Continua l’aumento dei prezzi del gas, una situazione che sta colpendo economicamente l’Europa ormai da molti mesi: il 22 agosto, le tariffe energetiche hanno sfiorato i 300 euro a megawattora, dieci volte di più rispetto alla quotazione di inizio 2021. Così in Italia si comincia a parlare insistentemente di razionamenti e ulteriori interventi di sostegno, con allarmi che arrivano anche dai vertici di Confindustria e Confcommercio, oltreché da alcune personalità politiche. «Prepariamoci ai razionamenti» ha avvisato Carlo Bonomi, presidente di Confindustria, sostenendo che «non possiamo farci trovare impreparati, il governo Draghi può e deve intervenire. Anche con un tetto al gas nazionale». La situazione, almeno nella narrazione politico-mediatica, è precipitata da quando il colosso russo Gazprom ha annunciato che chiuderà il gasdotto Nord Stream per manutenzione dal 31 agosto al primo settembre. Tuttavia, a incidere sull’aumento dei prezzi energetici vi sono diverse componenti, tra cui quella speculativa ha un peso determinante: facendo leva su una minore disponibilità dell’offerta, causata in particolare da contingenze geopolitiche, sul mercato dei futures si scommette sull’aumento dei beni energetici, acquistando dei titoli con l’obiettivo di rivenderli ad un prezzo maggiore nel momento in cui sale il valore della materia prima.
Da questa attività speculativa beneficiano soprattutto le grandi aziende energetiche come ENI che, infatti, nella prima metà del 2022 ha aumentato i suoi profitti del 600%, rispetto allo stesso periodo del 2021, con un utile di 7,39 miliardi di euro. Non risulta, però, che le compagnie energetiche algerine o russe – da cui arriva la maggior parte del gas – abbiano aumentato in maniera considerevole il costo di vendita, così da giustificare l’aumento esponenziale delle bollette e, allo stesso tempo, non è possibile conoscere il prezzo di acquisto da parte di ENI che resta secretato dallo Stato. Non bisogna poi dimenticare che all’origine della possibilità di speculazione vi è la decisione della Commissione europea di sostituire i contratti a lungo termine con Gazprom con i contratti “spot”: in questo modo, i prezzi sono soggetti alla dinamica di domanda e offerta del mercato.
Tuttavia, piuttosto che evidenziare questi aspetti, denunciando e cercando di contrastare le dinamiche speculative, i vertici economico-industriali italiani hanno immediatamente individuato la soluzione nei razionamenti. Lo stesso Bonomi ha chiesto esplicitamente «di affrontare seriamente e immediatamente la predisposizione di un eventuale piano di razionamento», citando come modello la Germania in cui il dibattito sull’interruzione degli approvvigionamenti energetici russi è molto acceso e vede la ferma contrarietà della Confindustria tedesca.
D’altra parte, il tentativo del governo italiano di tassare gli extraprofitti delle multinazionali energetiche non è andata a buon fine, in quanto queste ultime sono riuscite facilmente ad eluderne il pagamento. La somma della tassazione per gli extraprofitti prevista dal governo Draghi ammontava a 40 miliardi di euro, di cui il 40 percento doveva essere versato entro il 30 giugno. Ma la quota di denaro effettivamente versata dalle aziende ha costretto il MEF a ridurre la previsione in bilancio da dieci miliardi a poco più di un miliardo, «in relazione a quanto incassato» fino a quel momento. A fronte, dunque, di guadagni senza precedenti delle multinazionali del settore, i cittadini, oltre ad essere gravati dall’aumento dei costi, potrebbero vedersi costretti a ridurre i consumi di elettricità in pieno autunno-inverno.
Al netto delle speculazioni, infatti, qualora Gazprom non riaprisse Nord Stream ci sarebbe il rischio reale che l’approvvigionamento di gas del Vecchio Continente non sia sufficiente a coprire il fabbisogno energetico di famiglie e imprese, con la Germania in grave difficoltà in quanto più dipendente dal gas russo rispetto alle altre nazioni europee. Si attiverebbe, dunque, il piano di risparmio sui consumi previsto dalla Commissione europea. In ogni caso, anche qualora l’interruzione delle forniture via Nord Stream fosse temporanea, i valori futures di Ice – la società proprietaria della borsa di Amsterdam – indicano che i prezzi sono destinati a rimanere molto più elevati degli anni passati fino al 2025. Così il governo ancora in carica per il disbrigo degli affari correnti – insieme alle parti sociali e ai partiti – sta cercando di correre ai ripari: il sottosegretario di Palazzo Chigi e braccio destro di Draghi, Roberto Garofoli, dal palco del Meeting di Rimini ha affermato che «I recenti aumenti dei prezzi delle fonti energetiche preoccupano. Il governo continuerà nelle prossime settimane a monitorare questa situazione e a muoversi sul solco tracciato dal Capo dello Stato al momento dello scioglimento delle Camere». Non ha escluso, inoltre, che Palazzo Chigi possa varare un nuovo intervento a tutela di famiglie ed aziende.
A pressare il governo in questo senso anche Confcommercio che ha chiesto all’ex Premier di non aspettare il nuovo esecutivo per varare nuovi sostegni oltre a quelli stanziati nel decreto Aiuti bis: le aziende del terziario, infatti, sono in ginocchio a causa del raddoppio della bolletta energetica annua. Gli stessi partiti politici sono in allarme, anche considerato che le elezioni sono alle porte: «Dobbiamo fare in modo che le aziende sopravvivano» ha dichiarato la leader di FdI, Giorgia Meloni, mentre Enrico Letta ha rilanciato il piano energetico del PD in 5 punti: tetto italiano per 12 mesi al prezzo dell’elettricità, un nuovo contratto luce sociale per piccole imprese e famiglie in difficoltà, il raddoppio del credito di imposta attuale per le imprese, e poi un tetto europeo al prezzo del gas.
Mentre le iniziative introdotte per arginare le conseguenze dell’inflazione energetica sono temporanee e insufficienti, le sue cause sono strutturali e coinvolgono molteplici fattori: innanzitutto l’abbandono dei contratti a lungo termine con Gazprom, da cui l’enorme speculazione sui mercati futures e, in secondo luogo, il conflitto diplomatico e geopolitico tra Europa e Russia – fomentato dagli Stati Uniti – che ha portato alle sanzioni verso Mosca e alla sospensione della certificazione del Nord Stream 2. Tutto ciò è alla base della condizione di precarietà in cui si trovano i Paesi europei e la Germania in particolare, costretta a tornare all’uso del carbone e del petrolio, per arginare una recessione annunciata. La situazione energetica del Vecchio Continente è la rappresentazione plastica di un’Europa sempre più decadente e all’angolo dal punto di vista economico e politico, come conseguenza diretta della sua sottomissione ai mercati e ai diktat statunitensi.
[di Giorgia Audiello]
Stiamo comprando a 80$ dagli Usa quello che Gazprom ci vendeva a 2$ e che in Usa costa 8$.
Applausi scroscianti da Rimini…
Devono morire male, tutti!