giovedì 21 Novembre 2024

Diario di guerra dalla Terra dei fuochi campana

Il giorno precedente era stato un inferno, un bombardamento generalizzato al napalm tossico. Alcuni paesaggi assomigliavano alla scena finale di Full Metal Jacket di Stanley Kubrick. Rovine, fumo, disillusione, confusione. Con una notevole differenza, non si capiva chi fossero gli amici e chi i nemici. Non c’erano caratteristiche evidenti da poter mettere insieme per le squadre che si opponevano. L’unico che reggeva le fila del conflitto, e lo dominava dall’alto, era sua maestà il Caos. Messo lì da gruppi di potere, con interessi oscuri e ramificati da far pensare che il diavolo non era poi solo Keyser Soze, dei Soliti sospetti.

Alcuni di noi in quell’inferno ci erano venuti volontariamente, anche potendo stare altrove, o tornandovi dopo un’esperienza lontano dal sud. Come i giovani spavaldi, intellettuali o no, della vecchia classe intellettuale borghese, che si arruolavano volontari nei conflitti. Guerra civile spagnola, Vietnam, guerre mondiali. In ogni conflitto bisognava esserci per essere protagonisti della storia; del cambiamento, anche se brutale e disumano. Le nostre generazioni non avevano combattuto conflitti e per questo ne avevamo di grossi, con la spiritualità. I più sensibili sentivano la decompressione emotiva tra il dentro e il fuori. Eravamo diventati tutti schiavi, lo sapevamo, lo accettavamo, e i nostri bisogni indotti, effimeri e inutili, ci traghettavano e ci dominavano, abilmente teleguidati dall’alto. Proprio per questo, alcuni di noi, pochi, ma meglio di niente, nella Terra dei Fuochi avevano trovato il loro campo di battaglia per opporsi a tutto ciò che le catene di quel mondo ci avevano imposto silenziosamente. Un nuovo Fronte di Liberazione, composto di pochi arditi eterogenei e sconclusionati, Full Metal Jacket di mascherine a doppio filtro, viste solo dal divano, davanti alle annichilenti serie di Chernobyl su Netflix.

[Incendio presso lo stabilimento industriale San Marco Evangelista, Caserta; Foto di Massimiliano Esposito]
Come dicevo, il giorno precedente c’era stato un mega rogo nei pressi di un campo rom. Si era organizzata una manifestazione di cittadini, attivisti e residenti proprio a presidiare questa zona, per protestare sui centinaia di incendi di rifiuti, di tutti i generi, nelle dirette vicinanze. L’indomani mi metto sul mio vecchio scooter impolverato, che spesso minaccia di lasciarmi a piedi, per raggiungere il campo rom e fare un pezzo su ciò che sarebbe accaduto. C’è afa, come al solito odore acre. Appena giunto, mi ritrovo meno di dieci persone. Com’è possibile? Dove sono quelli che lottano per i propri cari, per la propria gente, per i figli e le generazioni future? Non so darmi spiegazioni certe. Mi guardo intorno. Più forze dell’ordine che manifestanti. Perché nessuno si ribella ai sistemi criminali che, al limite del genocidio, avvelenano quelle terre, da più di trent’anni? Me ne torno a casa, scrivo il mio pezzo. Prendo un caffè e, in dormiveglia, mi capita di rileggere un mio vecchio articolo, su un’altra occasione d’incontro in cui c’erano stati i medesimi accadimenti. Era andato deserto. Si è fatta ora di cena, rileggo i titoloni di migliaia di persone a contestare un leader di una fazione politica, organizzata dai centri sociali. Un seguito straordinario di dissenso. Lo stesso che si ebbe, qualche tempo fa, in cui il popolo calcistico, sfidando il Covid, si riversò in città, nelle province e nelle periferie, per la vittoria del Napoli nella finale di Coppa Italia. Un Fronte di Liberazione me lo sono immaginato e idealizzato mentre vado dietro alle sirene dei vigili del fuoco e ai nuvoloni neri di morte. Una guerra di Corea in cui decidi tu da che parte stare. Molti hanno deciso di non stare con nessuno. Ed ecco le memorie di un sognatore. Senza compagni…

