A quanto pare non basta cancellare i messaggi di Messenger per assicurarsi che questi scompaiano dai server di Meta, almeno stando a quanto emerge dalla causa mossa da un ex-dipendente nei confronti della potente Big Tech. Secondo l’uomo, il gigante dei social avrebbe creato un vero e proprio protocollo per recuperare i dati rimossi dagli utenti, in modo da soddisfare al meglio le eventuali richieste delle autorità.
Prima di essere messo alla porta, Brennan Lawson era un Senior Risk & Response Escalations Specialist all’interno delle Community Operations di Meta. In pratica ricopriva il ruolo di uno dei molti moderatori che intercettano i contenuti truculenti caricati sul portale, un mestiere che spesso porta gli addetti a subire pesanti conseguenze psicologiche e che, poco sorprendentemente, è al centro di un costante ricambio della forza lavoro.
In tal senso, le carte depositate in tribunale confermano quello che già in passato era stato denunciato, ovvero che Meta sia molto torbida nello spiegare le dinamiche proprie all’ingrato compito durante i colloqui d’assunzione, tuttavia le rimostranze mosse da Lawson si estendono ben oltre ai diritti condivisi anche dai suoi colleghi del settore. L’uomo si appella infatti alle norme californiane che proteggono i whistleblower, suggerendo che il social lo abbia licenziato in seguito alle critiche che aveva mosso nei confronti di uno strumento estremamente controverso che l’impresa avrebbe adottato ormai diversi anni fa.
Stando all’accusa, verso la fine del 2018 si sarebbe tenuta una riunione interna all’azienda per presentare ai propri specialisti l’esistenza di un inedito attrezzo informatico capace di riesumare i messaggi di Messenger cancellati dagli utenti. Una vera e propria backdoor occulta che sarebbe stata progettata dalla Technology Program Manager Ashley McHugh al fine di circumnavigare le misure di sicurezza adottate dall’impresa per soddisfare le leggi sulla privacy. La motivazioni che si celerebbero dietro a una simile irregolarità sono semplici da sondare: “per mantenere Facebook nelle grazie del Governo, il Team Escalation utilizzava il protocollo back-end per fornire risposte alle Forze dell’ordine e quindi determinava quante informazioni potessero essere condivise”.
Stando alla testimonianza, Meta avrebbe violato diverse leggi pur di assecondare la sorveglianza Governativa e Lawson avrebbe avuto la cattiva idea di evidenziare le sue perplessità sulla natura criminale di un simile approccio durante il meeting, disegnandosi con le proprie mani un bersaglio sul petto. Il tecnico ha vissuto per mesi con il terrore di essere cacciato, quindi il 10 luglio 2019 ha visto concretizzarsi le sue paure, con il suo contratto che è stato rescisso sulla base di giustificazioni tecniche vocalmente contestate dai legali che hanno preso in carico il caso.
L’azienda non ha mancato di reagire smentendo ogni accusa ed è sempre opportuno prendere con spirito critico le rivelazioni di ex-dipendenti insoddisfatti, perlomeno quando c’è di mezzo una richiesta di risarcimento da più di 3 milioni di dollari, ma vale anche la pena monitorare da vicino la questione, se non altro perché la Big Tech ci ha già abituato ad abusi omologhi e il fatto che stia carpendo illegalmente dati è tutto meno che inverosimile.
[di Walter Ferri]