Quando si pensa al pane si è naturalmente portati a considerarlo come un prodotto alimentare emblema di semplicità, di antiche tradizioni e costituito da pochi ingredienti naturali: acqua, farina, lievito e sale. Eppure non sempre è così, infatti, sempre più spesso, specialmente il pane industriale, viene prodotto attraverso l’ausilio di “prodigiosi” mix di sostanze in gergo definiti “miglioratori”. Il consumatore è spesso ignaro di queste sostanze aggiunte al pane dai panifici, anche perché per molte di queste sostanze (eccetto quelle che sono considerate allergeni, come la lecitina di soia) non vi è nessun obbligo di dichiararli in etichetta nella lista ingredienti.
Per la precisione, se acquistiamo del pane già pronto (cotto), non ritroveremo mai nella lista ingredienti l’elenco delle sostanze usate come “miglioratori”; se invece acquistiamo un pacco di farina per fare il pane o la pizza, allora esiste l’obbligo di indicare in etichetta l’aggiunta di questi eventuali miglioratori (vedi l’esempio in foto). E perché mai delle sostanze usate nella preparazione del pane non dovrebbero essere dichiarate fra gli ingredienti? È presto detto: perché tali sostanze appartengono alla vasta e non ben precisata famiglia di additivi alimentari chiamati “coadiuvanti tecnologici”.
Questi ultimi, non sempre ma spesso, godono di uno status strabiliante ma discutibile: possono non essere indicati in etichetta, con la motivazione che tali elementi in teoria vengono distrutti durante il processo di trasformazione e produzione dell’alimento, e quindi il consumatore non li ritrova nel prodotto finito che va a consumare. Sta di fatto però che queste sostanze nel pane ci vanno (anche se in un quantitativo inferiore al 3% del totale dell’impasto) e ne condizionano la qualità nutrizionale finale.
Il regolamento UE 1169/2011 (art.20) prevede l’esenzione dalla lista ingredienti dei coadiuvanti tecnologici, cioè quelle sostanze che “non sono consumate come ingrediente alimentare in sé ma sono volontariamente utilizzate nella trasformazione di materie prime, prodotti alimentari o loro ingredienti, per rispettare un determinato obiettivo tecnologico in fase di lavorazione o di trasformazione. Nel prodotto finito si riscontra la presenza, non intenzionale ma tecnicamente inevitabile, di residui di tale sostanza o di suoi derivati e perciò possono non essere dichiarati tra gli ingredienti“.
Premesso che i cosiddetti miglioratori del pane sono considerati dall’industria alimentare degli stabilizzatori degli impasti, va detto però che essi non hanno nulla a che fare con la panificazione artigianale e tradizionale. Questi coadiuvanti della lavorazione derivano da sostanze come la soia, il frumento e il pancreas di suini e sono usati per favorire un impasto soffice, aumentare la capacità di magazzino, rafforzare il sapore e permettere ai produttori di aggiungere più acqua oltre ad usare farine di qualità relativamente inferiore, dal momento che spesso il sapore è determinato in parte dal miglioratore. Inoltre, fatto non da poco, velocizzano la lievitazione (facendo risparmiare tempo quindi determinando una maggiore produzione e perciò guadagno).
Prima che le industrie chimiche cominciassero a produrre questi coadiuvanti enzimatici, il pane e tutti gli altri lievitati sono sempre stati fatti in maniera tradizionale e naturale. Oggi molti panettieri li usano per motivi commerciali e di profitto, in quanto permettono di ottenere crosta e mollica sempre uguali e della stessa consistenza e garantiscono la tenuta degli impasti ad eventuali e impreviste variazioni di umidità e temperatura, che altrimenti per il panettiere potrebbero significare la perdita dell’impasto con conseguente danno economico. Quando il pane era fatto in modo tradizionale, impastato e cotto a distanza di poche ore, non c’era necessità di stabilizzare gli impasti, ma oggi ci sono anche gli impasti che viaggiano da uno stabilimento all’altro e addirittura da una nazione all’altra, prima di essere trasformati e subire la cottura definitiva (esemplare il caso del pane precotto e surgelato che si vende in vari discount).
Ma come facevano anni fa a produrre dell’ottimo pane se nell’impasto non erano adoperati i miglioratori?
Semplice, i panificatori di un tempo, e qualcuno ancor oggi, usavano farine di ottima qualità con un buon contenuto di glutine, non si improvvisava (chi faceva il pane aveva una lunga esperienza) e non si aveva fretta. In altre parole l’uso attuale di farine di scarsa qualità merceologica (ma non igienico-sanitaria) e di lieviti industriali (e non lievito fresco) costringe ad adoperare i miglioratori che fondamentalmente migliorano le caratteristiche organolettiche del pane (odore, sapore, colore e consistenza).
