L’euro è ai minimi degli ultimi venti anni sul dollaro e sta continuando il processo di svalutazione iniziato mesi fa. Ciò vuol dire che le due economie stanno viaggiando a velocità diverse e gli investitori temono più le politiche restrittive della Banca Centrale Europea (BCE), annunciate lo scorso giugno, che quelle della Federal Reserve (FED) statunitense, attendendo dunque la recessione. La notizia dell’aumento dei tassi di interesse sta già registrando diversi effetti, ancor prima dell’entrata in vigore delle misure. Il rallentamento dell’economia europea potrebbe dunque spingere la BCE a una politica meno aggressiva sui tassi, ma è ancora da vedere. Ciò che è certo è che l’euro sta scivolando sul mercato e sta perdendo appetibilità internazionale, a vantaggio di valute estere, una su tutte il dollaro.
Il Vecchio Continente si ritrova ad affrontare le conseguenze irrisolte della pandemia da Covid-19, dell’attuale conflitto in Ucraina e di discutibili scelte a livello nazionale e comunitario. Nell’Unione europea, l’inflazione ha raggiunto a giugno il valore record di +8,6%, spinta dagli ultimi scenari geopolitici ma generata da diverse variabili: dall’aumento dei costi dell’energia tra il 2021 e il 2022 (causato in buona parte dalla modifica dei contratti con le multinazionali energetiche), allo squilibrio domanda-offerta nelle catene di approvvigionamento globali dovuti ai blocchi della produzione durante i lockdown, passando per il cambiamento climatico, il nazionalismo alimentare e la speculazione. Quest’ultima si basa sulle aspettative degli investitori, attualmente al ribasso per l’Europa, un continente che esporta prevalentemente prodotti manifatturieri e importa materie prime, soprattutto quelle energetiche. Nel momento in cui i paesi esportatori decidono di rivedere al rialzo i contratti che vedono coinvolte le loro risorse si rafforzano e acquistano interesse su scala globale. Non è un caso che l’euro stia perdendo terreno
anche con la rupia indiana, tornando ai livelli pre-pandemia (1 euro = 80 rupie). Lo scorso maggio, il presidente Narendra Modi ha visitato l’Europa per “rafforzare lo spirito di cooperazione” con l’India, dopo aver registrato nel 2020 un interscambio di 95 miliardi di euro in beni e servizi (+50% dal 2010), con circa 6000 imprese europee attive nel territorio. Dopo qualche settimana Nuova Delhi ha però deciso di bloccare le esportazioni di grano e di limitare fortemente quelle di zucchero, due dei principali prodotti del paese. La
motivazione ufficiale riguarda i problemi di raccolta legati al cambiamento climatico, a cui si affianca con ogni probabilità la componente speculativa.
Dall’inizio della guerra in Ucraina, il dollaro ha guadagnato dieci centesimi nel cambio con l’euro, nonostante l’economia statunitense si trovi, come quella europea, a fronteggiare diverse crisi, tra cui le conseguenze della pandemia da Covid-19 e l’inflazione. Non si può escludere che, a incidere sulle aspettative degli investitori, siano stati i legami bruscamente ridotti tra alcune economie europee (Italia e
Germania soprattutto) con la Russia in materia energetica e la possibilità da parte degli Stati Uniti di esportare gas e petrolio nel continente. Si pensi all’Italia, che punta a sostituire le importazioni russe di gas – pari al 40% del fabbisogno annuo – con forniture provenienti principalmente da Algeria e Turchia, a cui si aggiungono quelle statunitensi. Dal momento in cui Washington esporta gas naturale liquido (Gnl) sarà necessario che questo – in un processo più costoso e pericoloso rispetto all’utilizzo dei metanodotti – arrivi via nave e venga riportato successivamente allo stato gassoso per essere impiegato. Per questo motivo, il governo Draghi ha in programma la costruzione di due nuovi rigassificatori, uno a Ravenna e l’altro a
Piombino, dove nei giorni scorsi in migliaia sono scesi in piazza per protestare.
[di Salvatore Toscano]