Il Regno Unito, alla fine, ha realmente revocato la moratoria sull’estrazione fossile tramite fracking – fratturazione idraulica – una pratica altamente impattante in termini climatici e ambientali. Le prime indiscrezioni, al riguardo, le aveva rilasciate la stessa premier, Liz Truss, da sempre scettica sulla questione climatica. La moratoria, in vigore dal 2019, impediva alle aziende petrolifere di ricorrere al fracking per estrarre idrocarburi fossili. Ora, in particolare, l’estrazione di gas di scisto tramite la dibattuta pratica estrattiva è invece di nuovo concessa su tutto il territorio britannico, laddove – ha precisato la Truss – ci sia il supporto delle comunità coinvolte. L’obiettivo sarebbe quello di far fronte alla crisi energetica che non ha risparmiato nemmeno il Regno Unito. La decisione, controversa è dir poco, rientra infatti in una serie di misure straordinarie volute dal nuovo governo britannico. Al vaglio, tra le altre cose, ci sarebbe un’accelerazione sull’estrazione delle fonti fossili come non accadeva da almeno due decenni. Nel Mare del Nord, ad esempio, il nuovo esecutivo conservatore potrebbe rilasciare fino a 130 nuovi permessi per l’esplorazione e lo sfruttamento di giacimenti di idrocarburi.
Il cambio di rotta sulla questione del fracking sarebbe invece stato favorito da una procedura di rivalutazione tecnica in mano al governo da luglio. Il rapporto finale, forse non a caso emerso proprio mentre il governo si è detto favorevole a riportare la pratica di estrazione in auge, ha sottolineato che non si dispongono di dati sufficienti per trarre delle conclusioni scientificamente valide sull’impatto della fratturazione idraulica. Sicuramente, il documento non ha però prodotto nessun dato a favore della tecnica e non avrebbe nemmeno sminuito il rischio di terremoti che da questa derivano. Ad oggi, nel Regno Unito è in vigore una soglia di attività sismica oltre la quale le operazioni di fracking devono essere interrotte. Un limite, fissato a 0.5 gradi della scala Richter, che sarà tuttavia aumentato, come ha annunciato Jacob Rees-Mogg, il ministro britannico dell’Economia e dell’Energia. Ad ogni modo, la maggiore attività sismica in relazione alle pratiche di fratturazione idraulica, la motivazione che ha spinto l’allora governo UK ad imporre la moratoria, non è l’unica conseguenza del fracking.
La fratturazione idraulica è un’attività estrattiva, promossa dagli Stati Uniti fin dai primi anni 2000, finalizzata a ricavare petrolio e gas di scisto da rocce argillose nel sottosuolo. La tecnica consiste in una prima perforazione finalizzata a raggiungere i giacimenti nei quali, successivamente, si inietta ad alta pressione una miscela di acqua, sabbia e prodotti chimici di sintesi allo scopo di facilitare la fuoriuscita degli idrocarburi. Ad oggi, le criticità legate a questa pratica, oltre all’appurato aumentato rischio sismico, sono almeno altre due. In primo luogo, alla luce delle grandi quantità di acqua richieste, va citato l’enorme spreco idrico: basti pensare che ogni pozzo avrebbe bisogno tra i 100 mila e i 27 milioni di litri d’acqua. Segue la potenziale contaminazione delle falde acquifere e del suolo poiché gran parte del liquido iniettato, contenente in media 14 differenti additivi chimici, non riemerge. Secondo un rapporto dell’Agenzia per la protezione ambientale degli Stati Uniti, le compagnie petrolifere possono utilizzare fino a 700 sostanze diverse: acido cloridrico, metanolo e distillati del petrolio sono le più frequenti, ma non mancano prodotti biocidi ed altri solventi. Senza contare poi le conseguenze climatiche: la riapertura al fracking comporterà l’estrazione di una maggior quantità di gas fossile, il cui utilizzo implicherà l’inevitabile rilascio di gas ad effetto serra, i quali, a loro volta, contribuiranno ulteriormente ad accelerare il riscaldamento globale in corso.
[di Simone Valeri]
E’ ufficiale:meritiamo l’estinzione