venerdì 22 Novembre 2024

Il Pentagono emette più gas serra della maggior parte degli Stati

L’esercito degli Stati Uniti consuma da solo più combustibili fossili della maggior parte dei Paesi del mondo. Di conseguenza, secondo le stime, l’apparato della Difesa americano potrebbe essere il più grande singolo emettitore globale di gas ad effetto serra. È quanto è emerso da un libro d’inchiesta, dal titolo The Pentagon, Climate Change, and War: Charting the Rise and Fall of US Military Emissions. A livello istituzionale, il Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti è infatti il più grande sfruttatore di fonti fossili al mondo. Basti pensare che, dal 2001 a oggi, i militari USA sono stati responsabili del 77-80% del consumo energetico federale. «Il Pentagono – ha spiegato la politologa statunitense Neta Crawford, autrice del testo – gestisce più di 560.000 edifici in circa 500 basi in tutto il mondo, che costituiscono gran parte delle sue emissioni. E come una gigantesca multinazionale, fa affidamento su una vasta rete di navi, camion, aerei e altri veicoli a combustibili fossili per supportare le sue operazioni, dallo sgancio di bombe alla consegna di aiuti umanitari, tutto ciò rende l’esercito un contribuente fondamentale alla modificazione del clima. E sebbene ricerche recenti abbiano dimostrato che l’esercito americano è uno dei maggiori inquinatori della storia, gli studi sui cambiamenti climatici tendono ancora a trascurarne l’impatto».

Nell’ultimo biennio, le emissioni militari USA, sebbene abbiano subito una sensibile contrazione rispetto agli anni precedenti, si attestano ancora sulle circa 51 milioni di tonnellate equivalenti di anidride carbonica (CO2e) all’anno, una quantità superiore alle emissioni della maggior parte dei Paesi. «Il dato, tra l’altro – sottolinea la Crawford – non include le emissioni causate dalla distruzione di proprietà, di infrastrutture e città in cui gli Stati Uniti potrebbero essere coinvolti quando fanno la guerra». Ad oggi, si stima che le emissioni annuali del Pentagono siano circa l’1% delle emissioni totali dell’intera Nazione. Ma se si aggiungono le emissioni militari-industriali, ovvero quelle derivanti dalle industrie nazionali che producono armi e attrezzature belliche, la Crawford stima che le emissioni della Difesa USA arrivino anche al 2% delle emissioni totali degli Stati Uniti. Se rapportata, si tratta di una cifra impressionante confermata però anche da recenti analisi di stampo più scientifico. Nel 2019, ad esempio, un rapporto pubblicato dall’Università di Durham e Lancaster ha ugualmente affermato che le forze armate statunitensi sono “uno dei maggiori inquinatori climatici della storia, consumando più combustibili liquidi ed emettendo più CO2e (biossido di carbonio equivalente) della maggior parte degli Stati”. Vale a dire che se l’esercito statunitense fosse una Nazione, sarebbe la 47esima più grande emettitrice di gas a effetto serra al mondo. Ovvero, più di Paesi come la Nuova Zelanda, la Svezia, la Norvegia, la Finlandia, il Perù, il Marocco e l’Ungheria. E le cifre prese in considerazione, va precisato, si riferiscono alle sole emissioni derivanti dall’uso del carburante.

Nonostante questo significativo contributo alla crisi climatica, l’impatto ambientale del Pentagono viene spesso ancora ignorato. Tuttavia, non dovrebbe sorprendere, considerando, ad esempio, i vari stratagemmi con cui l’esercito e il Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti hanno cercato nel tempo di tenere le emissioni di gas serra militari fuori dal processo di conteggio del Protocollo di Kyoto, di modo che non risultassero nella rendicontazione nazionale delle emissioni. «Per fare ciò, il Pentagono ha impiegato tutte le energie a sua disposizione», ha aggiunto la Crawford dopo aver scoperto, con sorpresa, gli enormi sforzi USA nell’omettere una fetta consistente di emissioni nazionali. Ma non è tutto. Se si va oltre l’impatto in termini di emissioni climalteranti, l’esercito USA rimane comunque uno dei principali inquinatori a livello globale. Le centinaia di test nucleari, nonché le elevate quantità di sostanze chimiche rilasciate dalle basi e dalle operazioni militari contribuiscono ad esempio ad un inquinamento acuto e cronico dell’aria, del suolo e delle falde acquifere. Nel 2017, giusto per citare un paio di casi legati alla contaminazione idrica, si è scoperto che la Naval Air Station Oceana di Norfolk, in Virginia, ha riversato oltre 300 mila litri di carburante per jet in un corso d’acqua. Così come, nel 2019, sono emerse prove che sostenevano che l’appaltatore dell’Air Force aveva scaricato, per quasi 30 anni, il solvente industriale tricloroetilene nel terreno circostante l’aeroporto internazionale di Tucson: oltre 1.350 residenti hanno ricevuto una diagnosi di cancro o di altre patologie legate all’azione negligente del Pentagono.

[di Simone Valeri]

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