Una lunga storia di inefficienza e disinteresse

[Incendio presso lo stabilimento industriale San Marco Evangelista, Caserta; Foto di Massimiliano Esposito]
Questo inferno ambientale comincia circa quaranta anni fa, la camorra sversa i rifiuti tossici industriali ed ospedalieri di mezza Italia, nei territori ad altissima densità demografica, le periferie di Napoli e Caserta, la zona che più tardi avrà la denominazione sinistra, di “Terra dei fuochi”. Bisogna sottolineare nel mezzo, che l’emergenza rifiuti in Campania durerà nella sua interezza dal 1994 al 2012. Ma, di fatto non è mai terminata. Un decreto dell’allora presidente del consiglio Ciampi sancisce un provvedimento in cui lo Stato ed il Governo riconoscono, di fatto, il default ambientale a causa dei rifiuti solidi urbani campani, conseguenza della saturazione delle discariche allora attive. I poteri commissariali straordinari vengono delegati al Prefetto di Napoli fino al 1996, dopodiché, nel successivo governo Dini, la raccolta resta in delega straordinaria sempre prefettizia mentre della responsabilità sullo smaltimento dei rifiuti è investita la Regione Campania, nel nome del suo presidente Antonio Rastrelli, con il progetto di realizzare due termovalorizzatori e sette strutture di produzione materiale combustibile derivato dai rifiuti.

Nel 2000, la ditta FIBE controllata Impregilo, vince Rogo di rifiuti speciali a lato carreggiata presso Cardito (NA) la gara d’appalto per l’intero ciclo della gestione rifiuti. Al termine saranno cinque milioni le ecoballe prodotte, circa sei milioni di tonnellate di rifiuti impossibili da trattare nel termovalorizzatore, causa composizione troppo umida: ragion per cui è attualmente in corso un processo penale. Tutt’oggi, come piramidi nere decadenti e cellofanate, le ecoballe della FIBE sono disseminate in siti per tutta la regione.

Nel 1998 una Commissione Parlamentare di Inchiesta mette nero su bianco l’inadeguatezza delle risposte intraprese fino a quel momento. Si continua a sversare nella discarica di Palma Campania, anch’essa destinata al collasso. A partire dal 2001 abbiamo una nuova crisi della raccolta dovuta ancora alla mancanza di termovalorizzatori ed alla raccolta differenziata ancora non operativa. I rifiuti vengono spediti in altre regioni o all’estero, con aumenti vertiginosi di costi per il singolo cittadino. Si riaprono le discariche di Serre e Castelvolturno. Nel 2007 è il governo Prodi che nomina De Gennaro, ex capo della Polizia, nuovo commissario per l’emergenza rifiuti, riprendono i trasferimenti dell’immondizia in Germania, sembra con costi inferiori rispetto ai periodi precedenti, mentre si progetta un unico mega inceneritore ad Acerra. Si riaprono anche le discariche di Chiaiano e Pianura, con grosse contestazioni da parte delle comunità locali.

È il turno poi del governo Berlusconi che tramite decreto legge (n. 90 del 23 maggio 2008, convertito in legge n. 123 del 14 luglio 2008), autorizza una gigantesca operazione di ordine pubblico, definita poi Operazione Strade Pulite. Si prevede la costruzione di almeno quattro grossi inceneritori e le zone prescelte vengono classificate come di “interesse strategico nazionale”, sancendone dunque la competenza militare. Per i comuni che non rispettano le percentuali minime di differenziata si prospetta il commissariamento e il direttore della Protezione Civile, Guido Bertolaso, riceve nuovamente la delega all’emergenza rifiuti. In questa fase c’è una deroga sia delle norme di diritto comunitario sia del codice di procedura penale: si autorizza lo smaltimento nelle nuove discariche anche di alcune tipologie dei rifiuti pericolosi, in più la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Napoli ha la competenza esclusiva ai fini sui reati ambientali commessi sul territorio della regione Campania. I sette impianti per la produzione di combustibile derivato dai rifiuti (CDR) contestualmente vengono commissariati, viene aperta una ulteriore discarica alle pendici del Vesuvio, cosiddetta Cava Sari per una capacità di conferimento di 750.000 metri cubi.

Fino ad arrivare ad una nuova emergenza, alla giunta De Magistris del comune di Napoli ed all’invio dei rifiuti non smaltiti in Olanda. Fermo restando le procedure di infrazione della Commissione Europea per l’emergenza e le diverse inchieste giudiziarie in cui sono state coinvolte amministratori, imprenditori, esponenti della criminalità e politici, la natura del problema dei rifiuti, dei roghi tossici e dunque della Terra dei fuochi, nella sua complessità, resta ancora irrisolta sul finire del 2022.

