martedì 5 Novembre 2024

Tra Russia e USA arrivano le prime aperture diplomatiche

Sotto l’escalation militare cui si è assistito negli ultimi giorni in Ucraina, le reiterate condanne del G7 nei confronti di Mosca e la retorica della deterrenza nucleare cavalcata da entrambe le parti del conflitto, è presente un dialogo più o meno sotterraneo tra Russia e Stati Uniti, supportato anche dall’importante mediazione della Turchia di Erdogan e da attori esterni dotati di grande influenza a livello politico e internazionale. In altre parole, sebbene la situazione resti tesa e allarmante, qualcosa si muove a livello diplomatico: una prima debole apertura è arrivata dal presidente degli Stati Uniti Joe Biden che ieri, intervistato dalla CNN, ha definito Putin “un attore razionale che ha sbagliato tutti i calcoli”. Una definizione molto distante da quella che aveva usato lo stesso Biden all’inizio del conflitto quando aveva accusato il presidente Putin di essere «un macellaio»: l’inquilino della Casa Bianca, comunque, resta cauto e si guarda bene dallo scoprire le carte dell’amministrazione americana in vista di una possibile trattativa. Tuttavia, ha asserito che in occasione del prossimo G20 che si terrà a novembre a Bali potrebbe incontrare il capo del Cremlino a determinate condizioni: «dipende, bisogna vedere di cosa vuole parlare» ha affermato alla CNN. Si tratta comunque di un notevole cambiamento rispetto alla posizione assunta da Washington pochi mesi dopo lo scoppio del conflitto, quando l’idea principale era quella di isolare la Russia dai summit internazionali e il portavoce del Pentagono, John Kirby, aveva dichiarato che “Putin deve pagare per le conseguenze di quello che ha fatto e sta facendo e non dovrebbe essere invitato al G20”.

Da parte sua, anche Mosca ha lasciato uno spiraglio aperto per il dialogo, con il ministro degli Esteri russo, Serghei Lavrov, che ha fatto sapere che il capo del Cremlino «potrebbe prendere in considerazione» un faccia a faccia con Biden durante il G20 indonesiano. «Naturalmente tutto ciò qualora ci venisse inoltrata una proposta» ha aggiunto il diplomatico, specificando anche che, al momento, «non abbiamo ricevuto nessuna offerta seria». Il punto dirimente riguarda le condizioni da porre per far sì che si giunga ad un accordo concreto e quindi ad un cessate il fuoco immediato: al riguardo è fondamentale tenere presente le condizioni sulle quali il Cremlino non è disposto a cedere. Il politologo americano Ian Bremmer ha spiegato che queste condizioni sarebbero contenute nella “proposta di pace” che il magnate Elon Musk ha pubblicato recentemente su Twitter. I punti principali sono tre: la Crimea resta russa, lo status neutrale dell’Ucraina e il riconoscimento delle annessioni russe di Lugansk e Donetsk oltreché del controllo di Kherson per l’approvvigionamento idrico della Crimea e di Zaporizhzhia per il ponte terrestre. Secondo quanto riferito da Bremmer, Musk, prima di twittare il piano, si sarebbe sentito telefonicamente con Putin, ma il magnate americano ha smentito questa voce, asserendo di avere parlato solo una volta col presidente russo diciotto mesi fa sulla questione dello spazio.

Ad adoperarsi per un negoziato di pace tra Russia e Ucraina fin dall’inizio delle ostilità è anche il presidente turco Erdogan che domani incontrerà Putin ad Astana: il leader turco vorrebbe promuovere colloqui di pace allargati anche a Usa, Germania, Regno Unito e Francia, avanzando alcune proposte specifiche allo “Zar”. Una proposta di mediazione tra le due parti in conflitto è arrivata anche dal presidente degli Emirati Arabi Uniti, lo sceicco Mohamed bin Zayed Al Nahyan, che ha ribadito la disponibilità del suo Paese ad agevolare le trattative durante l’incontro di ieri con Putin. Gli Emirati Arabi non hanno aderito alle sanzioni antirusse.

