Oltre 140 atenei inglesi sono coinvolti nel fenomeno della cancel culture, ovvero la tendenza a oscurare ed eliminare opere dal passato ritenute incompatibili con la contemporaneità e i suoi valori. A rivelarlo è il quotidiano d’oltremanica The Times con un’inchiesta rivolta al mondo universitario. Nel mirino degli atenei sono finiti decine di classici e diversi autori: da Charles Dickens a William Shakespeare, accusati di “urtare la sensibilità degli studenti” per i temi trattati, rispettivamente abusi sui minori e classismo nel caso dei due scrittori inglesi. Oscurare il passato comporta la creazione di una bolla in cui vivere il presente, al riparo da tutti quei mali che hanno caratterizzato l’evoluzione della storia umana. Una condizione che può indurre gli individui a credere in un passato cristallizzato e non in grado di ripresentarsi, quando la memoria e lo studio rappresentano forse gli unici antidoti a tale eventualità.
L’inchiesta del The Times ha messo in luce l’esistenza di una vera e propria lista di testi banditi negli atenei inglesi, scomparsi dunque dalle biblioteche universitarie, che hanno giustificato la scelta sostenendo che l’iniziativa fosse arrivata dagli studenti. Tra i libri “dannosi”, figura “The Underground Railroad“, il racconto di Colson Whitehead, vincitore del Premio Pulitzer e considerato pericoloso per la sua descrizione troppo incisiva della schiavitù americana. A far compagnia allo scrittore statunitense è una schiera di autori-creatori della letteratura europea moderna: da Shakespeare, con “Sogno di una notte di mezza estate” accusato di contenere accenti di classismo, a Charles Dickens e il suo “Oliwer Twist”, eliminato perché contiene abusi sui minori. Figurano poi Jane Austen, Charlotte Brontë e Agatha Christie, oltre alla tragedia teatrale “La signorina Julie” di August Strindberg, opera che scandalizzò la società puritana di fine XIX secolo.
Quello della cancel culture è un tema che spesso è entrato nelle cronache e nei dibattiti negli ultimi tempi. Se l’origine del fenomeno va trovata nei movimenti sociali e compresa nei suoi fini, ad esempio la volontà dei movimenti indigeni americani di “cancellare” la presenza di statue e monumenti che celebrano la cosiddetta scoperta dell’America che diede il via al loro sterminio, la declinazione istituzionale del fenomeno desta invece diversi motivi di allarme, tanto più evidenti quando si va a intervenire sulla libera fruizione dei libri e della cultura.
[di Salvatore Toscano]
Penso che leggere questi libri per chi ha subito (direttamente o indirettamente) tali sciagure sia estremamente doloroso ed è comprensibile il desiderio di “cancellare” il passato. Purtroppo però, la cancellazione non è possibile ed è solo un tentativo di rielaborazione del lutto che non è funzionale. Inoltre, cancellare questi libri toglie dal filtro della coscienza la possibilità di riconoscere gli abusi come reali nella società attuale (dove prendono in realtà forme diverse), pertanto riducendo il livello di coscienza collettiva e rendendo l’abuso più probabile.
Uno studente universitario mi confidò, anni fa, di aveva interrotto i suoi studi in economia poiché riteneva inutile fargli studiare il passato, allorché gli interessava il presente.
La cultura del passato costituisce una ricchezza indelebile per coloro che vogliono comprendere il presente e prevedere meglio il futuro. Motivo per il quale gli ignoranti preferiscono cancellare il passato.
Mi ricorda quando i nazisti bruciavano i libri…
È il momento di riconsiderare Fahrenheit 451 di Roy Bradbury. Gentili signori, nessuno può decidere che cosa fa parte o non fa parte della cultura. E il passato è il principio metafisico tra i più alti: non si cambia e nessun imbecile come nessun genio può intervenire al riguardo.