Sale la tensione nella regione cilena dell’Araucanía, terra mapuche. La popolazione indigena sta portando avanti la propria resistenza armata, anche contro il governo cileno guidato dal presidente Gabriel Boric, l’ex leader delle proteste studentesche salito alla carica presidenziale dopo aver promesso in campagna elettorale una soluzione pacifica con i nativi e un riconoscimento delle loro terre ancestrali. Sono stati appiccati incendi e sono state messe in atto azioni di sabotaggio prima, durante e dopo la visita del Presidente nella regione nel sud del Paese. In seguito alle azioni rivendicate da Coordinadora Arauco Malleco (CAM), il più radicale dei gruppi che chiedono la restituzione dei territori ancestrali, Boric, durante la sua prima visita come capo di stato a La Araucanía, si è spinto a definire «attacchi terroristici» gli incendi appiccati contro alcuni edifici della regione, tra cui anche delle chiese, e ha addirittura paragonato le azioni dei mapuche a quelle dei nazisti nel 1930.
Il Presidente era in visita nella regione proprio per affrontare la questione relativa alla restituzione delle terre ai mapuche. In occasione del viaggio, Boric ha affermato: «Vengo per fare un invito a tutti gli attori della regione dell’Araucanía per formare una commissione per la pace e la comprensione, il cui mandato sarà quello di determinare chiaramente la domanda di terra delle comunità mapuche e di proporre al Paese meccanismi concreti, con scadenze concrete, per saldare e riparare questo debito». Il piano presentato dal Presidente, come ammesso dallo stesso Boric, dovrebbe realizzarsi in molti anni, anche aldilà della scadenza del suo mandato nel 2026, e non potrebbe prevedere l’intera restituzione della terra richiesta dalla popolazione indigena.
Coordinadora Arauco Malleco ha dichiarato che il viaggio di Boric ha servito «gli interessi dell’oligarchia, il potere dei gruppi economici che affrontano direttamente la causa mapuche, ogni volta che sotto il suo governo le strutture di dominio contro cui abbiamo storicamente combattuto sono state intensificate». Infatti, gli attacchi da parte dei movimenti di resistenza sono avvenuti dopo il rinnovo dello stato di emergenza emanato nel maggio scorso dal Presentite Boric, in vigore a La Araucanía e nella vicina regione del Biobío.
Prima di assumere il potere nel marzo scorso, Boric è stato uno strenuo detrattore dello stato di emergenza che consente al Presidente di convocare e disporre delle Forze Armate. «Uno stato di eccezione non può diventare la normalità», ebbe a dire Boric, soprattutto perché «non si sta dimostrando utile per raggiungere la pace». Invece, il 17 maggio scorso, non solo Boric ha emanato lo stato d’emergenza ma ha persino ripristinato la militarizzazione della regione, avviata per la prima volta dall’ex Presidente conservatore Sebastián Piñera, che il nuovo leader di sinistra aveva revocato al momento del suo insediamento a marzo.
Insomma, anche il nuovo governo di sinistra, che doveva essere più accogliente nei confronti delle rivendicazioni Mapuche, sebbene nelle intenzioni volenteroso di trovare un accordo per la restituzione delle terre alle popolazioni indigene, nei fatti, prosegue con la politica della forza e con la militarizzazione delle regioni ove il dissenso Mapuche è più forte e radicato. Nella sostanza, Boric ha applicato la politica opposta che aveva dichiarato di voler adottare e così lo stato di emergenza diventa la normalità. Niente di nuovo per il popolo mapuche, che non può fare altro che continuare a condurre la propria storica lotta per terra e la libertà.
[di Michele Manfrin]