giovedì 21 Novembre 2024

Il giudice ha deciso: la morte di Enrico Lombardo non deve avere verità e giustizia

Enrico Lombardo aveva 42 anni quando la notte del 27 ottobre del 2019 a Spadafora, un Comune in provincia di Messina, perse la vita dopo essere stato fermato e immobilizzato dai Carabinieri. Sulla vicenda esiste un video che testimonia le fasi concitate del fermo ed è appurato che i carabinieri immobilizzarono a terra Enrico per una ventina di minuti. Altrettanto certo è che sotto il corpo ormai esanime di Enrico rimase sull’asfalto una grande macchia di sangue rappreso. Ma la dinamica della vicenda potrebbe non essere mai chiarita, perché il giudice per le indagini preliminari, Fabio Pagana, ha deciso di archiviare il caso senza nemmeno istituire un processo per individuare eventuali responsabilità.

Secondo le ricostruzioni messe insieme grazie alle testimonianze di chi c’era, le forze dell’ordine, chiamate dall’ex moglie di Lombardo per via del suo atteggiamento aggressivo e della sua insistenza a voler entrare in casa, allertano un’ambulanza affinché controllino e monitorino il suo “stato di agitazione”. A quel punto Lombardo si allontana, per poi ritornare sotto casa della donna qualche ora dopo, con le stesse intenzioni di prima. Inizia una colluttazione con i Carabinieri, richiamati da Galeani (la ex compagna), che questa volta chiede che intervengano più uomini perché «sta ammazzando un carabiniere, lo capite o no? Mandate qualcuno!». In effetti alcuni video, girati dal balcone dell’abitazione, mostrano che quella notte Lombardo e le forze dell’ordine ebbero diversi scontri diretti, riportando da entrambe le parti profonde ed evidenti ferite, almeno a quanto si legge sul verbale: “L’appuntato sanguinava vistosamente dalla testa e dall’orecchio destro; Lombardo con una ferita sanguinante al capo”.  Dalle stesse immagini però emerge un altro dettaglio, di cui la stessa Galeani si è accorta: «Guardando quei video e facendo un rapido calcolo, emerge che le manovre di contenimento di Enrico (che ad un certo punto era ammanettato per terra) da parte dei Carabinieri durano venti minuti», tempo durante il quale l’uomo è bloccato contemporaneamente da tre persone.

Tuttavia, nonostante tali elementi, la procura ha stabilito che tutti gli accertamenti del caso sono stati effettuati e non ci sono sufficienti prove per condannare medici e carabinieri che intervennero quella notte. Secondo le forze dell’ordine l’archiviazione è l’unica via per chiudere la questione, perché di fatto Lombardo sarebbe morto per via di un malore, sopraggiunto durante il fermo e che le ferite sul capo descritte anche nel verbale se le sarebbe provocate battendo la testa contro una cabina telefonica. Una versione dei fatti che non convince il legale della famiglia, Paolo Pollicino, che non manca di far notare che sulla cabina non c’erano tracce di sangue e sul corpo di Lombardo l’autopsia non ha riscontrato alcun elemento plastico o di vetro riconducibile alla cabina stessa. Più rilevante sarebbe invece la presenza di vistose macchie di sangue sui manganelli e sul marciapiede. “Ecco i calci e i pugni mai menzionati!”, ha scritto su Facebook Galeani, postando le foto delle ferite riportate dall’ex.

 

La morte, dice sempre l’autopsia, non è avvenuta per via delle percosse ricevute, ma per un arresto cardio-circolatorio “nella fase di recupero post-stress di una prova da sforzo (di resistenza al contenimento – immobilizzazione da parte di operatori delle forze dell’ordine)”, si legge nel documento scritto dal medico legale. Inoltre le analisi avrebbero confermato un ritardo nell’uso del defibrillatore che, se fosse stato utilizzato immediatamente, avrebbe potuto salvare la vita ad Enrico.

 

Per la famiglia ci sono troppe incongruenze e per questo il caso potrebbe e dovrebbe non essere ancora chiuso. Per l’avvocato «dal punto di vista tecnico giuridico si potrebbe tentare il ricorso in Cassazione. Potremo continuare anche a svolgere ulteriori indagini per vedere se ci sono elementi per la riapertura, cercando altre testimonianze o attività sul materiale agli atti, come il cellulare o altri elementi, che non sono stati vagliati in maniera completa dal gip».

Quello di Lombardo non è un caso isolato. Troppe altre persone, morte in circostanze sospette dopo un fermo di polizia, attendono ancora verità e giustizia. Ve ne avevamo parlato qui.

[di Gloria Ferrari]

 

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