Il governo del Regno Unito ha deciso di rivedere il proprio piano climatico per il raggiungimento dell’obiettivo di zero emissioni nette entro il 2050, dichiarando che i presupposti sono che sia garantita la sicurezza energetica e che sia protetta l’economia, garantendo la massimizzazione delle opportunità e dei posti di lavoro. Allo stesso tempo, il governo sta cercando di aumentare l’estrazione dei combustibili fossili: solamente la scorsa settimana è stato infatti revocato il divieto di fracking onshore – tecnologia di estrazione del gas che comporta considerevoli rischi per l’ambiente.
Per quel che riguarda gli strumenti e le regole sulle quali si baserà la revisione del piano climatico c’è ancora poca chiarezza. La revisione poggerà su alcuni criteri: esaminare il modo più favorevole per arrivare all’obbiettivo di zero emissioni con una linea politica volta a massimizzare le opportunità, salvaguardare i posti di lavoro e rivalutare il rapporto tra costi e benefici di ogni misura. Se entro il 2050 il Regno Unto si prepone come obbiettivo quello di raggiungere emissioni zero, alcune riflessioni riguardo la recente revoca della moratoria sull’estrazione fossile tramite fracking, la fratturazione idraulica, sono d’obbligo, dal momento che si tratta di una pratica altamente dannosa per il clima e l’ambiente. Ad essere chiare infatti sono le azioni messe in atto dal governo britannico negli ultimi giorni e le aspettative che riguardano il far fronte all’aumento dei prezzi legato all’energia.
La fratturazione idraulica, ne avevamo già parlato negli scorsi giorni, è un’attività estrattiva che ha come finalità quella di ricavare petrolio e gas di scisto da rocce d’argilla nel sottosuolo, la cui tecnica può provocare criticità ambientali non di basso livello. Tra le altre cose la pratica, per la quale servono dai 100 mila ai 27 milioni di litri d’acqua, può indurre ad un elevato rischio sismico, una potenziale contaminazione delle falde acquifere e del suolo. Il fracking comporta tuttavia la possibilità di estrarre una maggiore quantità di gas fossile, il cui utilizzo implicherà il rilascio di gas ad effetto serra che contribuirà all’acceleramento del riscaldamento globale. In questo modo il Regno Unito vedrebbe un’enorme accelerazione sull’estrazione delle fonti fossili, come non si vedeva da almeno vent’anni.
Da tenere presente, è anche la grave crisi energetica. Il Regno Unito, infatti, non ne è rimasto esente, e anch’esso ha dovuto fare i conti con l’inflazione e l’aumento del costo della vita, il che sta generando un preoccupante malcontento tra la popolazione inglese. Era dagli anni ’80 che in Inghilterra non si generava un tasso d’inflazione superiore al 10%. Ad aver influito sull’aumento dei prezzi ci aveva già pensato la Brexit, causando un’inflazione sui generi alimentari, ma il recente aumento dei costi legato all’energia a causa della guerra in corso in Ucraina, ha portato anche a mobilitazioni e proteste che chiedevano la riduzione dei prezzi delle bollette. Uno dei primi provvedimenti che si prevede infatti dall’attuale primo ministro del Regno Unito, e leader del Partito conservatore Liz Truss, è proprio un congelamento dei prezzi dell’energia. Arrivare ad emissioni zero entro il 2050 per il Regno Unito sembra però un percorso la cui strada non è del tutto chiara. Supporre che sia quindi una mossa strategica per far fronte agli aumenti dei prezzi dell’energia quella del governo non sembra sbagliato. Se al momento a preoccupare è infatti la revoca sulla fratturazione idraulica, quali saranno i prossimi passi? La correlazione ambiente-congelamento dei prezzi è più stretta di quello che può sembrare. Per abbassare i costi nell’immediato sembra infatti che il Regno Unito voglia mettere in atto delle politiche dannose per l’ambiente, ma allo stesso tempo continua a rassicurare di restare nei tempi previsti dal piano climatico per cui si arriverà ad emissione zero.
[di Marina Lombardi]
Non e’ meglio ritornare a parlare con la Russia??