Ciò che emerge da questo lavorio diplomatico condotto più o meno dietro le quinte è la quasi assoluta irrilevanza di Kiev che non viene menzionata dalle principali potenze coinvolte in un possibile negoziato: nonostante, infatti, Biden abbia detto che «non si farà nulla a proposito dell’Ucraina senza l’Ucraina», i colloqui determinanti ai fini di un possibile cessate il fuoco non potrebbero che avvenire tra Russia e USA, considerato anche il fatto che Zelensky ha firmato un decreto nel quale si esclude qualunque possibilità di accordo con l’attuale capo del Cremlino, cosa che rivela la volontà di ottenere un cambio di regime in Russia, non previsto però dagli Stati Uniti che l’hanno escluso quasi esplicitamente. Di conseguenza, emerge la distanza di posizioni tra Zelensky e Biden confermata anche dai timori del presidente ucraino di essere “abbandonato” dall’Occidente: la posizione intransigente di Kiev, infatti, ossessionata dal recupero di tutti i territori perduti compresa la Crimea, rischia di fare deragliare le prospettive di un compromesso, rendendo ancora più catastrofiche le conseguenze del conflitto. Conflitto nel quale gli Stati Uniti non hanno alcuna intenzione di entrare direttamente, come riferito ieri da John Kirby: «L’amministrazione statunitense non cerca un conflitto con la Russia e non vuole che le ostilità in Ucraina diventino nucleari […] Biden ha anche affermato in precedenza che le truppe statunitensi non metteranno piede sul suolo ucraino».

A questo punto, è evidente che la possibilità di trattative dipende in primo luogo dall’atteggiamento degli USA e delle potenze occidentali, senza le quali l’amministrazione di Kiev ha scarsi se non nulli margini di manovra: Zelensky continua a richiedere a Washington artiglieria con una gittata fino a 300 chilometri grazie alla quale potrebbe colpire i territori della Federazione e la Crimea, superando così un’altra linea rossa posta del Cremlino: «Se l’Occidente fornisce nuove armi più potenti all’Ucraina, sarà considerato un coinvolgimento diretto nella guerra a cui dovremo reagire», ha avvertito Mosca. Di conseguenza, le effettive possibilità di negoziati del prossimo futuro dipenderanno in larga parte dalle mosse di Washington e dalla sua disponibilità ad assecondare le richieste di Kiev, così come dalla flessibilità di Mosca a trattare su alcune condizioni. Sicuramente non da Zelensky che ha escluso a priori ogni dialogo con il Cremlino, come ha ribadito ieri durante la riunione dei G7: «Non può esserci dialogo con questo leader della Russia, che non ha futuro». Tuttavia, il cambio di regime a Mosca, chiesto in modo nemmeno troppo velato dal leader ucraino, non risulta sul tavolo dell’amministrazione statunitense che sembra piuttosto cercare una via di uscita all’impasse della crisi ucraina, anche e soprattutto in vista delle elezioni di midterm.

[di Giorgia Audiello]

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1 commento

  1. Oltre la vetustà di Biden, i suoi piedi (e non solo quelli) tremano man mano dell’avvicinarsi delle elezioni di medio termine di novembre.
    Prime reazioni anti-NATO nel mondo (inclusi gli USA), guerra dell’Ucraina che non procede nel verso previsto, nonostante tutte le armi dall’occidente dirottate nel contrabbando, deficit Ucraino che supera i 3500 miliardi di dollari, riduzione produzione petrolio dell’OPEC, allargamento delle adesioni al BRIC, produce ulteriori mal di pancia a Biden.
    Sarà la volta buona in cui Putin potrebbe trovare un accordo di principio con Biden, e rinegoziare il tutto dopo la sua disfatta a novembre.

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