domenica 24 Novembre 2024

La Tunisia è di nuovo sul punto di esplodere

Da mesi in Tunisia continuano le proteste contro la situazione sociale e politica. Nel mirino dei manifestanti il presidente della Repubblica, Kais Saied, accusato di portare avanti una restaurazione autoritaria che sta riportando le lancette della storia nazionale ai tempi che si credevano passati della infinite autocrazie degli ex presidenti Bourguiba (1957 – 1987) e Ben Ali (1987 – 2011). Il 25 luglio 2021, con quello che l’opposizione ha definito un colpo di Stato, il Presidente Kais Saied, in carica dal 2019, ha esteso i suoi poteri: dopo aver sciolto d’autorità il governo allora in carica, ha “congelato” il Parlamento per un mese, in attesa di formare un nuovo gabinetto. Una situazione che è stata poi prorogata, abrogando di fatto la democrazia parlamentare. Da quei giorni sono iniziate le proteste che a ondate stanno coinvolgendo la Tunisia, fino all’enorme manifestazione di sabato scorso, 15 ottobre, quando centinaia di migliaia di persone hanno riempito il centro di Tunisi riprendendo ad intonare le canzoni della rivoluzione del 2011, quando il popolo cacciò il dittatore Ben Ali. 

Il 25 luglio 2022, si è tenuto un referendum sulla nuova Costituzione che di fatto legittima l’estensione dei poteri presidenziali e la sottomissione del potere giudiziario al governo. Nonostante un’astensione del 72,6%, il governo ha portato avanti i suoi piani: la nuova Carta mette in discussione i diritti e le libertà contenute nella Costituzione del 2014, detta “La Costituzione del popolo” per i suoi i principi liberal-democratici, quali l’uguaglianza tra i cittadini, la separazione dei poteri, la sovranità popolare e la tutela dei diritti umani. La nuova Costituzione, invece, sottolinea le fondamenta religiose della Tunisia, definendo il Paese come una “umma islamica” (una comunità di musulmani), un passo indietro di decenni per il Paese, che anche durante le dittature di Bourguiba e Ben Ali aveva mantenuto un ordinamento laico. Per gli oppositori si tratta di una costituzione reazionaria con l’obiettivo di porre fine alle lotte emancipatorie che hanno accompagnato la rivoluzione scoppiata nel 2010-2011, e con la quale Saied avrebbe annullato più di un decennio di progressi democratici. 

10 GIUGNO 2022: manifestanti si riuniscono a sostegno dei diritti delle donne durante una protesta che denuncia la violenza contro le donne in Avenue Habib Bourguiba a Tunisi. [Foto di Hasan Mrad]
Il referendum sulla Costituzione ha dato un “giustificativo” per l’aumento della repressione contro le organizzazioni sindacali e gli attivisti sociali, divenuti insieme ad oppositori e giornalisti, i principali bersagli della polizia. Tra le persone prese di mira dal governo c’è ad esempio la giornalista e femminista Arroi Baraket, fermata a settembre dello scorso anno con l’accusa di “violenza estrema contro un pubblico ufficiale”. Il processo è stato rinviato a questo ottobre e Arroi rischia cinque anni di carcere.

Ad aggravare una situazione si aggiunge l’inflazione record al 9,1%, il livello più alto degli ultimi trent’anni. nelle ultime settimane in Tunisia si sono verificate carenze di beni di prima necessità, e un‘impennata dei costi dei generi alimentari base, da tempo sovvenzionati e sempre più spesso disponibili solo in razioni, che minacciano di aggravare i disordini già in corso nel Paese. Problemi cui si aggiunge una situazione economica instabile, dovuta in particolare dall’austerità imposta dal Fondo Monetario Internazionale (FMI) per un nuovo prestito.

Nei mesi scorsi, centinaia di persone hanno protestato per il degrado delle loro condizioni di vita nelle strade di Douar Hicher, un quartiere povero fuori Tunisi. I manifestanti hanno bloccato la strada principale della città dando fuoco a pneumatici e gridando «Lavoro, libertà, dignità» – lo slogan della rivoluzione del 2010-2011 – e sfidando la polizia che ha usato gas lacrimogeni per disperderli. I manifestanti hanno esposto uno striscione con la scritta «Basta con i colloqui e le promesse, la gente è colpita dalla fame e dalla povertà». Nel dicembre 2010 per accendere la miccia della rivoluzione bastò il gesto di estrema protesta di un giovane ambulante di nome Mohamed Bouazizi, che si diede fuoco innescando la rivolta. Oggi la situazione sembra di nuovo al punto di non ritorno, in attesa di una nuova scintilla. 

[di Sara Tonini]

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