Scrivere, ma anche leggere, significa entrare in un mondo come in una casa di amici che ancora non conosci. Diventare testimoni di qualcosa che tu stesso hai creato. Scrivere è calpestare passi ignoti oppure orme già tracciate che tu fai risuonare, archetipi e miti che ti incaricano di farli esistere ancora, maschere che cercano un nuovo destino.
Se ti metti in ascolto, se guardi distrattamente, se lasci spazio ai ricordi, compariranno i tuoi personaggi, le voci, i volti, le loro aspirazioni. Pirandello raccontava di aver aperto la porta del suo giardino perché i soggetti delle vecchie e delle nuove storie si incontrassero con lui, per rivendicare nuova attenzione o per avere ancora un seguito alla propria vita.
La scrittura ha a che fare con l’immateriale, con la consistenza che lo scrittore decide di attribuire: realtà dure e pure, fantasie, fenomeni veri o fittizi, piani circoscritti o estensioni senza confine, descrizioni o allusioni…
Stasera, quando mi addormenterò, inizierà il mio romanzo notturno che nessuno scriverà e nessuno leggerà perché rimarrà sospeso tra le parole non dette, fra gli urli di rabbia, fra i sussurri di amore, fra gli incontri casuali più o meno sensati, più o meno concreti, fra gli incantesimi e le utopie, quasi favole per adulti, fra le braccia sconosciute della sorte, tra i sorrisi stupiti e le lacrime di gioia, gli enigmi di un senso sepolto.
Questo il più bel risveglio, tra le pagine bianche che ancora dovrò riempire, voi nuvole cangianti, pensieri sognati, impossibili ma veri, prigionieri di un ieri sereno, scrivere come sognare, incontrare anime e corpi immersi nell’imprevedibile.
Nel frattempo sono tornato da un lungo viaggio in Europa, in camper, con sorprese folgoranti, con scoperte toccanti come quelle pecore sdraiate in mezzo alla strada, con le auto lente che facevano slalom o la prima volta delle renne, padrone silenziose della foresta. E l’oceano, fosse Portogallo o Lofoten, quanto ha da dire? Il linguaggio dei pesci o dei naviganti, di chi fatica o di chi immagina, anche a tavola? Gli smørrebrød con aringa a Flensburg, il polpo del Museu da cerveja a Lisbona, la friture de joels in Provenza. E ancora l’asprezza di Göteborg in Svezia, città travolta dalla sicurezza precaria, da continui furti e aggressioni. E Oscar che a un mercato in Catalunya mi ricordava orgoglioso Camarón de la Isla, il grande chitarrista cantante gitano. E la miniera di rame dismessa (Røros, Norvegia) con quelle alte colline di detriti nel paese su cui la gente sale come pellegrini.
Ogni ritorno è comunque un risveglio, una promessa fatta a sé stessi che c’è ancora molto da capire, perché finché ci saranno sogni ci sarà anche realtà. E finché ci sarà scrittura ci saranno nuovi mondi possibili.
[di Gian Paolo Caprettini – semiologo, critico televisivo, accademico]