Molti la ritengono, semplicemente, “una bellissima storia di mafia”. Eppure, la leggendaria trilogia de “Il Padrino” di Francis Ford Coppola – tratta in parte dall’omonimo romanzo di Mario Puzo, pubblicato nel ’69 -, il cui capitolo iniziale festeggia oggi i 50 anni dalla sua prima proiezione nelle sale italiane, è molto più di una mastodontica opera crime. Spalmata cronologicamente per tutto il ‘900, è innanzitutto un’affascinante storia di redenzione personale e familiare, capace però di abbracciare prospettive altamente universali. Elemento fulcro della narrazione è il destino incrociato dei due personaggi principali, attorno a cui ruotano quelli di tutti gli altri: il celebre capofamiglia Don Vito Corleone, interpretato nel Padrino parte I da un iconico Marlon Brando e nel Padrino parte II da un giovanissimo Robert De Niro, e suo figlio Michael Corleone, impersonato da un magistrale Al Pacino. Vittime predestinate, ciascuno a suo modo, del cancro della cultura mafiosa, vengono entrambi risucchiati dai suoi meccanismi distruttivi: dopo avere scalato le gerarchie del crimine e ottenuto un enorme potere, infatti, subiranno i tragici effetti delle loro scelte irreversibili, che coinvolgeranno fatalmente le sorti delle persone che amano.
La “pecora nera”
Michael Corleone, nato nel 1920, è il figlio terzogenito di Don Vito Corleone, padrino di una delle famiglie mafiose più potenti di New York. Oltre al fratello adottivo Tom, Mike ha una sorella minore, Connie, e due fratelli maggiori: Sonny, archetipo del boss spietato e focoso, e Fredo, personaggio fragile e insicuro che, a causa della sua inaffidabilità, viene tenuto ai margini degli affari del clan. Il rapporto tra Mike e la sua famiglia è molto complesso, perché il ragazzo rifiuta sin da subito di farsi soggiogare dalle logiche mafiose di casa Corleone e, contro il parere di tutti, decide di arruolarsi nei Marines dopo i fatti di Pearl Harbour, venendo decorato con la Navy Cross per l’eroico servizio prestato nella Seconda guerra mondiale. Inoltre, nella totale disapprovazione dei membri della sua famiglia, si fidanza con l’americana Kay Adams (interpretata da Diane Keaton), figlia di un pastore protestante, manifestando concretamente l’idea di voler progettare il suo avvenire in libertà e non sulla base di logiche culturalmente preordinate.
Eppure, al netto della sua innata propensione alla “ribellione” ragionata, Michael ama profondamente suo padre, che da sempre nutre per lui grande ammirazione, stimandone l’intelligenza e la preparazione (caratteristiche estranee al patrimonio caratteriale dei fratelli maggiori). La sua vita subisce un profondo scossone quando Don Vito cade vittima di un attentato per mano del boss rivale Virgil Sollozzo, il quale viene coperto dal capitano di polizia Mark McCluskey. Quest’ultimo, affrontato da Mike davanti all’ospedale in cui suo padre, che non è deceduto, si trova ricoverato, arriva a stenderlo con un pugno in pieno volto. Sarà l’inizio della fine.
Il piano inclinato
A quel punto, Mike si trova davanti a un bivio. Il suo personaggio è scisso tra l’elemento razionale, che da sempre lo porta a rifiutare le nefandezze dell’ambiente in cui è vissuto, e un istinto di protezione verso i suoi cari e vendetta contro i loro oppositori, che prende il sopravvento e lo induce a macchiarsi del suo primo delitto: il giovane, infatti, uccide Sollozzo e McCluskey in un ristorante del Bronx, nella cornice di un finto incontro pacificatore, per poi scappare a Corleone, protetto da un vecchio amico e socio di suo padre. Il tutto accade all’insaputa di Kay, che si trova spiazzata, poiché nessuno dei familiari di Mike la mette al corrente di quanto accaduto né di dove si trovi il suo fidanzato, che nel frattempo, in Sicilia, riscopre le sue radici e, nel 1947, si sposa con una bellissima donna del posto, Apollonia. Quest’ultima, ignara dei reali motivi che hanno portato il marito a doversi rifugiare a Corleone, morirà tragicamente in un attentato ordito ai danni di Mike dai suoi nemici ed eseguito grazie al tradimento del suo guardaspalle. Questi piazza una bomba sotto l’auto di Mike, che viene però messa in moto da Apollonia, la quale è investita in pieno dall’esplosione.
