La Corte di Giustizia dell’Africa Orientale (EACJ) ha respinto la richiesta di risarcimento mossa dai pastori Masai nei confronti del governo della Tanzania, ponendo fine a una battaglia legale durata cinque anni. Le comunità Masai hanno infatti accusato lo Stato di aver messo in atto sfratti violenti per indurli ad abbandonare le terre del distretto di Loliondo, nel nord del Paese, sulle quali rivendicano un diritto ancestrale. Per il governo tanzaniano, invece, le terre si trovano all’interno del parco del Serengeti e dovrebbero quindi essere adibite a scopi di conservazione e non prevedere la presenza dell’uomo. Secondo l’EACJ, i Masai non sono riusciti a dimostrare di essere stati sfrattati dalle terre di loro proprietà né hanno fornito prove sufficienti di essere stati allontanati in modo violento, motivo per cui la loro richiesta di risarcimento è stata respinta. Secondo le accuse mosse dai pastori Masai e dalle associazioni per la tutela dei diritti delle popolazioni indigene, il governo della Tanzania starebbe cercando di allontanarli da quelle zone per crearvi una riserva di caccia sportiva e turismo d’élite.
I fatti in questione risalgono al 2017, quando il governo tanzaniano ha intimato agli abitanti Masai di Loliondo, divisione di Ngorongoro, nel nord del Paese, di abbandonare i 1500 km quadrati di terra dove risiedevano. Al rifiuto della popolazione di eseguire l’ordine, sono iniziati una serie di sfratti violenti, che hanno dato vita alla battaglia legale conclusasi in questi giorni. Sono stati coinvolti in particolare quattro villaggi, rappresentati dall’Unione Panafricana degli Avvocati (Palu), il principale forum continentale di avvocati e associazioni di avvocati africani in Africa. Donald Deya, avvocato principale per questo caso e amministratore delegato di Palu, ha riportato alla stampa l’insoddisfazione dei gruppi Masai e la decisione del proprio team di presentare appello contro il verdetto dell’EACJ.
Il governo della Tanzania starebbe infatti cercando di sfrattare i Masai dalle loro terre ancestrali con la scusa che queste dovrebbero essere destinate ad attività di conservazione e con il preciso intento di istituire in quelle zone una game reserve destinata alla caccia e al turismo d’élite di proprietà di una compagnia degli Emirati Arabi Uniti, la Otterlo Business Company. Probabilmente per via dell’avvicinarsi di questa sentenza, nel giugno scorso il governo aveva intensificato la repressione della popolazione, inviando nel distretto di Loliondo oltre 700 agenti delle forze dell’ordine che avevano cercato di costringere i residenti ad abbandonare il territorio sparando sulla folla.
«La decisione di archiviare il caso presa dall’EACJ, la Corte di Giustizia dell’Africa orientale, è una notizia devastante non solo per i Masai ma anche per i popoli indigeni del resto del mondo» ha commentato la ricercatrice Fiore Longo all’Indipendente. «Il messaggio pericoloso che manda è quello che qualsiasi governo può permettersi di sfrattare le persone dalla loro terra ancestrale nel nome della cosiddetta ‘conservazione’, e farla franca. Questa sentenza stabilisce un precedente particolarmente grave di fronte alla proposta di trasformare il 30% del mondo in aree protette per la conservazione della natura – un piano che dovrebbe essere finalizzato durante la COP15 [la Conferenza delle Nazioni Unite sulla Biodiversità, che si svolgerà nel dicembre di quest’anno, ndr]. Le aree più ricche di biodiversità del pianeta sono abitate da popoli indigeni, come i Masai, che sono custodi del mondo naturale da generazioni. La corte ha lanciato un segnale forte alla comunità internazionale: gli sfratti e le violazioni dei diritti umani dei popoli indigeni dovrebbero essere tollerati se fatti nel nome della protezione della natura. Ma la lotta non è finita: non staremo a guardare e non permetteremo che questi abusi continuino – Loliondo è terra Masai e lo sarà sempre».
[di Valeria Casolaro]