Una nuova centrale idrica è stata inaugurata in provincia di Verona per garantire ai cittadini acqua priva di Pfas. Si tratta di una notizia attesa ed importante perché rappresenta l’inizio degli interventi promessi dalla regione Veneto per fornire acque sicure e perché è una prima timida risposta a più di 350 mila persone contaminate a causa dell’inquinamento dell’acqua di falda della zona di Vicenza, Verona e Padova.
L’opera in questione, composta da sei pozzi e 18 chilometri di acquedotto, è situata nella cittadina di Belfiore e si estende fino a Lonigo, uno dei comuni più colpiti da questo tipo d’inquinamento, tanto da esser stato al centro di un’indagine delle Nazioni Unite nell’inverno del 2021: lo scorso novembre l’Alto Commissariato dell’Onu aveva incaricato una delegazione e organizzato una missione proprio per comprendere se la questione Pfas, considerata una vera e propria emergenza, fosse stata gestita nel rispetto dei diritti umani. Quello che secondo il ricercatore del CNR della delegazione sarebbe «il più grande inquinamento del mondo, per importanza ed estensione, ad esclusione della Cina» per lungo tempo non ha trovato spazio e ancora oggi fatica a trovarlo sulle pagine dei quotidiani del nostro Paese, nonostante da tempo sia stata provata la gravità della questione.
Gli acidi perfluoroacrilici presenti nelle acque venete, chiamati appunto Pfas, sono sostanze chimiche derivanti dalle attività industriali rilasciate al 97% dall’ex fabbrica Miteni e sono notoriamente tossiche, oltre che estremamente persistenti; comportano l’aumento del rischio di numerose patologie come di malattie tiroidee, tumore a rene e testicolo (+30%), di cardiopatia ischemica (+21%), morbo di Alzheimer (+14%) e malattie correlate al diabete (+25%).
L’opera di Belfiore è la prima centrale idrica ad essere operativa tra le quattro previste dalla Regione Veneto per rispondere alla contaminazione da queste sostanze e per creare una rete di pozzi che allacci i paesi della cosiddetta zona rossa alle nuove fonti pulite. A presenziare al taglio del nastro, oltre alle autorità della provincia di Verona e ai rappresentanti della Regione Veneto, anche alcuni comitati ambientalisti cittadini tra cui il gruppo “Mamme No Pfas”, da sempre in prima linea per richiedere acqua pulita e sicura e grazie alle quali la questione era arrivata all’attenzione dell’ONU.
Il 27 luglio 2022 è «una data che ricorda non solo la grande impresa di portare acqua pulita nelle nostre zone contaminate» ha dichiarato Emanuela Foletto, portavoce delle “Mamme no Pfas”, durante l’inaugurazione della centrale di Belfiore «ma anche che è avvenuto un fatto gravissimo: una delle falde acquifere più grandi d’Europa è stata distrutta dall’ignoranza e dalla negligenza umana. Sappiamo che la contaminazione durerà centinaia di anni». Le Pfas sono dotate infatti di una particolare abilità termica che le rende resistenti ai principali processi naturali di degradazione, quasi indistruttibili. «Siamo contenti che si sia costruito in brevissimo tempo un nuovo acquedotto»– ha aggiunto Foletto- «ma questo, come tutti sappiamo, non è sufficiente».
L’opera, finanziata per 24 milioni di euro con fondi ministeriali, permetterà di sostituire, una volta entrata in funzione a pieno regime, fino alla metà delle attuali fonti idriche che alimentano la centrale di Lonigo. Il restante 50% arriverà dalle altre tre centrali ancora in costruzione, una nel Padovano e due nel Vicentino. Con la centrale di Belfiore a pieno regime si riuscirà a fornire continuativamente un flusso idrico di 150 litri al secondo, che potranno arrivare a 250 litri al secondo, quindi circa 22 mila metri cubi al giorno, di acqua controllata e di buona qualità, coprendo così la richiesta di decine di comuni coinvolti nell’inquinamento da Pfas.
Ad oggi, per soddisfare la richiesta idrica della zona, si continua a prelevare da pozzi contaminati, utilizzando un sistema di filtraggio a carboni attivi per neutralizzare gli inquinanti. Un sistema che, oltre a vedere l’uso di acque nocive, risulta essere estremamente costoso. Si parla, infatti, di più di un milione di euro all’anno per la sola sostituzione dei filtri. Questo modus operandi proseguirà fino alla fine del processo per lo spegnimento dei pozzi che attingono dalla falda compromessa, processo accelerato dal taglio del nastro del 27 luglio e che vedrà un punto solo con l’ultimazione e la funzionalità al completo delle tre centrali mancanti. Le altre opere dovrebbero aprire, secondo le previsioni, entro un anno e mezzo, andando a coprire tutto il fabbisogno idrico delle abitazioni della zona con acqua, finalmente, totalmente priva di Pfas.
Nonostante la direzione presa lasci ben sperare per una risoluzione del problema, rimangono aperte ancora molte questioni, come quella della bonificazione delle terre vicino alla Miteni, la contaminazione dei pozzi privati o la questione dell’approvvigionamento idrico per l’agricoltura. Questioni non indifferenti, a cui i comitati cittadini hanno risposto con la promessa di continuare a «lavorare sodo e vigilare».
[di Sara Tonini]