È scoppiata di recente la polemica sulla difficoltà, da parte delle piccole aziende, di reperire persone disposte a svolgere determinati lavori. Soprattutto con l’arrivo della stagione estiva molti esercenti hanno denunciato la scarsa disponibilità di giovani e adulti ad accettare determinati lavori, complice il reddito di cittadinanza e lo scarso spirito di sacrificio. Dall’altra parte invece si sostiene che i datori di lavoro dovrebbero offrire stipendi più alti e smetterla di sfruttare gli stagionali, redistribuendo una parte dei loro lauti guadagni.
La verità, come al solito, sta nel mezzo e se è vero che un tempo per noi ragazzi era quasi normale andare a raccogliere la frutta o fare i camerieri in cambio di poche lire è altrettanto vero che la carenza di personale non lo vivono solo le aziende che offrono stipendi bassi e lavori umili, ma anche quelle che cercano figure specializzate con stipendi importanti, soprattutto in alcuni settori artigianali, produttivi o dell’informatica.
Le cause di questa difficoltà sono molteplici e spesso intrecciate tra loro, ma potremmo riassumerle in macro categorie:
1. La scuola ha perso il contatto con la realtà, e in generale non è in grado di formare persone con le competenze richieste oggi dalle aziende. L’alternanza scuola-lavoro è un’attività praticamente inutile, che non permette di formare i giovani e non fornisce alcun aiuto alle aziende.
2. Anni di messaggi distorti hanno portato all’idea che se fai un lavoro manuale sei un fallito, quindi tutto il mondo dell’artigianato sta lentamente morendo. Senza una valorizzazione culturale di questi lavori ci giocheremo migliaia di micro aziende, destinate a chiudere per carenza di giovani disposti a raccogliere l’esperienza della precedente generazione.
3. L’altra distorsione è che lavorare per una multinazionale è considerato molto più prestigioso, anche se si guadagna meno e si è trattati come numeri. Però vuoi mettere l’orgoglio della mamma nell’annunciare ai parenti che il figlio neolaureato “è stato assunto da Google” piuttosto che dire che ha trovato posto in una piccola azienda di fronte casa?
4. I nostri giovani hanno nuove priorità, che noi adulti non concepiamo. Ad esempio per loro la libertà di cambiare spesso lavoro è un valore che noi facciamo fatica ad accettare, visto che veniamo da una cultura per cui era un vanto poter dire di aver lavorato tutta la vita per la stessa azienda.
5. Gestire e motivare gruppi di lavoro è diventato molto più complesso, quindi capita sovente di perdere persone appena inserite, semplicemente perché non si sono trovate bene in azienda. Oggi è diventato fondamentale creare un buon clima, fornire un’organizzazione efficiente e introdurre sistemi meritocratici per non perdere i collaboratori migliori.
Come sopperire a tutte queste oggettive difficoltà?
Innanzitutto entrare nell’ottica che la ricerca di nuovo personale non va fatta in urgenza, ma deve diventare un’attività costante. Questo significa farsi trovare già pronti (con Curriculum già selezionati e primi colloqui già fatti) quando effettivamente avremo bisogno di inserire qualcuno, senza doverci accontentare del “meno peggio”.
La ricerca deve essere fatta usando tutti gli strumenti a disposizione (piattaforme digitali, giornali, annunci locali) ma soprattutto coinvolgendo i nostri collaboratori nel reclutamento di persone valide che già conoscono. La selezione deve passare attraverso colloqui professionali ed approfonditi, che permettano sia all’azienda che al candidato di non dover scegliere istintivamente ma sulla base di una vera conoscenza reciproca, che a volte richiede più incontri o brevi periodi di prova.
E soprattutto rendete le vostre aziende veramente accoglienti, in modo che si sparga la voce che chi ci lavora lo fa sentendosi apprezzato e valorizzato, coinvolto ed ascoltato. Così come per i clienti, anche nella ricerca di collaboratori il passaparola positivo è il modo migliore per attirare persone valide.
[di Fabrizio Cotza]
Hai centrato un punto molto importante: l’organizzazione e l’importanza di saper lavorare. Ho notato che alcuni miei coetanei si sentono abbastanza orgogliosi di essere riusciti a “fare carriera”, senza aver fatto il sacrificio e la fatica di fare la gavetta, pavoneggiandosi addirittura di “quanto sono bravi ed intelligenti”. Poi si scopre che non si riesce a dare ordini efficaci se non si sa COME bisogna lavorare, come si creano determinati prodotti o servizi e quali sono le difficoltà che riscontrano i subordinati, quindi comincia a crearsi un clima dove da una parte c’è la frustrazione del capetto di non riuscire a farsi ascoltare, quindi farsi seguire e dall’altra la frustrazione del lavoratore di non riuscire a capire gli ordini, perché operativamente senza senso.
Umiltà e criticità (verso se stessi): due delle molteplici soluzioni.
Grazie per la rubrica molto utile.