domenica 22 Dicembre 2024

I licenziamenti di Meta celano gli inaspettati passi indietro della digitalizzazione

Se ne parlava da giorni, se non da settimane, ma alla fine è successo: Meta si è accodata alla crescente lista di Big Tech che hanno compiuto ingenti tagli al personale nel disperato tentativo di ridurre i costi. Nello specifico, l’azienda guidata da Mark Zuckerberg ha messo senza troppe cerimonie alla porta il 13% della sua forza lavoro, ovvero più di 11.000 dipendenti. L’esempio di Meta non è anomalo, ma è estremamente eclatante ed evidenzia tanto una crisi del settore, quanto un cambio di rotta sulle previsioni di come la digitalizzazione stia attecchendo all’interno del tessuto sociale. 

Della questione avevamo già accennato a luglio, periodo in cui i giganti della tecnologia hanno iniziato a rallentare le previsioni di assunzione, tuttavia i fatti ci rivelano che la posizione allora pubblicamente adottata dai leader di categoria fosse tutto sommato ottimistica. A porte chiuse si parlava già di licenziamenti, ma ufficialmente l’imprenditoria doveva dimostrarsi propositiva e lanciata verso un futuro di crescita, così da non ammettere la parziale sconfitta che stava effettivamente subendo.

Le cause di questa “recessione” digitale vengono spiegate con precisione dallo stesso Zuckerberg: «all’inizio del Covid, il mondo si è rapidamente mosso online e la crescita dell’e-commerce ha portato a un aumento delle entrate fuori scala. Molti hanno predetto che questa accelerazione sarebbe stata permanente, che sarebbe proseguita anche in seguito alla conclusione della pandemia. […] Sfortunatamente questo non è stato il caso. Non solo il commercio online è tornato ai suoi numeri originari, ma la crisi macroeconomica, la crescente competizione e la perdita di indicatori delle inserzioni hanno motivato ritorni di molto inferiori di quando non mi aspettassi».

Il Big tra i Big, Meta, rinforza dunque l’idea da molti percepita che la conclusione delle restrizioni pandemiche – che non necessariamente coincide con la conclusione della pandemia – sia stata accompagnata da un desiderio di allontanarsi dallo schermo, piuttosto che dalla tendenza di perdersi all’interno del cyberspazio. Le cose sono perlopiù tornate a quella che pochi anni fa veniva considerata normalità, una tendenza che le testate specializzate in tecnologia etichettano infelicemente come “Great Reset”, forse non rendendosi conto che il colorito nomignolo si confonde facilmente con un omonimo progetto socio-finanziario tanto caro al World Economic Forum (WEF).

Questo rimando al passato non è altresì del tutto sincero, alcuni dati suggeriscono anzi che il tempo che le persone dedicano ad app e portali social siano ancora in aumento, piuttosto si può sostenere che a essere in dubbio sia il futuro digitalizzato prospettato da alcuni gatekeeper propensi al monopolio. La digitalizzazione prosegue, seppur più lentamente, il suo percorso, tuttavia dopo anni di abusi e comportamenti scorretti le Big Tech si trovano a dover convincere Governi e utenti che i servizi da loro forniti siano effettivamente in grado di aggiungere valore, di contribuire in qualche modo a migliorare la vita dei singoli individui e delle comunità tutte. 

[di Walter Ferri]

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