Mentre avanzo a piedi verso l’unico lago naturale del comune di Roma, incontro Faty, membro della comunità senegalese locale, indaffarato ad innaffiare le varie piante arboree qui messe a dimora. Mi presento e gli chiedo se è lui ad occuparsi della manutenzione del verde del luogo: mi risponde frettolosamente di sì, aggiungendo dispiaciuto che ha però così tanto da fare da non potermi dedicare altro tempo. Così, proseguo. Nei pochi metri percorsi dopo aver varcato l’ingresso ho riconosciuto almeno sette diverse specie vegetali e più in là, una volta trovato un luogo comodo per scrivere, realizzo di essermi già dimenticato di trovarmi in pieno agglomerato urbano. Eppure, non solo mi trovo nel cuore di Roma ma, addirittura, in uno dei suoi municipi più densamente popolati e con la minor quantità di verde pro-capite.
Sono nel quartiere Prenestino-Labicano, a due passi da Largo Preneste, una delle zone più inquinate della città. Per arrivare ho percorso Via di Portonaccio, una delle arterie stradali più trafficate del quadrante. Ma è proprio da questa che tuttavia si apre l’accesso ad un’oasi verde nel fitto e spesso asfissiante tessuto urbano: l’ecosistema del Lago Bullicante ex SNIA. Un luogo con alle spalle una storia avvincente, il cui nome rappresenta già un utile punto di partenza per percorrerla. Sull’area in cui mi trovo, infatti, l’allora fabbrica CISA-Viscosa – che poi diverrà la SNIA S.r.l. – produceva della seta artificiale – la viscosa, per l’appunto – in un vasto stabilimento costruito nel 1922 ed aperto ufficialmente due anni dopo, nel 1924.
L’insediamento industriale, sorto in pieno agro-romano, diede l’impulso ad un processo di urbanizzazione che, da lì a poco, sarebbe divenuto inarrestabile. La fabbrica fu una realtà importante in termini occupazionali, dati i quasi 3mila operai che ogni giorno vi si recavano, ed ebbe un forte impatto sul territorio dove fu costruita. Territorio, ad ogni modo, non scelto a caso. Anzi, tutt’altro. Fu scelto proprio perché strategico: da un lato, per l’abbondanza di acqua essenziale per l’estrazione della cellulosa, materia prima della viscosa, dall’altro per la vicinanza alla ferrovia e alla città. Gli stabilimenti insistevano su un’area complessiva di circa 12 ettari e includevano, oltre a quelli produttivi, una serie di edifici accessori che fornivano ogni tipo di servizio facendo della fabbrica una vera e propria città nella città. Come ogni centro urbano che si rispetti, questa prevedeva anche un’area verde: una pineta, in particolare, oggi storica e sottoposta a vincolo paesaggistico dal 1968.
Ed è proprio sotto quei pini che, qualche giorno fa, ho incontrato Sabrina Baldacci del Forum territoriale permanente Parco delle Energie, una realtà assembleare vocata a presiedere l’area dell’ex SNIA, che ha avuto un ruolo determinante nella battaglia di riappropriazione degli spazi e di riconoscimento di alcuni diritti fondamentali dei cittadini.
Un miracolo naturale nato da un abuso
Ma andiamo per gradi. Nel 1990, la SNIA e l’intero complesso industriale vennero acquisiti dalla Pinciana 188 S.r.l., poi assorbita dalla società immobiliare Ponente 1978 S.r.l., con sede a Roma e di proprietà del costruttore Antonio Pulcini. Quest’ultimo, nel 1992, grazie alla concessione edilizia n.958 /1990, avviò degli scavi finalizzati alla costruzione di un parcheggio destinato a servire il più grande centro commerciale di Roma est. O almeno questa era l’idea progettuale. Le ruspe, infatti, pochi mesi dopo l’inizio delle attività di cantiere, intercettarono la sottostante falda acquifera, ben nota e posta a soli 10 metri sotto il piano di campagna, provocandone la fuoriuscita. Il costruttore, in un maldestro tentativo di rimediare ai danni – come emerso da una nota dell’Assessorato all’urbanistica della Regione Lazio del 1993 – decise di convogliare l’acqua fuoriuscita dalla falda verso il collettore fognario, che però non resse il carico, provocando l’allagamento di Largo Preneste.
Così, per sommi capi, si formò il Lago che mentre scrivo queste righe riflette i raggi solari di un torrido giorno di luglio. La genesi di questo specchio d’acqua, che oggi i cittadini difendono a spada tratta, deriva quindi da un ennesimo tentativo di cementificazione, già al tempo impattante e non necessario. Ma non solo. Il tutto, si configurò presto come una vera e propria speculazione edilizia.
