Una famiglia nativa sta guidando la lotta per la salvaguardia di due dei territori indigeni più minacciati nello Stato brasiliano di Rondônia: le riserve di Sete de Setembro e Uru-Eu-Wau-Wau. L’attenzione degli speculatori sulle aree della Rondônia è incrementata dal gennaio 2019 e da allora hanno visto un’intensificazione di attività illegali come l’invasione e sfruttamento intensivo delle terre, le numerose attività minerarie illecite e la deforestazione dell’Amazzonia, che ha raggiunto livelli record, mentre i nativi vengono minacciati, perseguitati e, talvolta, persino uccisi.
Le violenze nel confronto delle popolazioni autoctone non hanno fermato Ivaneide Bandeira Cardozo, conosciuta come Neidinha Suruí e attivista per i diritti degli indigeni. Quando era bambina, nel suo villaggio arrivavano con piccoli aerei dei fumetti del Far West in cui leggeva storie di indigeni cattivi che finivano per essere uccisi dagli uomini bianchi. «Quando sarò grande, mi batterò contro tutto questo», diceva, e ora che ne ha 64 sta mantenendo la sua promessa. A Neidinha Suruí si sono uniti anche il marito e la figlia, tanto da diventare la famiglia simbolo della resistenza indigena.
Neidinha si occupa di coordinare l’Associazione di Difesa Etno Ambientale Kanindé e ha ottenuto riconoscimenti per il suo lavoro per l’ambiente e i diritti umani in Amazzonia, suo marito Almir Suruí ha acquisito fama mondiale grazie alla sua leadership del popolo Paiter Suruí, basato a Sete de Setembro e che conta una popolazione di circa due mila indigeni. I due hanno cinque figli e tra loro la giovane Txai Suruí si è distinta internazionalmente per il suo impegno per i territori e i diritti degli indigeni: l’attivista e studentessa di legge ha tenuto un discorso al vertice sul clima COP 26 a Glasgow, in Scozia, lo scorso anno. Con l’occasione di parlare davanti ai “grandi” della Terra ha voluto rimarcare l’urgenza di fare qualcosa. «La Terra ci sta parlando. Ci dice che non abbiamo più tempo», ha detto alla conferenza. “Non è 2030 o 2050. È adesso».
Un gruppo di leader della comunità di Uru-Eu-Wau-Wau ha iniziato a formarsi su come affrontare le minacce esterne e parte della risposta proviene dalla tecnologia. Attraverso droni, telecamere e altri strumenti digitali, i leader indigeni stanno ideando strategie di coordinamento della comunità e di monitoraggio e protezione del territorio. Questi sforzi sono stati resi possibili grazie alla collaborazione con diverse organizzazioni, che hanno aiutato le comunità a diffondere la consapevolezza delle minacce che devono affrontare. Una di queste collaborazioni è sostenuta dal World Wide Fund for Nature in Brasile (WWF Brasile), di cui la giovane Txai è diventata membro lo scorso anno, e che garantisce la sorveglianza online di aree invase che altrimenti sarebbero difficili da raggiungere in sicurezza con altri mezzi.
Grazie alla dimestichezza acquisita con questi dispositivi, la comunità Uru-Eu-Wau-Wau ha avuto anche l’opportunità di condividere con il mondo la propria storia. Le loro lotte, infatti, sono state raccontate nel documentario “The Territory” (“O Território”), uscito negli Stati Uniti e in Europa ad agosto e in Brasile l’8 settembre, dopo tre anni e mezzo di riprese. Il documentario vede una collaborazione nella produzione da parte di operatori brasiliani, danesi e statunitensi insieme alla partecipazione di giovani leader indigeni, sia davanti che dietro la macchina da presa, tra cui la stessa Txai Suruí, che ha lavorato come produttore esecutivo. Le popolazioni native hanno filmato le minacce che loro stesse hanno affrontato ogni giorno, lavorando nel team di produzione e contemporaneamente essendo ripresi come protagonisti delle scene principali del documentario.
L’attivismo e l’impegno delle popolazioni indigene hanno spesso un prezzo e anche la famiglia Suruì è stata bersaglio di insulti e intimidazioni. Da tempo i Suruì vivono circondati da dispositivi di sicurezza, così tanti da sentirsi «prigioniera in casa mia», ha raccontato Neidinha. «La gente non si ferma a pensare a come le persone che affrontano questo tipo di pressione cambiano la loro vita. Vivo in un costante stato di agitazione a causa delle minacce di morte». A un certo punto le intimidazioni sono state così gravi che Neidinha e Almir hanno dovuto vivere con una scorta militare tra il 2010 e il 2014. «Eravamo tutti scossi, malati. Non potevamo andare al ristorante, come qualsiasi famiglia normale. Tutti ci guardavano. Sembrava che fossimo noi i criminali», ricorda la donna. Ora ricevono protezione dai gruppi di sostegno spontanei, ma vivono ancora nella paura.
Anche l’attivismo di Txai Suruí è fonte di preoccupazione per i genitori. «Sono orgogliosa di avere una figlia che lotta per il Pianeta- racconta Neidinha – ma allo stesso tempo ho paura dei rischi che corre. Ha subito anche molti attacchi razzisti e minacce di morte. Tutto questo mi tiene sveglia la notte» ha confessato Neidinha.
[di Sara Tonini]