Da settimane sono in corso massicci spostamenti di mezzi e uomini sul fronte di Kherson dove non si arrestano gli attacchi frontali delle truppe ucraine che tentano di sfondare le linee nemiche. Allo stesso tempo, i vertici militari russi e l’amministrazione della regione hanno ordinato l’evacuazione completa della popolazione civile residente a ovest del fiume Dnipro e un ripiegamento tattico delle truppe moscovite a sinistra del fiume, in quella che ha tutta l’aria di essere la preparazione della “grande battaglia” per la “difesa” di Kherson, oblast meridionale dell’Ucraina – ormai considerato territorio russo da Mosca in seguito all’annessione – di fondamentale importanza geostrategica e determinante per le sorti del conflitto. Il 9 novembre, il ministro della Difesa Sergei Shoigu ha accolto la proposta del comandante del gruppo congiunto di forze della Federazione Russa, Sergei Surovikin, di organizzare la difesa lungo la riva sinistra del fiume Dnipro e ha ordinato quindi di procedere con il ritiro delle truppe.
Il generale Surovikin ha spiegato che in caso di bombardamento e rottura della centrale idroelettrica di Kakhovskaya, ci sarebbe il rischio di isolamento completo delle truppe russe sulla riva ovest del fiume: «Se il regime di Kiev punta a un ulteriore aumento del flusso d’acqua dai bacini idrici o a un attacco missilistico più potente alla diga di Kakhovka, si formerà un flusso d’acqua che creerà vaste zone di inondazione, provocando perdite significative tra la popolazione civile. Ci sarà un’ulteriore minaccia per la popolazione civile e il completo isolamento del nostro gruppo di truppe sulla riva destra del Dnipro. In queste condizioni, l’opzione più appropriata è organizzare la difesa lungo la linea di barriera del fiume Dnipro», ha affermato il comandante. La Russia ha fatto circolare una lettera al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite con un appello a impedire la distruzione della diga idroelettrica di Kakhovka da parte di Kiev, che potrebbe portare alla morte di migliaia di persone, come ha riferito Vasily Nebenzya, rappresentante permanente della Russia all’ONU, durante una Riunione del Consiglio di sicurezza.
I vertici militari russi hanno deciso di adottare una strategia molto diversa da quella di Kiev, che impiega un massiccio numero di uomini – di gran lunga superiore a quello russo – per attacchi frontali di artiglieria che implicano però un altissimo numero di perdite tra i soldati: i russi procedono, invece, logorando l’avversario e riducendone la fanteria. Secondo Surovikin, le forze armate moscovite hanno respinto con successo i bombardamenti da parte delle truppe ucraine. «I sistemi di difesa aerea russi abbattono l’80 percento dei missili», ha osservato Surovikin. Tuttavia, «fino al 20% di loro raggiunge ancora i propri obiettivi» e in queste condizioni «Kherson e gli insediamenti adiacenti non possono essere completamente riforniti». Ha aggiunto, inoltre, che «le nostre perdite sono 7-8 volte inferiori a quelle del nemico».
In Occidente, la notizia del ripiegamento è stata subito vista come una debacle e i maggiori organi di stampa hanno dato letture contrastanti descrivendo il ritiro come una disfatta e, allo stesso tempo, come un modo per aprire ai negoziati. Al netto di analisi forse parziali, è necessario distinguere la tattica militare dalla propaganda, tenendo presente che l’efficacia strategica della prima non sempre coincide con quella comunicativa: un ripiegamento tattico, infatti, permetterebbe a Mosca di salvare la vita di molti uomini, attirando allo stesso tempo gli ucraini in un’area che – sgombra dai civili – si presta facilmente a diventare un bersaglio perfetto per l’artiglieria e le forze aerospaziali moscovite, tanto che gli stessi ucraini temono una trappola: il consigliere di Zelensky, Mykhailo Podolyak, in un’intervista al Corriere della Sera ha detto esplicitamente di non credere alla ritirata russa: «Noi vediamo ancora una parte delle truppe russe attestate a Kherson, non è escluso che le loro unità restino posizionate e nascoste tra le vie e le case della città. I nostri soldati continuano ad operare secondo i piani già programmati. Le nostre truppe si muovono sulla base delle informazioni dell’intelligence e non di confusi annunci tv», ha dichiarato.
L’oblast di Kherson costituisce un punto nevralgico per il Cremlino e, per questo, i combattimenti per il suo controllo si prefigurano – salvo sorprese – lunghi e sanguinosi: nessuna delle due parti, infatti, è intenzionata a cedere. Kherson è fondamentale per Mosca per quanto riguarda i rifornimenti e il collegamento con la Crimea e rappresenta, inoltre, uno sbocco imprescindibile sul Mar Nero, oltre che una testa di ponte per un allargamento verso Odessa. Non a caso, è stato uno dei primi oblast che Mosca ha conquistato subito dopo l’avvio delle operazioni militari. Il presidente serbo Vucic ha recentemente paragonato quella per Kherson alla battaglia di Stalingrado, uno dei più importanti combattimenti della Seconda guerra mondiale in cui l’Armata rossa sconfisse la Germania nazista: «Affrontiamo un momento difficile. Il prossimo inverno sarà ancora più difficile di questo perché affronteremo la battaglia di Stalingrado, la battaglia decisiva nella guerra in Ucraina, la battaglia di Kherson, dove entrambe le parti utilizzano migliaia di carri armati, aerei e artiglieria» ha affermato Vucic. Le dichiarazioni del presidente serbo rendono bene l’idea della posta in gioco.
Non manca del resto chi sospetta che l’ultima mossa russa più che una mossa militare sia una mossa politica per aprire la possibilità di negoziati, posizione vista come un “tradimento” dall’opinione pubblica sia russa che ucraina: ad oggi, tuttavia, non è ancora possibile dire con certezza in che direzione porterà l’ultima decisione russa di ritirarsi da una parte del territorio di Kherson. Difficile però credere che Putin possa rinunciare anche solo a parti dei territori annessi alla Federazione. Tutto dipenderà dalla volontà di entrambe le parti di ammorbidire le loro condizioni e trovare compromessi e dalla pressione, su questo punto, degli americani su Kiev. In mancanza di questi presupposti non è inverosimile aspettarsi una battaglia ancora lunga e certamente cruenta, salvo colpi di scena.
[di Giorgia Audiello]