Mentre Mike si trova in Sicilia, lentamente suo padre si sta riprendendo dall’attentato subito e, dall’ospedale, viene trasferito nella sua residenza. Qui, a stretto giro, riceve da Tom due notizie che lo distruggono psicologicamente. In primis, gli viene riferito che è stato proprio Mike a uccidere Sollozzo e McCluskey. Don Corleone reagisce trincerandosi in un silenzio stizzito e preoccupato: per suo figlio Mike, l’intelligente padrino prevedeva un radioso futuro da uomo delle istituzioni negli Stati Uniti, non certo da killer di mafia; successivamente, apprende che suo figlio Sonny è deceduto dopo essere caduto in un’imboscata. Rinverrà con grande dolore la sua salma, completamente sfigurata dai proiettili. Vito manifesta con le lacrime il suo decadimento interiore, mostrando per la prima volta il suo lato umano: quello di un genitore che, nonostante l’enorme potere acquisito sul campo – o, forse, proprio a causa della sua posizione nelle gerarchie criminali – non è riuscito a proteggere adeguatamente i suoi figli. Quello di un padre che, tra le riverenze di chi lo ama e lo teme (elementi quasi sempre legati da un sottile filo rosso), prende consapevolezza del suo fallimento.
Un nuovo padrino
Da questo momento in avanti, Mike entra in un meccanismo perverso che non gli consente più alcuna via d’uscita. Una volta tornato a New York e sposatosi con Kay, la quale accetta di proseguire la sua vita al fianco dell’uomo che ama, sperando utopisticamente in un futuro familiare più sereno, il suo personaggio è completamente risucchiato dall’effetto domino della guerra di mafia in corso. Il padre Vito, nel frattempo, è morto, dunque Michael dovrà gestire in prima persona la delicatissima situazione di conflitto con le altre famiglie mafiose. Emblematica della sua ormai acclarata spietatezza è la “resa dei conti” del Padrino parte I (ne avverrà una per ogni finale dei tre capitoli dell’opera cinematografica, secondo uno schema sapientemente elaborato da Coppola, che fa iniziare ogni film in un clima di festa “all’italiana” e lo fa terminare in un bagno di sangue). Essa ruota attorno alla famosa scena del battesimo del figlio di Connie, in cui il padrino Michael, mentre giura davanti a Dio di “rinunciare” a Satana, fa uccidere uno ad uno i suoi nemici. Michael non è solo il mandante degli omicidi dei capi degli altri clan di New York, ma anche dei “traditori” interni alla famiglia, come il capo-regime Tessio, vecchio socio di suo padre, e Carlo, il marito di sua sorella Connie, colpevole di avere “venduto” Sonny ai suoi assassini. Il cognato di Michael verrà strangolato dall’altro capo-regime del clan, Peter Clemenza, padrino di battesimo di Sonny: ecco emergere – ed è solo uno degli innumerevoli esempi disseminati nei capitoli della trilogia – il legame inscindibile tra l’ottica mafiosa e l’elemento rituale-simbolico-religioso, che costituisce lo sfondo, ma spesso anche il metronomo, delle sue crudeltà più efferate.
Esemplare è l’ultima scena del Padrino parte I, in cui Michael viene “sacralmente” investito della carica di nuovo capo-famiglia attraverso il cerimoniale del baciamano da parte dei suoi sottoposti. Contestualmente, il suo autista Al Neri chiude la porta della stanza in cui sta avvenendo il rito, lasciando fuori la povera Kay, a cui Michael ha appena giurato di non essere l’autore dell’omicidio del cognato. La moglie del nuovo padrino, vittima per amore degli effetti nefasti di una cultura violenta e patriarcale, capisce di essere definitivamente imprigionata in un turbinio di empietà che non le lascerà scampo.
L’origine del male
Nel Padrino parte I, il personaggio di Don Vito Corleone viene rappresentato nella fase finale della sua esistenza terrena, quando è ormai da anni un boss potente e rispettato. Nella sua pacatezza e intelligenza, già si scorgono le sfumature inedite della sua biografia, che nel capitolo seguente della trilogia (uscito nel 1974, due anni dopo il primo) saranno proposte con uno dei flashback più riusciti della storia del cinema. Coppola ci fa infatti immergere nel contesto rurale della mafia corleonese del primo ‘900, in cui il ragazzino Vito Andolini, che poi assumerà il cognome “Corleone” a causa di un errore burocratico di un funzionario di frontiera, subisce la perdita del padre, del fratello e della madre, uccisi su ordine di Don Ciccio, boss del paese. Da qui riesce a scappare e ad emigrare a New York, dove costruirà in solitudine e con enormi sacrifici il suo futuro familiare e lavorativo. Il giovane Vito trova lavoro in una drogheria e si sposa con una ragazza di nome Carmela, con cui condivide una vita di stenti. Il quartiere in cui Vito risiede e svolge la sua professione è governato dalla Mano Nera, che vede in Don Fannucci la personalità più potente: il giovane Vito perde il lavoro proprio a causa di un’azione estorsiva del boss, che obbliga il suo capo ad assumere suo nipote, sacrificando dunque il posto del corleonese. Messo alle strette dagli eventi, non potendo garantire alla moglie e ai figli che nel frattempo ha generato una vita dignitosa, Vito non può che passare alle vie di fatto: con la scusa di un incontro chiarificatore, uccide a colpi di pistola Fannucci, compiendo il suo primo omicidio, che sancisce il suo ingresso – senza via d’uscita – nel mondo del crimine. Un universo in cui, grazie al supporto dei suoi accoliti Peter Clemenza e Salvatore Tessio, saprà imporsi con autorevolezza, ricorrendo al soft power al fine di essere riconosciuto come punto di riferimento dalla comunità cittadina. Otterrà il controllo del contrabbando, del pizzo e del gioco d’azzardo e il suo impero si espanderà progressivamente, fino a inglobare anche i territori del Bronx e di Brooklyn.