Cronache di guerra quotidiana

[Discarica illegale nei pressi del campo rom di Casoria (NA); Foto di Massimiliano Esposito]
I dati feroci, e già ultra noti a chiunque si occupi della questione, venuti fuori dall’Istituto Superiore di Sanità riferiti al tasso di incidenza di patologie oncologiche nelle zone della Campania interessate dal disastro ambientale, l’annullamento, di fatto, della Commissione Regionale Speciale sulla Terra dei Fuochi. I roghi tossici, fenomeno ancora oggi altamente presente. Le discariche illegali, vecchie e nuove, mai bonificate ed i responsabili difficilmente identificabili. Le milioni Incendio di capannone industriale a Caserta di ecoballe ancora presenti sul territorio della Regione Campania, non smaltibili in termovalorizzatore e destinate solo alla discarica. Le città ed i territori di Giugliano, Caivano ed Acerra che soffrono i danni peggiori di tali fenomeni cataclismici. Tutti questi fattori, fanno comprendere che nella Terra dei Fuochi il tempo sembra essersi fermato nell’emergenza ambientale infinita.

Il campo rom di Scampia dopo i maxi roghi di domenica 24 luglio 2022, a distanza di due giorni dal disastro ambientale, dove sono andate a fuoco tonnellate di rifiuti di ogni tipologia, non smette di bruciare e fumare. In zona si avverte ancora una fortissima puzza acre di bruciato che irrita la gola. I vigili del fuoco continuano, dopo il gigantesco intervento scorso, a monitorare l’area, nonostante le temperature molto alte, ed il numero quasi insostenibile di interventi. Peggio di un bombardamento di guerra, non c’è pace per la Terra dei Fuochi.

Anche perché qua le bombe scoppiano davvero, solitamente sotto la versione di autobombe. Infatti, dopo l’ennesima bomba a Ponticelli, sembra come se ci fosse lo stato di assedio, lo stato di guerra in tutto l’hinterland napoletano. Se oggi non brucia nessuna discarica illegale, il giorno dopo si vede esplodere una bomba dei clan. Se un altro giorno ancora, andiamo a verificare i dati analitici su disoccupazione giovanile ed abbandono scolastico, è meglio che ci trasferiamo tutti in Norvegia. Sulla sanità pubblica, meglio non dilungarsi. Milioni di cittadini abituati, assuefatti ed oramai indifferenti alle emergenze. Ma se vuoi, qui, puoi usare un monopattino ed essere un sostenitore della transizione ecologica mentre passi accanto a milioni di ecoballe in piramidi nere dimenticate. Siamo in guerra qui, già da un pezzo. Ma la Nato non lo sa.

Una questione di classe, ma la classe si è atomizzata

[Rogo di rifiuti a bordo carreggiata ad Afragola (NA); Foto di Massimiliano Esposito]
Per spiegare le mappature delle città quali Caserta e Napoli, ma soprattutto della loro periferia e provincia, e del loro ambiente antropizzato, non dovremmo scomodare neanche il Teorema di Christaller. Ma in diversi approcci alla materia, per chi non è pratico di geografia economica e le sue molteplici diramazioni, sembrerebbe che le costanti e i fattori preponderanti, siano sempre gli stessi. Le teorie di riferimento legate alla localizzazione di gerarchie urbane, nella loro logica deduttiva, funzionale ed assolutamente non casuale, non fanno rivisitare quegli studi di metà novecento, ma evidenziano nuove realtà. Nell’interpretazione dei sistemi urbani, le presenze di campi rom, di discariche o strutture legate al trattamento di rifiuti, legali e illegali, di roghi tossici recensiti e mappati, sono collocate quasi sempre in zone periferiche o di provincia. In quartieri dormitorio, denuclearizzati della loro pseudo agorà, sostituita dalla piazzetta del centro commerciale iperglobalista. Le stesse zone in cui c’è una fortissima presenza macro e micro criminale, una scarsa diramazione istituzionale e di infrastrutture. Nelle scelte di insediamento urbano, sembrerebbe come gettare acqua sul fuoco, ma invece il trend direzionale è sempre lo stesso. I nuclei più benestanti si pongono agli antipodi di queste realtà, vivendo a ridosso del centro oppure nelle immediate vicinanze, in zone residenziali costruite ad hoc. Nei territori ad alto impatto ambientale, dove i vari istituti di ricerca, privati e statali, evidenziano incrementi di malattie oncologiche di centinaia di volte superiori alla media, vanno a vivere giovani o coppie che hanno salari medio/ bassi. Per i costi molto contenuti degli appartamenti, in località di dubbia salubrità ambientale e non solo. Si stanno costruendo così insediamenti nocivi in serie, abitati in base al censo, che non rappresentano neanche una proiezione abitativa in base alla classe sociale, bensì la conseguenza della sua atomizzazione. Anche l’illuminato Tyler Durden in Fight Club, rifiutando una società degenerata totalmente legata ai consumi di massa indotti, che non lo accetta, va a vivere in uno stabile abbandonato vicino ai toxic waste, per farlo diventare, poi, il suo quartier generale nel quale sviluppare un progetto per sovvertire le fondamenta di quella società così profondamente iniqua. Invece il popolo atomizzato del centro commerciale, delle discariche e dei campi rom è svuotato sia di un’identità di classe, che di comunità. Difficilmente ha un territorio in cui si identifica nella sua sdradicata interconnesione identitaria, né luoghi pubblici in cui incontrarsi che rappresentino storia e cultura degli avi. Non ci sono intellettuali o correnti culturali che coinvolgono e raccolgono i pensieri collettivi, cementificandoli. Questa precarietà degli individui e dello spirito, voluta ed indotta, ha creato una zona pestilente ed oscura delle città. Dove si confonde male e bene, solidarietà e finto buonismo, strumentale ai potenti. Mercificazione di questa atomizzazione della non identità. Funzionali al sistema, perfette vittime sacrificali di una società solo di facciata pacifica, pacifista, democratica e solidale, ma che nelle ombre nelle periferie proietta tutte le contraddizioni della sua versatile e feroce anima nera.

