L’agenzia di valutazione Moody’s, in un report di recente pubblicazione, è tornata ad avvertire l’Italia sul rischio di declassamento del rating – ossia la valutazione sull’affidabilità del debito sovrano – in caso di mancata attuazione delle riforme strutturali, comprese quelle previste dal Pnrr. In attesa della formazione del nuovo governo, l’agenzia nell’ultimo aggiornamento ha attribuito all’Italia un giudizio Baa3 con outlook negativo, che indica un debito soggetto a rischio creditizio esistente seppur moderato. Moody’s ha spiegato che il taglio del rating potrebbe avvenire «se dovessimo prevedere un significativo indebolimento delle prospettive di crescita a medio termine del Paese, forse a causa della mancata attuazione delle riforme che favoriscono lo sviluppo, comprese quelle previste dal Pnrr». La preoccupazione emersa dalle considerazioni degli analisti è quella per cui il nuovo governo potrebbe tentare di rinegoziare alcune parti del Pnrr: «Ciò, probabilmente, ritarderà la sua attuazione, esercitando una pressione al ribasso sulla spesa per investimenti in un momento in cui l’inflazione elevata e i rischi per l’approvvigionamento energetico stanno già pesando sull’attività economica» si legge nel documento.
Non è la prima volta che le agenzie di rating “minacciano” di declassare l’affidabilità creditizia della Penisola, specie in concomitanza con le elezioni e i cambi di governo: già nel 2018 con il governo giallo-verde, le tre principali agenzie di valutazione – Moody’s, Standard & Poor’s e Fitch – avevano minacciato di declassare il giudizio sull’Italia, tornando “alla carica” di recente con la caduta del governo Draghi. Si tratta, infatti, di un modo per esercitare pressioni politico-economiche sui governi, confermando così inequivocabilmente l’enorme influenza che il mondo economico finanziario esercita sugli Stati a causa della perdita della loro sovranità economica e monetaria che li ha esposti a dinamiche al limite del ricattatorio. Il tutto è reso ancora più grave dal fatto che le agenzie finanziarie in questione non sono esenti da conflitti d’interesse, essendo in larga parte partecipate da grandi multinazionali e da fondi d’investimento. Non per nulla, in passato sono stati diversi i casi in cui le società di rating hanno attribuito giudizi ampiamente positivi a banche e aziende che sono fallite poche settimane dopo la valutazione, scatenando peraltro crisi mondiali: un caso su tutti è rappresentato dall’attribuzione positiva del rating alla banca Lehman Brothers appena una settimana prima del suo fallimento. A causa dei mutui subprime, la banca in questione ha trascinato il mondo in una delle più gravi recessioni degli ultimi decenni. Stessa cosa è accaduta con Parmalat poco prima del suo crack finanziario.
In ogni caso, un eventuale declassamento del giudizio di solvibilità creditizia dei titoli di stato italiani avrebbe come conseguenza quella di rendere molto più difficile e costoso il collocamento dei Btp (Buoni del tesoro poliennali) e di altri titoli sul mercato obbligazionario, complicando così la possibilità di finanziare il debito. Infatti, a fronte di un rischio maggiore, i creditori possono pretendere maggiori garanzie che si traducono in tassi d’interesse più alti sui titoli oppure – nel caso peggiore – il Tesoro potrebbe non riuscire a collocare i bond, cosa che – è bene specificarlo – non è mai accaduta fino ad ora. Al contrario, i titoli di stato italiano vengono spesso venduti rapidamente durante le aste pubbliche indette dal Tesoro, poiché i loro rendimenti sono alti e nessuno dubita realmente della loro affidabilità.
Moody’s ha precisato che la sua valutazione potrebbe migliorare «se le istituzioni italiane, le prospettive di crescita e la traiettoria del debito si dimostrassero resistenti ai rischi derivanti dall’incertezza politica, dalla sicurezza energetica e dall’aumento dei costi di finanziamento», anche perché – si legge sempre nel report – «i paesi centrali dell’area dell’euro saranno inclini a sostenere l’Italia in caso di necessità, un’opinione che è stata confermata dal recente annuncio del Tpi della Bce». Una dimostrazione in più del fatto che solo l’intervento della Banca centrale – responsabile della politica monetaria – può ridurre al minimo il rischio di insolvibilità, come accaduto nel 2012 con il famoso intervento di Mario Draghi nel contesto della crisi dei debiti sovrani europei e volto non tanto a “salvare” l’Italia, quanto a salvare l’euro. Il che fa capire che gli avvertimenti di Moody’s alla Penisola non sono diretti a scongiurare un suo improbabile fallimento o rischio di recessione, quanto a fare pressione affinché Roma attui le riforme stabilite da Bruxelles e fortemente sostenute dall’ambiente finanziario.
L’Italia, dunque, è ancora una volta sotto i riflettori della finanza internazionale che monitora attentamente le mosse e le intenzioni del prossimo governo, assicurandosi che i piani prestabiliti nei palazzi comunitari, vengano fedelmente e scrupolosamente attuati.
[di Giorgia Audiello]