«Un abuso», mi ha ribadito più volte Sabrina raccontandomi minuziosamente la vicenda. Un illecito amministrativo le cui dinamica e denuncia furono accuratamente ripercorse anche da un’inchiesta1 condotta da Repubblica in quegli anni. “Loro – i consiglieri comunali De Petris e Nieri degli allora Verdi – aprono la fotocopia di una mappa del piano regolatore – scriveva il giornalista Paolo Boccacci nel 1992 – e mi indicano un piccolo rettangolo che nella carta a colori della sala delle visure dell’assessorato all’Edilizia Pubblica è azzurro. Sta proprio nell’area del cantiere. Ma è una macchia strana, sembra proprio un falso. Anzi – dichiarano i consiglieri a Boccacci – abbiamo una fonte che giura che è così, ma bisogna controllare in fretta sulle altre mappe del piano regolatore”. L’area infatti era già stata in parte sottoposta a vincoli di tutela o, comunque, era destinata a “verde e servizi pubblici”. La tutela riguardava l’area della pineta, mentre la destinazione del resto degli ettari – come stabilito dal secondo piano regolatore del Comune di Roma – non prevedeva l’edificazione. Così a seguito di indagini, cittadini e comitati presentarono alla Procura della Repubblica un esposto-denuncia sulla concessione edilizia: il successivo giudizio penale ne accerterà la falsificazione della planimetria. Nel 1993, l’ordinanza n.155 della VI circoscrizione del Comune di Roma ordinò la demolizione delle opere eseguite in base alla concessione poi annullata. La società Ponente 1978, tuttavia, non procedette alla demolizione e presentò ricorso al TAR del Lazio prima e al Consiglio di Stato poi. Dopo sette anni, nel 2010, questo ricorso venne parzialmente accolto con una sentenza che sottolineò la sostanziale assenza di una linea di difesa da parte dell’Amministrazione comunale.
Il risultato? L’ecomostro di cemento, scheletro di un incompiuto parcheggio commerciale, è ancora qui. Si riflette cupo sulle acque del lago e ricorda in modo inequivocabile i confini fisici e ideologici tra pubblico e privato, nonché diviene pretesto per ritardare la demanializzazione ufficiale e integrale del corpo idrico. L’area su cui l’ecomostro insiste è ancora di proprietà della Ponente 1978, così come lo sono parte degli ormai dismessi e fatiscenti stabilimenti della fabbrica SNIA-Viscosa. Tutto il resto, invece, in quello che Sabrina mi ha definito «un graduale processo di pubblicizzazione», è stato sottoposto ad esproprio fino alla realizzazione del Parco delle Energie. Un luogo, oggi vitale per gli abitanti della zona e socialmente attivo, che ospita la sede del Forum e abbraccia i confini del Centro sociale ex SNIA, emblema della lotta per la riappropriazione dei beni pubblici.
La battaglia per riconoscere il lago come bene comune
L’area del Lago, d’altro canto, ha visto il susseguirsi di vicissitudini ancor più turbolente che non hanno mai smesso di infervorare i due schieramenti. Da un lato, dei cittadini che incarnano la necessità viscerale di ognuno di noi di disporre di spazi verdi e ricreativi, dall’altro, una potente società edilizia, con legami politico-economici contorti, che non ha mai smesso di speculare su questa porzione di territorio capitolino. Speculazioni, per citarle in ordine cronologico, come: un tentativo di realizzare una piscina per i mondiali di nuoto del 2009 che, probabilmente, avrebbe rappresentato l’ennesimo scandalo legato a detta competizione; la realizzazione di residenze universitarie da affittare agli studenti fuori sede della Sapienza; la costruzione di tre torri residenziali, per 55.000 metri cubi complessivi, con relativo interramento del lago. Tutti progetti edilizi incoerenti con la destinazione d’uso del luogo e totalmente incuranti del volere dei cittadini che, tra una mobilitazione e l’altra, hanno però sempre scongiurato ogni nuova colata di cemento. Progetti che, tra le altre cose, avrebbero interessato i ruderi della fabbrica, seppur di proprietà della Ponente 1978, sottoposti a vincolo archeologico. Sarebbero inoltre stati in parte Lago Bullicante-ex Snia con lo scheletro di cemento del parcheggio commerciale realizzati su un’area già pubblica, del cui reale assetto proprietario nessuno ne era però a conoscenza. Almeno fino al 2014. Nell’aprile di tale anno, delle indagini condotte dal Forum stabilirono infatti che l’area del Lago adiacente a via di Portonaccio era pubblica già da quasi 10 anni, dal 2004. Al tempo, l’amministrazione comunale ne autorizzò un esproprio motivato da finalità che, tuttavia, non vennero mai realizzate: un parco pubblico, per l’appunto.