Le periferie meridionali, scatola nera della fase terminale del capitalismo

Diario di bordo: sono in centro città per una manifestazione contro i finanziamenti del governo alla guerra in Ucraina, mi chiamano dicendo di correre in un comune della provincia di Napoli, Caivano, poiché brucia un mega deposito di quasi 200 auto da rottamare. Fumo nerissimo in cielo visibile da diversi chilometri. Mi precipito col mio scooter, sento e vedo le sirene dei Vigili del Fuoco in uno scenario bellico, con quaranta gradi ed aria afosa anche senza rogo. Mi avvicino quanto più possibile per scattare qualche foto. Non so quanti centinaia di copertoni saranno andati carbonizzati, ai margini del Parco Verde, non so quanti terreni agricoli e falde acquifere saranno contaminate irrimediabilmente. Fatto sta che la Terra dei Fuochi ci accompagna ogni giorno della nostra esistenza. Soprattutto nel periodo caldo e nelle periferie lontane dai circuiti turistici. Qualche volta la politica se ne ricorda sui social, solitamente sotto elezioni.

Lo scenario: la periferia napoletana e casertana post globale, teatro di un’apocalissi ambientale ultratrentennale, senza cenni di discontinuità. Quasi una scatola nera della modernità, dove sono più evidenti le secrezioni tossiche e disumanizzanti di un sistema iniquo, quasi irreale, al limite della degenerazione antropologica. La terra diventa veleno, il rinnegare l’identità ancestrale dei nostri avi, il fuoco che consuma tutto ciò che il mondo ricco non vuole più, generando morte. Palazzoni dormitorio, amministrazioni comunali sciolte per infiltrazioni mafiose o in bancarotta, piloni stradali, campi rom, discariche, centri commerciali. Emigrazione, omologazione, abbandono sociale. Spirito di sopravvivenza e spregiudicata creatività endemica. Dentro questi contenitori, che spesso diventano contenuti, contraddizioni isteriche al limite della schizofrenia intellettuale.

Il tempo è quello del dopo pandemia, dell’apoteosi del mondo senza confini, del mondialismo senza compromessi. O del suo definitivo tracollo, in un crepuscolare, quanto incerto, cammino dell’umanità verso il Caos preinstallato. Spartiacque tra questi eventi duraturi e calamitosi, è lo studio ultimato dal gruppo di lavoro indipendente dell’Istituto Superiore di Sanità, su richiesta della Procura della Repubblica di Napoli Nord nel 2016, con un obiettivo specifico e ben delineato: pubblicare dati empirici e multifattoriali sul nesso tra Terra dei Fuochi ed insorgenza di malattie oncologiche o patologie correlate al disastro campano. I dati sono venuti fuori tra la fine del 2020 e l’inizio del 2021, significativamente scioccanti per la crudezza, in cui emerge un territorio devastato da anni di emergenze e veleni, con coefficienti altissimi di morti e malati nelle zone prese sotto esame. Silenzi, omertà, connivenze, all’ombra di una Chernobyl alle falde del Vesuvio. Dove tante piccole bare bianche aspettano e chiedono una giustizia, che per adesso, ancora non è arrivata.

[di Massimiliano Esposito]

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