La vendetta di Vito sarà ufficialmente completata quando, tornato in Sicilia da uomo d’affari, ucciderà con le sue mani Don Ciccio. Il responsabile della morte dei suoi familiari, senza curarsene, gli aveva spalancato davanti la porta dell’inferno quando era soltanto un bambino.
Il “mostro”
Nel Padrino parte II, ritroviamo un Michael Corleone che ha raggiunto l’apice della sua potenza e influenza criminale, oltre che della sua ricchezza materiale. Il padrino vive in una lussuosissima residenza in Nevada e anche il suo aspetto è nettamente cambiato: capi elegantissimi e brillantina nei capelli lo caratterizzano ormai come boss d’alto bordo, ha soci e collaboratori potenti e tentacoli che si estendono fino all’apparato istituzionale e agli ambienti dell’establishment economico e imprenditoriale americano. Il contesto storico che apre il film è quello della preparazione della rivoluzione cubana (storicamente, fu proprio tale evento uno dei fattori fondamentali che portarono i mafiosi d’oltreoceano a patrocinare, nel 1957, la nascita di Cosa Nostra in Sicilia, individuata come nuova base strategica per il traffico di stupefacenti, una volta perso il potere su Cuba). Mike, che sarà chiamato ad affrontare una delicatissima commissione d’inchiesta senatoriale che ha ad oggetto il suo ruolo nel contesto mafioso e i suoi affari sporchi, dopo essere stato assolto grazie ai ricatti e alle intimidazioni esercitati dai Corleone sul senatore Geary e sul pentito Pentangeli, ucciderà tutti i suoi principali nemici, nella seconda puntata della “resa dei conti” di marca coppoliana. Nel frattempo, però, Kay ha sfidato con coraggio lo strapotere gerarchico del marito, scegliendo di uscire per sempre dalla famiglia. Addirittura, Michael arriverà a dare l’ordine di uccidere suo fratello Fredo, colpevole di averlo tradito: l’“anello debole” dei Corleone viene freddato da Al Neri, guardaspalle di Mike, sul lago Tahoe.
L’ultimo fotogramma del film ci mostra un primo piano di Michael immerso nei suoi pensieri nel grande giardino della sua villa, con uno sguardo glaciale in cui non trova spazio alcun sentimento. Ha ormai completato la trasformazione nella parte peggiore di sé.
La rinascita
Il terzo capitolo della saga del Padrino, uscito nel 1990, è quello in cui trovano sbocco tutti i nodi irrisolti dei primi due capitoli. Michael è un businessman potentissimo, ma indebolito dal diabete e dal peso di un passato che ne ha messo fatalmente alla prova la tenuta mentale. I suoi capelli, ora a spazzola, tendono al bianco; il suo ambizioso obiettivo, dopo decenni di crimini efferati, è quello di legalizzare tutte le attività della famiglia Corleone; i suoi figli, Anthony e Mary, sono ormai adulti e instradati verso una vita non mafiosa grazie all’influenza della madre Kay. In occasione della cerimonia in cui viene insignito di un’onorificenza papale per le sue opere benefiche (l’ipocrisia dell’istituzione ecclesiastica è uno dei leitmotiv principali dell’opera), Michael ritrova l’ex moglie, ormai risposatasi, che lo accusa di tarpare le ali a suo figlio: Anthony, infatti, si sta affermando come tenore, ma Michael vorrebbe veicolarlo verso la via dell’avvocatura per mantenerlo sotto la sua ala. I disagi si amplificano quando sua figlia Mary inizia una relazione con il figlio illegittimo di Sonny, Vincent, giovane e impetuoso uomo di mafia che diventerà il braccio destro di Michael e, successivamente, quando le condizioni di salute dello zio peggioreranno, nuovo padrino della famiglia Corleone. In cambio dell’investitura, Mike gli ordina di rinunciare a sua figlia per proteggerla dalle pesanti ripercussioni della sua pericolosissima attività. Vincent accetta, ma la ragazza ne è profondamente innamorata e non vuole sentire ragioni.