La mancata realizzazione delle finalità fece rischiare la retrocessione dell’esproprio poiché queste, come stabilisce la legge, andavano concluse entro dieci anni dall’avvio del procedimento. Preso atto di ciò, i cittadini attivi sulla questione si mobilitarono. «Nell’agosto del 2014, a pochi giorni dalla decadenza e in presenza dell’allora vicesindaco – mi ha spiegato Sabrina – abbiamo dato vita a quella che chiamiamo la ‘Breccia di Portonaccio’, la mobilitazione che ha portato all’abbattimento di una parte del muro di cinta, che è poi l’attuale ingresso al Parco Lago, rendendo effettiva la proprietà pubblica del luogo». Per una manciata di giorni i cittadini riuscirono quindi nell’impresa, la procedura di esproprio fu riattivata e, nel giugno del 2014, per la prima volta, il V Municipio prende atto che l’area del Lago di via di Portonaccio è proprietà del Comune di Roma chiedendo che sia attrezzata a verde pubblico.
Senza attendere le istituzioni, i cittadini lo hanno reso di tutti
Un Parco pubblico che è in divenire, gestito dal Forum in un’ottica multifunzionale e logisticamente reso fruibile grazie alla partecipazione attiva e volontaria della comunità senegalese del Pigneto. Formazione, educazione ambientale, realizzazione di un apiario (il cui miele rappresenta la principale fonte di sostentamento economico), sono solo alcune delle varie attività qui portate avanti in modo collaborativo e sinergico.
Oggi il Lago è quindi una realtà dinamica, sicuramente in termini sociali, ma anche e soprattutto in termini ecologici. Secondo le più recenti analisi, la flora dell’intera area comprende 358 specie spontanee e 133 specie coltivate. La vegetazione dell’area pubblica e di quella privata si può catalogare come appartenente a undici comunità vegetali. E, sebbene alcune popolazioni siano dominate da specie esotiche, nel complesso, la vegetazione può essere considerata naturale o seminaturale. Tre popolazioni sono persino riconducibili ad habitat prioritari, considerati di interesse conservazionistico a livello europeo.
Anche l’avifauna è ricca, se paragonata ad altre aree verdi di Roma, e comprende 62 specie, tre delle quali sono nell’Allegato I della Direttiva comunitaria “Uccelli”. In relazione alla vitale ed ecologicamente funzionale presenza dell’acqua, in termini faunistici, degne di nota appaiono poi anche le popolazioni di odonati (libellule) e di chirotteri (pipistrelli). “L’elevata diversità riscontrata – scrivono alcuni ricercatori in uno studio3 del 2017 – è probabilmente dovuta a una serie di particolari fattori presenti nell’area. Delle condizioni peculiari – sottolineano – che hanno fatto dell’insuccesso di un progetto di sviluppo urbano un motore di conservazione ecologica passiva”. Un vero e proprio paradosso che tuttavia evidenzia l’intrinseca e spesso sottovalutata resilienza degli ecosistemi naturali in contrapposizione a costosi e spesso fallimentari progetti di ripristino ambientale mal pianificati.
Un’ulteriore conferma dell’elevato valore naturalistico di questo luogo viene poi da una pubblicazione4 ancor più recente, secondo cui i ruderi della fabbrica rappresentano uno degli elementi più importanti dell’area del Lago, paragonabili, dal punto di vista ecologico, a una rupe marittima. Su questi si è infatti sviluppata una vegetazione Ingresso del Parco delle Energie Ingresso del Parco Lago mediterranea, con presenza di Pino d’Aleppo (Pinus halepensis) e Alaterno (Rhamnus alaternus), nonché formazioni erbose a Trifoglio scabro e Costolina annuale. Vegetazione diffusa nelle montagne calcaree intorno alla Capitale ma estremamente rara nelle aree più urbanizzate. Vegetazione che, nonostante sia preziosa e a maggior ragione meritevole di tutte le protezioni del caso, tuttavia è vittima dell’ennesimo e più recente sopruso portato avanti, ancora una volta, dalla Ponente 1978. «Nella primavera dell’anno scorso, in pieno periodo di nidificazione – mi ha raccontato Sabrina – riceviamo una segnalazione secondo cui era partito un totale abbattimento del verde presente nell’area della fabbrica a ridosso del Lago. Abbiamo iniziato ad osservare le attività, al di qua della zona privata, notando che quotidianamente veniva abbattuta la vegetazione presente all’interno, tra cui un esemplare protetto di Pino d’Aleppo. La sollevazione da parte nostra, in quanto collettività, è stata inevitabile, ma non sufficiente ad impedire che il disboscamento venisse portato a compimento».
