Rispetto solo a qualche mese fa, lo spreco alimentare in Italia è aumentato, e in particolare quello domestico, che ammonta a 674,2 grammi pro capite. Secondo il nuovo dossier dell’Osservatorio internazionale di Waste Watcher / Spreco Zero, che monitora l’andamento e le abitudini in cucina di vari Paesi, gli scarti alimentari costano annualmente agli italiani 9,2 miliardi. A questi si sommano 6,4 miliardi stimati imputati agli sprechi dell’energia per produrre il cibo, così come dell’acqua e delle altre risorse. Una cifra complessiva di 15,6 miliardi l’anno, circa un punto di Pil.
L’estate è la stagione di maggiore scarti alimentari per il nostro Paese: lo spreco domestico è infatti aumentato in pochi mesi, passando dai 595,3 grammi pro capite di febbraio ai 674,2 grammi dell’ultima rilevazione di Waste Watcher International con dati raccolti ad agosto. Un piccolo miglioramento, comunque, rispetto allo stesso report di un anno fa, realizzato nell’agosto del 2021, quando in Italia era stato attestato uno spreco di 750 grammi a settimana, 75 in più rispetto agli ultimi numeri.
«Il nuovo Report internazionale vale come un “G9” dello spreco – spiega il direttore scientifico di WasteWatcher International Andrea Segrè, fondatore della campagna Spreco Zero – Perché accanto al dato italiano, che dimostra elementi importanti come la ‘stagionalità’ dello spreco alimentare in ragione delle abitudini e delle diete che si adottano col variare dei mesi, i cittadini e gli operatori trovano i dati di altri 8 Paesi di tutto il mondo, dall’Asia all’Africa agli States». Il documento è stato realizzato intervistando complessivamente nove mila cittadini, per un campione statistico di 1000 cittadini a Paese. Dai dati risulta che Sudafrica e Giappone sono i più virtuosi, arrivando a sprecare circa la metà rispetto all’Italia (324 e 362 grammi a settimana), mentre in Europa spicca la Francia, con 634 grammi settimanali. Gli Stati Uniti si confermano i meno attenti alla questione, con 1338 grammi di cibo gettato a settimana, per quanto in lieve discesa rispetto al 2021, con 64 grammi in più buttati ogni sette giorni. Il Brasile, per la prima volta monitorato da WasteWatcher, si posiziona al quarto posto tra i peggiori Paesi nella lotta allo spreco, con 794 grammi di cibo buttato ogni settimana, sempre a persona.
Tra i motivi che toccano specificatamente il nostro Paese, c’è sicuramente il tipo di alimenti che come popolazione prediligiamo. Nel report è stato individuato infatti un incremento generale dello spreco di ortofrutta e di altri cibi freschi, come latte e derivati, molto utilizzati dagli italiani. Un’altra causa, sottolinea Segrè, “è senz’altro il progressivo impoverimento economico della popolazione (l’inflazione alimentare a due cifre) che acquista prodotti di costo più basso e spesso di minore valore nutrizionale, alimenti che peraltro deperiscono prima. Si ha quindi un doppio impatto negativo: – prosegue in un articolo di approfondimento pubblicato sul Manifesto– sullo spreco alimentare «quantitativo» e sullo spreco «calorico» nel senso di un abbassamento del valore nutrizionale degli alimenti che compongono la dieta”.
Nello specifico, in Italia gettiamo individualmente 30,3 grammi di frutta alla settimana, segue l’insalata con una media di 26,4 grammi pro capite, e il pane fresco con 22,8 grammi. Ci superano gli Usa, con 39,3 grammi a testa, la Germania con 35,3 e il Regno Unito che si attesta su uno spreco settimanale di 33,1 grammi a testa. E ancora, in Italia buttiamo ogni settimana 21 grammi di verdure e ben 22,8 grammi di tuberi, aglio e cipolle.
Per limitare questi numeri, è necessario prendere misure sia dal punto di vista individuale, con una maggiore attenzione al calcolo e all’organizzazione della spesa, sia dal punto di vista collettivo. Non solo programmi di educazione alimentare nelle scuole, per sottolineare i tanti valori (economico, nutrizionale, ambientale) del cibo ma direttive che rendano la lotta allo spreco una priorità. Secondo Il Centro comune di ricerca (JCR) della Commissione europea, in Italia quasi il 68,6% degli scarti alimentari arriva dal consumo, il 6,8% circa dalla distribuzione, il 12% dalla trasformazione, il 12,7% dalla produzione primaria. A giugno del 2014, nel nostro Paese, è stato pubblicato il PINPAS (Piano nazionale di prevenzione degli sprechi alimentari) con una serie di proposte principalmente in ambito educativo e della ricerca. Con la legge n. 166/2016 (“legge Gadda”), è stata prevista una serie di misure per incentivare la redistribuzione delle eccedenze di cibo e farmaci per scopi di solidarietà sociale, come semplificazioni burocratiche, sgravi fiscali e bonus per i donatori. Ma queste direttive non sono sempre facili da mettere in pratica e considerano la lotta allo spreco alimentare più una soluzione temporanea che un problema strutturale della società.
Tante realtà operano in questa direzione, cercando di semplificare il più possibile l’individuazione e la raccolta di beni alimentari a rischio scarto. La Fondazione Banco Alimentare, ad esempio, ogni giorno recupera le eccedenze alimentari dei supermercati italiani per distribuirle a strutture che offrono pasti a persone che vivono in difficoltà. Nel 2021, Banco Alimentare ha raccolto circa 7.000 tonnellate di cibo che probabilmente sarebbero andate buttate perché vicine ai termini di scadenza. Con la loro iniziativa “Colletta Alimentare”, la fondazione ha raccolto non solo tramite presidi e interventi fisici nei negozi, ma anche tramite donazioni online con i punti aderenti e addirittura con una sezione appositamente dedicata su Amazon.
[di Sara Tonini]