Sabato scorso migliaia di manifestanti sono scesi nelle strade di Buenos Aires contro il caro-vita, l’inflazione e gli accordi firmati dal governo con il Fondo Monetario Internazionale (FMI). L’intesa, raggiunta lo scorso marzo, prevede il rifinanziamento del debito nazionale in cambio di una serie di misure di austerità, tra cui il congelamento del salario statale, la riduzione della spesa pubblica e del disavanzo. A queste si aggiunge poi l’aumento dei tassi di interesse, che nelle intenzioni governative dovrà contenere l’inflazione, arrivata nel 2022 al 60% (record degli ultimi trent’anni). Il pacchetto di misure – non definito nei dettagli a marzo – è stato annunciato ieri da Silvina Batakis, il nuovo ministro dell’Economia che la scorsa settimana ha sostituito il dimissionario Martín Guzmán, tra i più attivi nell’accordo di marzo. Gli argentini temono la ripetizione di una storia vissuta tra la fine del XX secolo e l’inizio del XXI secolo, quando il paese subì un collasso economico e sociale e si indebitò con il FMI.
Negli ultimi anni, l’Argentina ha vissuto diversi default – la condizione in cui si trovano gli stati che non riescono a ripagare i debiti contratti – e crisi economiche. Nel 2018, l’ex presidente Mauricio Macri ha chiesto al Fondo Monetario Internazionale un prestito da 57 miliardi di dollari. La pandemia da Covid-19 ha aggravato il già precario equilibrio dell’economia argentina, portando il governo e il nuovo presidente Alberto Fernández a chiedere la ristrutturazione del debito, cioè la modifica delle condizioni per la sua restituzione. Così a marzo 2022, dopo quasi due anni di trattative, è stato raggiunto un accordo col Fondo Monetario Internazionale: la sospensione della rata da 700 milioni di dollari che il governo avrebbe dovuto restituire da lì a poco e il congelamento dei pagamenti futuri (che dovranno avvenire tra il 2026 e il 2034) in cambio della riduzione del rapporto tra deficit pubblico, il disavanzo annuale tra entrate e uscite di uno stato, e Prodotto Interno Lordo (PIL), passando dall’attuale 2,5% a 0,9% entro il 2024. Capendo la natura delle misure da realizzare per raggiungere gli obiettivi tracciati dall’organizzazione internazionale nata nel 1945, diversi funzionari pubblici, gruppi di manifestanti e membri del Congresso – appartenenti alle fila dell’opposizione e non – hanno protestato.
«Questo è un accordo che significa veramente consegnare, adeguare e sottomettere il paese. E quando diciamo il paese, in realtà, intendiamo i lavoratori, i settori popolari, le baraccopoli e le persone che saranno colpite per molti anni», ha dichiarato Guillermo Pacagnini, segretario generale dell’Associazione sindacale dei professionisti della salute della provincia di Buenos Aires, in seguito alla conclusione dei lavori del Congresso a marzo. Dopo le proteste della popolazione nella capitale, avvenute sabato scorso, il nuovo ministro dell’Economia Silvina Batakis – dal profilo tecnico e non politico – ha ribadito in conferenza stampa la volontà dell’Argentina di onorare l’accordo col Fondo Monetario Internazionale e pertanto ha presentato un pacchetto di misure volto a raggiungere gli obiettivi tracciati dall’organizzazione. Tra queste, c’è il congelamento dei nuovi incarichi nel settore pubblico e un controllo delle spese del Tesoro «secondo la reale proiezione della cassa». La riduzione della spesa pubblica allarma i cittadini soprattutto per il futuro delle tariffe dei servizi pubblici, congelate di fatto dal 2018: ad oggi, gli argentini pagano in media per il consumo mensile di gas il costo di tre litri di latte confezionato. Al riguardo, Batakis ha annunciato che in settimana entrerà in vigore una segmentazione delle tariffe in base al reddito, proposta in passato dal suo predecessore e bloccata dalle forze di sinistra del governo.
[di Salvatore Toscano]