Azioni, quelle documentate dagli attivisti del Forum, ingiustificabili e illecite (tutta l’area è sottoposta a più di un vincolo ed ogni intervento deve essere preventivamente autorizzato). Condotte sì all’interno di confini privati, ma comunque lesive di un bene comune superiore. Ora in contrasto anche con la nostra rinnovata Costituzione secondo cui l’iniziativa economica privata non può svolgersi in modo da recare danno alla salute e all’ambiente. Carta fondamentale che oggi tutela ecosistemi e biodiversità, in primo luogo, in virtù del loro valore intrinseco e, secondariamente, anche per i benefici sociali che da questi derivano. E il Lago e il suo intorno, in questo senso, non fanno di certo eccezione. “Nel complesso, l’ecosistema Bullicante ex Snia – ha puntualizzato il già citato articolo pubblicato su Geologia dell’ambiente nel 2021 – svolge una serie di funzioni ecosistemiche quali l’assorbimento di anidride carbonica, l’azione filtro con conseguente mitigazione dell’inquinamento atmosferico e, attraverso l’evapotraspirazione e l’ombreggiatura, assicura un’isola di contenimento delle temperature, ricircolo dell’aria e ventilazione cruciali nella regolazione del microclima urbano. La multifunzionalità ecologica dell’area ex SNIA risiede nella diversità e ricchezza degli ambienti che la caratterizzano e nel ruolo che assume in qualità di corridoio ecosistemico tra aree verdi centrali e periferiche del settore est di Roma”.
Un ecosistema quindi essenziale per la popolazione, non a caso, difeso ancor prima che le sue potenzialità socio-ecologiche venissero quantificate. Una volta accertato il valore ecologico del luogo, con consapevolezza e dovizia di fonti, i cittadini hanno poi avanzato richieste finalizzate ad una sua completa tutela. Come nel caso del riconoscimento a Monumento Naturale5, avvenuto però solo nel 2020 e, inizialmente, in modo parziale in quanto escludeva l’area dell’allora fabbrica. L’iter per l’estensione della tutela è partito solo quest’anno, «a giochi fatti», – ha commentato amareggiata Sabrina – previa presa visione di un’accurata documentazione, prodotta dal Forum, che ne giustificasse le motivazioni.
Allo stesso modo, anche l’inclusione del Lago nel demanio dello stato avrebbe contribuito ad evitare l’ennesimo sopruso. Infatti, le acque al limite della potabilità che sto osservando provengono, indubbiamente – come confermato dall’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia – dalla sottostante falda freatica. Come legge stabilisce e definisce, tale specchio d’acqua avrebbe quindi dovuto già da tempo essere demanializzato. Eppure, anche in questo caso, la strada è stata lunga e tortuosa. E sebbene ora, al riguardo, si possa respirare aria di conquista, pare si tratti dell’ennesima vittoria parziale. Ad aprile scorso, la procedura di demanializzazione è stata infatti accolta, escludendo, tuttavia, la porzione privata del Lago. Come sia possibile considerare del demanio un corpo idrico eccetto una sua minima parte, non è dato saperlo. Ma d’altronde, tali contraddizioni non dovrebbero sorprendere. «Basti pensare – ha sottolineato Sabrina – che il Forum è venuto a conoscenza delle motivazioni dietro i disboscamenti citati in precedenza. Un nuovo progetto edilizio, avanzato sempre dalla Ponente 1978 e recentemente approvato, dai connotati tipici della ‘manipolazione verde’. Un’ipotesi di riqualificazione dell’area, infiocchettata con dell’abile greenwashing che prevede, tra le altre cose, la realizzazione di giardini verticali: energivori ecosistemi artificiali al posto di ecosistemi naturali complessi e dinamici».
Insomma, la battaglia è ancora aperta. Manca infatti ancora un tassello per poter dichiarare definitivamente vittoria: l’esproprio di ogni residua particella privata. Ma nel frattempo, grazie alla determinazione di un manipolo di cittadini, si può comunque gioire. Mentre mi allontano, saluto Faty ancora indaffarato e penso a quanto l’azione collettiva abbia fatto e faccia la differenza: se ora, in uno dei quartiere più urbanizzati della Capitale, una famiglia può fare un pic-nic libera dallo smog cittadino, una coppia può conversare lontana dal caos urbano e io stesso ho potuto raccontare questa incredibile vicenda sotto la refrigerante ombra della vegetazione ripariale del Lago, è solo grazie alla lotta di chi nel cambiamento ci ha creduto e si è battuto affinché i propri diritti venissero rispettati. Chapeau.
[di Simone Valeri]
Grazie per questo bellissimo articolo
Un saluto a tutti!
Mi prendo la libertà di omaggiare gli “assalti frontali”, è grazie a loro che sono venuto a conoscenza di questa grande storia.
Vi invito al ascoltare “il lago che combatte” e “in fondo al lago”.
Ringrazio chi combatte ogni giorno per il bene collettivo!