All’1.45 del 27 settembre, DART, un satellite NASA di circa 19 metri, si è schiantato contro l’asteroide Dimorphos (163 m), polverizzandosi. Non si è trattato di uno sventurato incidente, bensì di un esperimento i cui risultati, a dire dell’agenzia spaziale statunitense, sono stati estremamente appaganti. DART (acronimo che sta per Double Asteroid Redirection Test) è decollato dalla California il 24 novembre 2021 e, come suggerisce lo stesso nome, aveva lo scopo esplicito di “ridirezionare” gli ammassi rocciosi che orbitano attorno alla Terra sfruttando la propria massa per deragliarne parzialmente la traiettoria.
L’idea è quella di raggiungere «un’era in cui abbiamo potenzialmente la capacità di proteggerci da qualcosa come un pericoloso impatto di asteroide» ha dichiarato appassionatamente Lori Glace, direttore della divisione di scienze planetarie in seno alla NASA. L’evento, registrato dal “cubesat” italiano Licia Cube ha visto DART immolarsi contro Dimorphos, luna del ben più imponente Didymos (780 m), in quella che formalmente viene definita “tecnica di impattatore cinetico”.
Gli accademici rassicurano del fatto che Didymos e Dimorphos non rappresentino di per sé un’insidia, piuttosto sono stati selezionati come “cavie” di un progetto che vuole vagliare le possibilità di difesa terrestri in caso di criticità future. Sebbene non sia affatto comune che un asteroide possa impattare sulla superficie del nostro pianeta e causare danni ingenti, le leggi della statistica ci ricordano che una volta ogni cent’anni un corpo celeste di circa 25 metri abbia buone possibilità di esplodere nell’atmosfera, causando danni e feriti.
Le immagini raccolte da Licia Cube raggiungeranno i ricercatori nei prossimi giorni e, nonostante i tecnici della NASA parlino dell’evento adottando toni da blockbuster hollywoodiano, difficilmente rappresenteranno il sacrificio di DART con clip pregne di scenografiche esplosioni. D’altronde l’obiettivo dello strumento non era quelli di detonare l’ostacolo, piuttosto il suo intento era quello di causare un impatto che potesse alterare, per quanto in misura minima, la velocità di movimento del corpo celeste. Per capire quanto il test dell’agenzia spaziale USA sia stato effettivamente significativo sarà necessario attendere altri quattro anni, ovvero il lasso di tempo necessario perché la missione HERA dell’European Space Agency (ESA) possa intercettare i due satelliti e analizzare le informazioni aggiornate riguardanti i loro movimenti.
Il ruolo del Licia Cube è stato concertato con la NASA, quindi il risultato della missione ricade tra le altre sulle spalle dell’Agenzia Spaziale Italiana (Asi) e della Argotec, creatrice del minuscolo cubesat, ma anche dell’Istituto Nazionale di Astrofisica, del Politecnico di Milano, dell’Università di Bologna, dell’Università Parthenope di Napoli e dell’Istituto di Fisica Applicata ‘Nello Carrara’ del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR-IFAC).
[di Walter Ferri]
Ammetto di essere prevenuto, essendo generalmente scettico e critico verso i programmi spaziali, ma non hanno modi migliori di spendere i soldi (presumo tanti)?