Le chiamano missioni di pace, ma quelle italiane all’estero sembrano più che altro servire ad occuparsi di fare incetta di fonti fossili. In parte lo spiega la stessa relazione presentata dal Governo sulle missioni internazionali in corso. All’interno di quest’ultima, infatti, si legge ad esempio che l’operazione denominata “Mare Sicuro” serve innanzitutto a sorvegliare e proteggere “le piattaforme dell’ENI ubicate nelle acque internazionali prospicienti la costa libica”. Inoltre, relativamente al Golfo di Guinea, si parla della “presenza militare a protezione degli interessi nazionali in un’area di crescente importanza per l’approvvigionamento energetico”, mentre per ciò che concerne lo Stretto di Hormuz, in Medio Oriente, nel documento viene posta l’attenzione sul “continuo supporto alle iniziative per il mantenimento della sicurezza delle vie di comunicazione marittima, con approccio dialogante verso tutti i Paesi della regione, che continua ad essere vitale per la politica energetica nazionale”. Un linguaggio molto diverso da quello adottato di fronte all’opinione pubblica, quando le stesse missioni vengono presentate come iniziative volte alla salvaguardia dei diritti umani e della pace.
Si tratta di un modus operandi che, inevitabilmente, è stato criticato dagli ambientalisti. Greenpeace infatti, tramite un comunicato, non solo ha sottolineato che “la relazione governativa sulle missioni in corso, approvata dalle commissioni Esteri e Difesa della Camera e ancora all’esame del Senato, insieme alla delibera sulle nuove missioni, rimanda ripetutamente alla sicurezza dei nostri approvvigionamenti di fonti fossili”, ma ha altresì denunciato il fatto che il governo italiano abbia “aumentato la spesa per le missioni militari a protezione delle fonti fossili”. Secondo i calcoli effettuati della Ong e condivisi tramite un recente rapporto, nel 2022 la “militarizzazione della nostra sicurezza energetica ci costerà 870 milioni di euro”: cifra che non solo è “pari al 71% dell’intero budget per le missioni militari del 2022”, ma è anche superiore del 9% a quella del 2021 e del 65% a quella del 2019, con l’organizzazione che quindi denuncia che “nel pieno della crisi climatica e di una guerra finanziata dai proventi di gas e petrolio, il governo italiano ha aumentato la spesa per le missioni militari a protezione delle fonti fossili”.
Le missioni militari legate alla protezione del nostro approvvigionamento energetico, del resto, non rappresentano in realtà una novità, e già negli scorsi mesi si era venuti a conoscenza di tale modus operandi. In un rapporto pubblicato a dicembre 2021, infatti, Greenpeace aveva già etichettato come “fossili” diverse missioni militari italiane, tra cui appunto quelle relative allo Stretto di Hormuz, alla Libia ed al Golfo di Guinea. Tuttavia adesso tale legame sembra essere ormai certificato non solo dai documenti ma anche dalle dichiarazioni degli esponenti di governo: basterà ricordare che il ministro della Difesa Lorenzo Guerini, confermando ciò che fino a poco fa nessun esponente delle istituzioni aveva mai osato rivelare tramite dichiarazioni pubbliche, ha recentemente fatto sapere che «l’impiego delle Forze armate nelle missioni internazionali» serva tra l’altro a prevenire e gestire «scenari di crisi conseguenti tanto a minacce tradizionali, quanto a quelle ibride» come le «restrizioni all’approvvigionamento energetico».
Detto ciò, l’incremento della spesa per le missioni legate alle fonti fossili si inserisce nell’ambito dell’aumento generale dei costi delle missioni italiane all’estero. Come infatti sottolineato da “MIL€X”, l’osservatorio sulle spese militari italiane, “dall’esame della deliberazione del Governo sulle missioni internazionali inviato al Parlamento – da leggere insieme alle disposizioni del Decreto Ucraina approvato a marzo – emerge che le missioni militari italiane all’estero per il 2022 presentano, rispetto allo scorso anno, un incremento di costi complessivi (da 1,35 a 1,5 miliardi di euro) e di personale impiegato (da circa 9.500 a oltre 12 mila uomini)”.
[di Raffaele De Luca]
L’articolo racconta una brutta realtà ma non mi sembra che la maggioranza di noi rifiuti l’aria condizionata o il riscaldamento a casa . Queste comodità che ci hanno reso pigri hanno un costo ,e quel costo va sopportato . Non sono ipocrita un attimo fa ho acceso il condizionatore perché l’umidità é elevata dove mi trovo in vacanza . Purtroppo bisogna trovare una via di mezzo , senza essere idealisti ma pragmatici.
Premesso che nemmeno a me piace l’invio di forze armate nei territori, e senza essere faziosi la maggioranza del consumo avviene ad opera di industrie,centei commerciali trasporti ecc.
I soliti opportunisti ,burattini ,arroganti falsi