Il film è imperniato sui più grossi scandali politico-criminali degli anni ’80: puntualissimi sono i riferimenti al crack del Banco Ambrosiano, all’omicidio del “banchiere di Dio” Roberto Calvi, alla misteriosa morte di Papa Luciani e alle connessioni tra il sette volte presidente del Consiglio italiano Giulio Andreotti – a cui si ispira il personaggio di don Lucchesi – e gli uomini di Cosa Nostra, che sono peraltro confermate e “storicizzate” in sentenze definitive. “Gli italiani hanno avuto questi politici per secoli: sono loro la vera mafia”, dice senza mezzi termini Mike ai suoi uomini mentre si trova in Sicilia.
Una delle scene più belle del Padrino parte III, che rappresenta lo spartiacque tra l’era della costruzione del “mostro” e la stagione incanalata sui binari di un sofferto percorso di “redenzione”, è quella in cui Mike si ritrova a confessarsi al Cardinale Lamberto – figura “costruita” sul personaggio di Albino Luciani -, prima che questi subentri a Paolo VI come nuovo pontefice. Davanti all’uomo di Chiesa, e dunque davanti a Dio, Michael piange a dirotto: “ho ucciso la carne di mia madre”, dice tra i singhiozzi, mostrandosi sconvolto nel ricordo della morte di suo fratello Fredo, di cui è l’unico mandante. Forse per la prima volta dall’epoca dell’omicidio Sollozzo-McClusky, dopo decenni di prigionia, l’anima di Michael sembra riuscire a liberarsi e trovare finalmente la sua voce. Le campane del convento in cui Mike si mette a nudo scandiscono l’elenco dei suoi peccati: il “Dio terreno” che il padrino sembrava essere diventato, tutt’a un tratto, si ridimensiona davanti al severo giudizio dell’Onnipotente.
Vite dilaniate
Il lato “depurato” di Michael cerca quindi di estinguere il debito karmico che ha accumulato attuando la sua progressiva rivoluzione personale. Il protagonista della saga, riavvicinatosi alla sua ex moglie Kay, le giura eterno amore, mostrandosi genuinamente pentito per la vita insostenibile che le ha imposto. Inoltre, sceglie di lasciare libero il figlio Anthony di proseguire la sua carriera da cantante lirico, decidendo addirittura di presiedere ad un suo importante concerto al Teatro Massimo di Palermo. Nel frattempo, però, il suo lato “oscuro” concepisce e consuma l’ennesima “resa dei conti” – ormai necessaria per la sua sopravvivenza personale – nei confronti delle potenti figure che, tramando nell’ombra, stanno pianificando il suo omicidio.
All’uscita dal Teatro Massimo, dopo la standing ovation ricevuta dal figlio per la sua impeccabile performance canora, Michael pronuncia una frase ironica e incredibilmente sintomatica della svolta in atto: “quando sentirà il nome ‘Corleone’ la gente penserà a un tenore”. Pochi secondi dopo, invece, ecco avvenire l’irreparabile: un sicario inviato da Don Altobello, mafioso che opera sotto le direttive di Don Lucchesi, spara per uccidere Michael, colpendo però sua figlia Mary, che rimane uccisa davanti agli occhi del padre. Nel grido di dolore del padrino – lanciato da un immenso Al Pacino sulle scale del teatro palermitano – si legge tutta la disperazione di un uomo che, schiavo dei diabolici meccanismi della vita che ha condotto, si ritrova a dover portare per sempre sulle proprie spalle l’enorme peso della responsabilità per la morte dell’amata figlia. Sulle note appassionanti della “Cavalleria Rusticana” di Mascagni, scorrono dunque le romantiche immagini, estrapolate dai tre episodi della saga, in cui Michael balla con le donne della sua vita: Kay, inglobata suo malgrado nei perversi meandri della carriera criminale del marito e madre di una figlia morta ammazzata; Apollonia, caduta tra le sue braccia e rimasta uccisa al suo posto senza alcuna colpa; Mary, figlia dall’animo puro in cui Michael intravedeva finalmente il futuro “pulito” della sua famiglia e della sua stessa esistenza, spenta per sempre da un colpo di pistola a lui indirizzato. Tre limpide esistenze mandate al macero dalla sua cieca tracotanza.
L’anziano padrino morirà in solitudine, nella villa che fu il palcoscenico del suo amore per Apollonia, in Sicilia. La terra “amara e bella” che, simbolo delle contraddizioni e dei chiaroscuri del suo percorso di vita terrena, ne conserverà per sempre in grembo l’anima martoriata.
[Stefano Baudino]