La notizia dell’annullamento della famosa sentenza “Roe v. Wade” da parte della Corte Suprema statunitense ha generato un turbinio di reazioni e proteste. Purtroppo, in molti casi, anche di disinformazione, poiché non è stata trattata con la cura necessaria dai media e dai giornali. Titoli sensazionalistici, parziali o alle volte forzati hanno finito per veicolare l’idea falsa che la decisione di SCOTUS abbia “vietato” l’aborto negli Usa, quando non è affatto così. Uno dei concetti sbagliati più frequentemente usati nelle pagine di giornale è stato sicuramente quello di “abolizione del diritto”. Ma scavando si notano diverse varianti, fino anche a narrazioni che per far percepire una certa “gravità” della situazione ai lettori sono arrivate a sobillare direttamente odio.
Chiariamo subito che ciò che ha fatto la Corte non è stato né abolire né vietare il diritto all’aborto. Piuttosto ha ritenuto che le argomentazioni usate nella precedente sentenza per renderlo diritto di “rango costituzionale”, come può essere, facendo un esempio banale, quello al lavoro sancito dalla nostra Carta, non erano abbastanza convincenti. Sulla scia di un’interpretazione così detta “originalista” del testo del 1789, ha quindi sancito che quello all’aborto è un diritto positivo, che può essere regolato dallo stato come ogni altra legge. Dunque ne ha rimesso la competenza ai singoli Stati Uniti.
La Repubblica se n’è uscita subito il 24 giugno con il titolo forse più tragico fra quelli in circolazione: “la Corte Suprema sancisce la fine del diritto all’aborto”. Poco dopo, integrando al pezzo un video del presidente Biden, il giornale ha ribadito questa presunta “fine” in modo anche più forte. Troviamo il primo esempio dell’uso erroneo del concetto di abolizione: “La Corte Suprema abolisce il diritto all’aborto”. Una cosa simile è possibile a vedersi nel sito del Sole 24 Ore ad esempio, dove un breve video “informa” i lettori che la Corte avrebbe “abolito” l’aborto. Degni di nota per originaltà sono poi l’Adn Kronos, che scrive che la Corte avrebbe “cancellato” il diritto all’aborto, e L’Agi, che racconta di un “no” all’aborto da parte dei giudici supremi. In questo secondo caso sembra addirittura che i giudici dovessero esprimersi nel merito della pratica dell’aborto e che quindi, con quel presunto “no”, l’abbiano giudicata negativamente.
Quello che questi come molti altri fra articoli o contenuti in rete hanno in comune è una netta contraddizione fra ciò che, in modo scioccante, prima presenta il titolo, e poi spiega, più o meno chiaramente, il corpo del testo. Prendiamo il caso più evidente: Repubblica. Fermandosi a quel “sancisce la fine del diritto” non ci sono dubbi sulla “notizia”, sembra davvero che negli States sia stato clamorosamente “abolito” o “vietato” l’aborto e che quindi una donna non possa più ricorrervi. E non c’è dubbio che purtroppo questo è quello che hanno pensato molti lettori. Nell’articolo però, a dire il vero dopo un bel po’, si specifica anche che l’interruzione di gravidanza non è stata “abolita”, né come pratica né come diritto. “Ora quindi i singoli Stati – si legge su Repubblica – saranno liberi di applicare le loro leggi in materia. Si torna agli anni precedenti alla sentenza, quando l’aborto negli Usa era disciplinato da ciascuno Stato”.
La Stampa fornisce invece esempi di narrazioni che, oltre a presentare in modo non esattamente corretto la decisione della Corte, puntano sull’odio. Il quotidiano di Giannini prima ha titolato in modo forzato “L’America che odia le donne”, e poi, a braccetto con Repubblica, se n’è uscito con un pezzo dove, accanto alla bufala del diritto all’aborto “abolito” nel titolo, metteva il volto bello sorridente del senatore della Lega Pillon. Ma forse la narrazione più odiosa è quella che delegittima la decisione della Corte in quanto presa da una maggioranza di repubblicani, da “uomini di Trump”, o anche semplicemente da “uomini”. Già il presidente Biden ha in più modi cercato di renderla invisa agli occhi degli americani rimarcando che quelli che hanno “rovesciato la legge” sono i giudici che Trump aveva scelto. Repubblica scrive ad esempio che quella sull’aborto è “una forzatura” compiuta dai “giudici nominati di Trump” e che “lacererebbe” l’America tanto che si rischia una “Seconda Guerra Civile”. Il vero rischio è che in questo modo venga completamente spostato il focus dalle ragioni alla base della scelta a un cieco tifo ideologico. Dove il perché giuridico o filosofico non è neanche considerato poiché ciò che viene a contare è solo l’apparenza del chi, assieme a tutte le etichette negative ad esso appiccicabili.
Se c’è una cosa che davvero minaccia il diritto all’aborto, e che potrebbe contribuire ad una sua retrocessione reale rispetto all’oggi, è la disinformazione dei media mainstream. Le ragioni di questo importante diritto non ne hanno bisogno per farsi valere, così come non hanno bisogno di narrazioncine demagogiche e sensazionalistiche, fatte per mero opportunismo contingente. E nemmeno ancora hanno bisogno di denigrare chi politicamente, filosoficamente o religiosamente la pensa diversamente. I diritti si edificano con la ragione, non con la propaganda né con l’odio.
[di Andrea Giustini]
È chiaro che sia in atto una battaglia tra diversi poteri negli Stati Uniti, che tendono a smontare simboli e attaccano idee bandiera dell’avversario.
In questo caso, l’attacco all’aborto è, secondo me, una rivendicazione alla sacralità della vita umana, messa in pericolo negli ultimi due anni, quindi lo vedo in senso positivo anche per noi italiani.
Purtroppo certi ideali sono da denigrare. Smettiamola di dire che tutte le opinioni hanno valore e devono essere accolte e rispettate. Altro discorso è il dovere di assicurare che queste opinioni (seppur sbagliate) possano comunque essere espresse in maniera libera.