Centinaia di persone affette da malattie terminali stanno condividendo sul social network TikTok il loro il percorso. Attraverso l’hashtag #Terminal e altre parole chiave si possono trovare sulla piattaforma numerose testimonianze di persone che stanno morendo e vogliono condividere sul loro profilo le proprie sensazioni, emozioni e storie. Non si tratta di un trend ma più di un’esigenza di alcuni iscritti di condividere il loro vissuto, di confrontarsi con utenti che stanno affrontando situazioni simili, di trovare forza e supporto da degli sconosciuti in tutto il mondo. Uno spaccato socio-antropologico dei nostri tempi, che mostra un uso spesso non considerato dei media sociali.
Qualche storia. Teed è una donna di mezza età australiana. Era una persona molto attiva, le piaceva fare sport e stare all’aria aperta fino a quando un anno fa, dopo i primi sintomi, ha scoperto di soffrire di sclerosi laterale amiotrofica. Comunemente conosciuta come SLA, la sclerosi laterale amiotrofica è una malattia neurodegenerativa che conduce alla paralisi dei muscoli volontari fino a coinvolgere anche quelli respiratori. “Hi, I’m Teed and I’m terminal”: questa è la frase con cui la donna inizia ogni suo breve video, salutando cordialmente e affrontando in poco tempo, circa 30 o nei casi più lunghi 60 secondi, grandi temi come la morte, l’attesa e la concezione del tempo, la re-definizione di felicità. “Tantissime cose che ero solita fare, semplicemente non posso più farle. E sì, questo fa schifo. Ma se continuo a focalizzarmi sulle cose che non riesco più fare, non riuscirò mai veramente a godere delle piccole cose che invece posso continuare a fare”. Le riflessioni di Teed (@teed.alex) non si basano su argomentazioni filosofiche o etiche ma sono suoi pensieri, come in un continuo flusso di coscienza che condivide con migliaia di sconosciuti, come un diario personale letto pubblicamente. E la sua storia ha un impatto perché questi sconosciuti la ascoltano con affetto, commentando i suoi video con saluti o auguri, ringraziandola per averli resi partecipi del suo percorso. Alcuni suoi TikTok sono diventati virali, come quello in cui racconta come ha organizzato il suo funerale e che ha raggiunto le 2 milioni di visualizzazioni, o ancora il video in cui spiega “Cosa non dire a qualcuno che sta morendo”, che ha raggiunto 1 milione e mezzo di visualizzazioni. A chi la critica per passare i suoi ultimi giorni su un social risponde che TikTok le fornisce moltissimo supporto ed intrattenimento, “e adoro questo e la comunità che si è creata attorno a me”.
La scelta di raccontarsi su TikTok, però, mette in luce anche altro ovvero l’assenza, spesso totale, di un supporto psicologico accessibile. Se prendiamo come esempio l’Italia, le cifre parlano da sé: solo 5 mila psicologi sono impiegati nei servizi pubblici italiani e solamente nel 25% delle ASL del Paese ci sono servizi di psicologia che coordinano le attività e si interfacciano con i cittadini. Questi numeri si riferiscono all’assistenza psicologica in ambito sanitario nel totale, non solo e specificatamente alle persone con malattie terminali, ma rendono l’idea dell’importanza che si conferisce al supporto psicologico nel nostro Paese.
[di Sara Tonini]