commerciale che geopolitico.

[di Giorgia Audiello]

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4 Commenti

  1. Forse merita ricordare che coalizione dei BRICS è stata fatta per contrastare l’egemonia degli USA e del dollaro-debito
    vogliamo continuare a fare gli interessi degli USA o esiste anche l’Europa e magari anche l’Italia?
    Il patto di Varsavia è stato chiuso nel 1991, non è possibile che l’Italia pensi col suo cervello per i suoi interessi sociali, culturali, e certo, anche economici? E magari si prenda una vacanza dalla NATO-USA??
    O siamo solo il loro shopping center?

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