Elenco dei principali miglioratori
- La proteasi è un miglioratore (enzima digestivo) che si estrae spesso dal pancreas dei suini, e questo pone un problema di corretta informazione e acquisto consapevole per tutti i consumatori che sono vegetariani e vegani. In etichetta non vi è infatti obbligo di menzione per la proteasi. Riguardo questa sostanza è controversa l’origine dal maiale o meno, alcune fonti dichiarano che la proteasi non è derivata dai suini, altre invece dichiarano apertamente che si estrae dal pancreas suino. Anche il noto chef Giancarlo Vissani, durante un dibattito sulla dieta vegana, ha dichiarato in TV che nel pane si utilizza un miglioratore estratto dagli enzimi del pancreas dei suini.
- E300 Acido Ascorbico. Si tratta di un agente di trattamento delle farine con funzione antiossidante che viene a volte aggiunto alle farine di frumento in fase di produzione o confezionamento delle stesse. Ha la proprietà di decomporsi nel giro di poche settimane nel corso dell’immagazzinamento delle farine. Durante questo periodo ne aiuta il mantenimento ottimale agendo appunto da antiossidante. Non sono elencati in etichetta nei prodotti da forno (eccetto quelli allergizzanti come lecitina di soia o glutine).
- Lecitina di soia (E322): va comunque dichiarata essendo la soia un allergene. Trova impiego nei prodotti lievitati perlopiù in pasticceria da forno ma può essere utilizzata anche in panificazione. Rende gli impasti più estensibili e lavorabili e può allungare la durata del prodotto. Negli impasti che vengono surgelati può migliorare la conservazione e stabilizzare la fase di lievitazione.
- Monodigliceridi degli acidi grassi: vengono utilizzati come emulsionanti e stabilizzanti in varie preparazioni soprattutto dolciarie e da forno. Sono classificati con la sigla E471. Nel pane e nei prodotti da forno si usano per conservarne la “morbidezza”.
- Amilasi (enzimi digestivi per la digestione di amidi e carboidrati). L’amilasi è estratta dal malto d’orzo o dal frumento. Conferisce una colorazione giallo oro intensa, migliorano la lievitazione e migliorano la trasformazione dell’amido in zuccheri semplici.
- Malto (farina di frumento maltata): tra tutti i miglioratori è quello più naturale, infatti si ottiene semplicemente dalla macinazione dell’orzo germinato.
- E281 – propionato di sodio, E282 – propionato di calcio, E283 – propionato di potassio: sostanze che evitano il “collasso” del glutine.
- Zucchero (saccarosio o destrosio): accelera la fermentazione.
- Sale: conferisce naturalmente il sapore ma in quantità eccessive serve a rallentare l’attività dei lieviti.
Di che qualità sono le farine che impiegano i miglioratori?
Come già accennato l’utilizzo dei miglioratori nasce per velocizzare il processo produttivo, standardizzare il prodotto e soprattutto migliorare il pane realizzato con farine di scarsa qualità. Le farine scadenti utilizzate da gran parte dei panificatori italiani sono farine a basso costo poiché di varietà povere di glutine e provenienti dall’estero, dove in alcuni paesi le coltivazioni di grano avvengono con l’utilizzo di pesticidi oltre il limite consentito dalla legge italiana e addirittura con alcuni pesticidi in Italia vietati.
Se acquistiamo il pane meglio andare alla ricerca di prodotti di qualità inoppugnabile e che godono di una certificazione che esclude l’uso di miglioratori, come ad esempio il Pane di Matera IGP o il Pane di Altamura DOP.
Fortunatamente, in Italia ci sono ancora forni artigianali che preparano ogni giorno pane di grande qualità, che possiamo poi ritrovare in vendita ogni mattina anche presso la Grande Distribuzione e quindi nei supermercati, di lato a quello più industriale. Ma serve conoscere a quale prodotto puntare, selezionando quelli buoni in mezzo ai tanti presenti.
[di Gianpaolo Usai]
Mi verrebbe da andare dal mio panettiere e chiedergli di mostrarmi il sacco della farina. Certi pani che trovo sul bancone, di zucca, di patate, ho chiesto e sono fatti con farine già pronte. E io che pensavo ci schiacciasse dentro zucca e patate!
Grazie dell’articolo. Molto interessante e, soprattutto, utile.