Il governo Meloni studia la maniera di far fronte all’emergenza energetica e propone come soluzione uno scambio: energia a prezzi calmierati per le aziende maggiormente “gasivore”, ma concessione dell’espansione del perimetro di estrazione per le società estrattive. Così, nel mar Adriatico, si potrà estrarre il gas a partire da 9 miglia dalla costa. La norma, approvata in sede di Consiglio dei Ministri, sarà inserita sotto forma di emendamento al decreto Aiuti ter, al vaglio del Parlamento la prossima settimana.
La misura, ha spiegato Meloni in conferenza stampa, “riguarda la possibilità di liberare alcune estrazioni di gas italiano facilitando le concessioni in essere e immaginandone di nuove“. In cambio, i concessionari dovranno mettere a disposizione delle aziende più energivore, a partire dal 1° gennaio prossimo, uno o due miliardi di metri cubi di gas a prezzi calmierati, tra tra i 50 e i 100 euro al megawattora. Secondo le stime del governo, in questo modo il fabbisogno delle aziende più “gasivore”, come quelle della ceramica e del vetro, dovrebbe essere soddisfatto almeno per il 75% dei volumi potenziali. Le aziende che beneficeranno di questa misura dovrebbero essere in tutto 150, per un terzo piccole e medie imprese. L’obiettivo del governo è raddoppiare l’estrazione del gas metano, equivalente a 3,3 miliardi di metri cubi nel 2021 a fronte di 70 miliardi consumati, per poter “raggiungere quella sicurezza energetica che è un obiettivo strategico per l’Italia”, come dichiarato dal viceministro dell’Ambiente Vannia Gava.
Così, le trivelle potranno scavare alla ricerca di nuove scorte di gas, a partire da sole 9 miglia dalle coste adriatiche. Il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, ha specificato che l’autorizzazione viene concessa “da giacimenti nazionali che abbiano una capacità superiore a 500 milioni di metri cubi, quindi grandi, per evitare una proliferazione”, specificando che “tutto questo deve avvenire al di sotto del 45° parallelo, con l’unica eccezione del ramo Goro del fiume Po”. La porzione di terreno resa disponibile, quindi, corrisponde all’Alto Adriatico (dove le attività estrattive erano vietate da 30 anni), con l’esclusione del bacino di fronte a Venezia. Prevista, inoltre, la riapertura delle attività, comprese quelle di ricerca anche all’interno delle zone protette non ancora esistenti ma da costituire secondo quanto disposto dal Piano per la transizione energetica sostenibile delle aree idonee (Pietsai).
Secondo le stime del ministero della Transizione ecologica, in Italia vi sarebbero almeno 39,8 miliardi di metri cubi di riserve di gas “certe” e con una probabilità di almeno il 90% di essere “commercialmente prodotte”, mentre 44,5 i miliardi metri cubi di gas sono “probabili” ed estraibili con una probabilità del 50% ed è quasi irrisoria la possibilità di estrazione delle risorse “possibili” (all’incirca 26,7 miliardi di metri cubi). Secondo l’ex ministro dell’Ambiente Sergio Costa, tuttavia, il decreto “sblocca trivelle” costituisce una manovra insensata, in quanto anche se le autorizzazioni arrivassero subito il combustibile non sarebbe utilizzabile prima di molti mesi. “Se anche estraessimo tutto il gas dai pozzi italiani copriremmo il fabbisogno nazionale di circa due anni” prima di ritrovarsi da capo “ma con un territorio distrutto” ha dichiarato. Immediate anche le proteste degli ambientalisti: tra questi, il presidente di Legambiente Stefano Ciafani ha definito “ridicole” le quantità disponibili tra riserve probabili e certe, in quanto “se le dovessimo estrarre tutte con uno schiocco di dita le esauriremmo in quindici mesi”.
[di Valeria Casolaro]