Mancano quaranta giorni alle elezioni del 25 settembre e di una norma che permetta ai cittadini italiani che vivono al di fuori del Comune di residenza di votare neanche l’ombra. Con ogni probabilità, il Parlamento della XVIII legislatura e il “governo dei migliori” non risolveranno uno squilibrio che dalla nascita della Repubblica ostacola la realizzazione e il rispetto di un diritto costituzionale, quello relativo al voto e alla partecipazione alla vita democratica del Paese. Gli elettori fuori sede in Italia sono 4,9 milioni, circa tre volte la popolazione di Malta e Cipro messi insieme, gli unici due paesi europei che – oltre a Roma – non consentono il voto al di fuori del Comune di residenza. Il paradosso e la disparità di trattamento con gli italiani che vivono all’estero, per motivi di studio o di lavoro (gli stessi dei fuori sede), è evidente: un italiano può votare per corrispondenza dalla Nuova Zelanda ma non dal nostro Paese, dove deve tornare nel Comune di residenza per esercitare un diritto costituzionale.
Secondo la relazione di una commissione di esperti istituita dal ministro per i Rapporti con il Parlamento Federico D’Incà, dal titolo “Per la partecipazione dei cittadini. Come ridurre l’astensionismo e agevolare il voto”, in Italia ci sono circa 4,9 milioni di elettori che lavorano o studiano in luoghi diversi dal proprio Comune di residenza: il 10,5% del corpo elettorale. Di questi, quasi 2 milioni impiegherebbero oltre 4 ore, tra andata e ritorno, per tornare nella propria residenza ed esercitare il diritto di voto. Al fattore tempo si aggiunge quello economico, dal momento in cui i costi degli spostamenti (mitigati da eventuali sconti come nel caso del referendum del 12 giugno) sono a carico dell’elettore fuori sede. Un mix di elementi che concorre all’astensionismo dilagante, un fenomeno utile a monitorare lo stato di salute di una democrazia.
Diversi sono gli articoli della Costituzione violati dall’indifferenza sistematica nei confronti dei fuori sede: dall’articolo 48, che disciplina il diritto-obbligo relativo al voto, all’articolo 2, passando per l’articolo 3, che recita: “È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”. Gli italiani regolarmente all’estero – circa 4,8 milioni secondo l’ultima rilevazione – possono iscriversi all’Anagrafe degli italiani residenti all’estero (AIRE) ed esercitare il diritto al voto per corrispondenza. Anche per coloro che non sono iscritti all’AIRE e vivono temporaneamente al di fuori dell’Italia per motivi di studio o di lavoro è prevista la possibilità di votare, compilando una semplice dichiarazione (fino al 24 agosto nel caso delle prossime elezioni). A dimostrazione di come l’alternativa a un meccanismo che mina l’uguaglianza dei cittadini sia possibile, salvo la volontà di un indirizzo politico finora indifferente.
[di Salvatore Toscano]
È vero, ho sbagliato. L’articolo parlava d’altro, dei residenti fuori comune di residenza
Anche dietro questa decisione c’è una statistica. Ho il sospetto che fra i residenti all’estero scarseggino gli adoratori del governo
La solita burocrazia data da sti governanti pagliacci parassiti de mierda