Gouda, Paesi Bassi, la piazza del mercato del formaggio, che ricorda in pieno la pittura fiamminga, è anche la sede della municipalità e del suo severo palazzo, al centro, dove si esercitava il diritto sin dalla fine del XV secolo, quando la città aveva acquisito la sua autonomia giuridica. Sulla facciata campeggia la scritta: ‘alteram partem audite‘ (ascoltate l’altra parte). Sentenza sintetica che mostra quanto sia importante dare ascolto a tutti coloro che sono coinvolti in una causa, per garantire giustizia.
Umea, Svezia settentrionale, quasi in Lapponia. Propaganda elettorale in città, quest’anno. Dieci casette in legno e una roulotte formano un emiciclo nella piazza dell’area pedonale davanti al municipio. Ognuna è il banco di una delle formazioni politiche presenti alle elezioni. I liberali vicino alla sinistra radicale, i conservatori tra i verdi e i socialisti, i pacifisti e i sovranisti gli uni accanto agli altri. La gente (rara, a dire il vero) passa e scambia qualche parola, i candidati avversari e i militanti chiacchierano tra di loro.
Obidos, Portogallo, appena passate le mura antiche di questa cittadina, piena di tradizioni e di attrattive turistiche, trovate una lapide sul muro di un bar che ricorda la riunione dei colonnelli in rivolta, 1974, contro il regime di Salazar: io, ogni volta che sono passato, mi sono fermato un attimo e ho provato un brivido di emozione. La rivoluzione dei garofani rivive poi a Lisbona col maestoso ponte in acciaio, il ponte 25 aprile, intitolato a quel giorno fatidico del 1974, mostrando come l’avvento della democrazia meriti di essere celebrato.
Molte e differenti sono le occasioni e anche le definizioni di democrazia: può essere pensata come una forma di governo e di rappresentanza risultante da libere elezioni, oppure un modo di esercitare il potere dando voce a tutti in modo efficace ma soprattutto a chi è tagliato fuori per ragioni economiche o di cultura, di educazione o di condizioni oggettive, ad esempio sanitarie.
Dal punto di vista di una psicologia popolare, alla maniera di Jerome Bruner, ‘democrazia’ potrebbe essere la condizione richiesta se si vuol dare ascolto alle esigenze fondamentali, ripartire equamente le risorse, operare onestamente per il bene comune. Democrazia, poi, a essere radicali è la forma di governo che dovrebbe garantire meglio di ogni altra il rispetto della Carta dei diritti fondamentali dell’uomo.
Ma forse a ‘democrazia’ non basta una definizione o una accezione popolare, e nemmeno sono sufficienti studi di filosofi, scienziati, giuristi e storici della politica che ne intercettino le vicende contraddittorie.
La democrazia infatti è una sensazione, una sensazione in negativo però, che puoi dire meglio quando non c’è, mentre è difficile dire quando davvero ci sia. Democrazia è la sensazione di una mancanza, di una completezza non raggiunta, di una crisi sempre incombente, la percezione di un ideale contraddetto continuamente da pratiche speculative, sopraffattrici, furbesche, illegali, segnata dalla violenza invece che dalla tolleranza, dalla manipolazione invece che dalla onestà intellettuale. La democrazia dovrebbe essere un teatro, una scena sociale, prima di tutto fatta di ascolto, di dignità riconosciuta a chiunque, di gioco delle parti senza prevaricazioni.
La democrazia infatti è una ipotesi, un punto di arrivo, anzi di transito. Bisogna lavorare per ottenerla e i suoi principali nemici non sono i totalitari, i violenti, gli intolleranti che non la sopportano. I nemici più subdoli sono coloro che si dichiarano democratici per rendere superfluo dimostrarlo nei fatti. La democrazia è parola nobile ma usurata, ammantata di ipocrisia, di falsa coscienza.
Karl Popper affermava che i poteri di chi governa vanno limitati perché la democrazia senza continuo controllo sociale e vera libertà di mercato diventa tirannide. In altri termini anche per la democrazia vale la teoria falsificazionista. Essa è in grado di continuare e affermarsi soltanto se sa imparare dai propri errori. La libertà e la democrazia non sono perfette ma piene di difetti, affermava John F. Kennedy. Ma allora: se un governo, un qualsiasi governo, non sa ammettere dove ha sbagliato, a che cosa serve la democrazia?
[di Gian Paolo Caprettini]
Mi associo al Sig. CATUREGLI. Esempio emblematico è stata la l’informazione in ITALIA. Se si usciva dalla linea indicata dal governo, si veniva automaticamente allontanati da qualsiasi schermo o stazione radiofonica in quanto non allineati al “regime”. Deludente e preoccupante si è dimostrata una sinistra che sventolando la bandiera della “DEMOCRAZIA” con una ipocrisia indecente ha mostrato la sua inettitudine al governo del ns paese. C’è da pensare…….
Proprio così! Grazie del suo intervento
grazie GPC, il tema è fondamentale. Spero che sia l’introduzione del libro con questo titolo.
Ma la democrazia non esiste. Se il consenso è diretto da mezzi d’informazione di proprietà della finanza multinazionale, si chiama DEMAGOGIA.
Molte dittature sono meno peggio delle false democrazie con governi che non contano niente, la storia recente lo insegna.
Il ruolo dell’informazione è cruciale. Tu lo sai. Noi lo sappiamo.
Grazie a te, anche per l’incoraggiamento a scrivere un libro a cui non avevo pensato. Ma non ci eravamo conosciuti a Milano, sei stato allievo di Achille Castiglioni? Cari saluti
Si forse a Milano, sono qui da sempre, ero con Sottsass. Spero davvero in un approfondimento strutturato. (anche a puntate!)
Molte grazie, sinceri auguri e saluti.