giovedì 21 Novembre 2024

Colombia: firmato il disegno di legge per la “pace totale” con i guerriglieri

Con 128 voti favorevoli e 7 contrari, il 4 novembre la Camera dei deputati della Colombia ha approvato dopo il Senato il disegno di legge rinominato “pace totale”, fortemente voluto dal neo Presidente Gustavo Petro. Il testo, che dovrà ulteriormente essere valutato da una commissione prima della definitiva promulgazione, prevede l’apertura di negoziati di pace tra le autorità governative e i gruppi ribelli ELN e FARC (oltre ad altre bande più piccole), con l’intento ultimo di arrivare ad un definitivo cessate il fuoco.

Il primo gruppo (il cui acronimo sta per Esercito di liberazione nazionale) è stato fondato nei primi anni ’60 da studenti, operai e membri del clero che, traendo ispirazione dalla rivoluzione cubana, hanno tentato di replicarne le gesta anche in Colombia. Ad oggi l’ELN può contare ancora su circa 4.000 militanti attivi, spesso accusati di essere coinvolti nel traffico di droga, nelle estorsioni e nei rapimenti anziché nella lotta rivoluzionaria. Il secondo, invece, è l’altro più noto gruppo guerrigliero della Colombia. FARC (Forze Armate Rivoluzionarie della Colombi, di matrice comunista) e Governo sono ormai in lotta dal 1964: i miliziani hanno l’obiettivo di rovesciare lo stato e instaurare un governo marxista utilizzando la lotta armata.

Fatte le dovute premesse, è ancora più chiaro che quello per la “pace totale” sarà un cammino lungo e complicato: i risultati non saranno di certo immediati, soprattutto in un paese, come la Colombia, in cui la guerriglia interna va avanti da più di cinquant’anni, mietendo milioni di vittime. Usando le parole di Petro, «è una guerra che deve finire definitivamente, senza echi, affinché la società colombiana sia la vera padrona del paese». Le speranze e le aspettative sono molte e molto alte, e il rischio è che la Colombia ricada in un vortice di violenze più accentuate di prima. Non è la prima volta che si tenta la via del dialogo, ma fino ad ora processi così inevitabilmente lunghi non hanno fatto altro che portare all’inasprimento del conflitto.

A fare la differenza, questa volta, potrebbe essere il fatto che Petro, oltre all’apertura nei confronti dei ribelli, ha previsto di introdurre all’interno dello Stato una serie di importanti riforme. Due fra queste, in particolare, hanno un enorme valore simbolico perché toccano alcuni punti cruciali e scatenanti della guerra colombiana: agricoltura e narcotraffico. Due temi strettamente collegati fra loro per via della numerosa presenza di coltivazioni di coca all’interno del Paese. Ad esempio, tramite una serie di accordi, a inizio ottobre il Governo ha acquistato tre milioni di ettari di terreni, sparsi su tutto il territorio, da distribuire fra ex guerriglieri e piccoli agricoltori, un tema che spesso li ha visti armarsi gli uni contro gli altri. E ancora. Petro ha promesso che sospenderà la “caccia” ai membri dei gruppi armati e offrirà alcuni vantaggi, tra cui pene ridotte e garanzia di non estradizione, ai membri che collaborano con la giustizia fornendo informazioni sulle rotte del narcotraffico.

Chiaro, ci vorrà tempo. Tuttavia, le intenzioni governative sembrano andare nella direzione di una pace a tutto tondo, globale, che parta dal dialogo e si dirama in concrete riforme interne. Quella che Gianni La Bella, docente di Storia contemporanea, intervistato da AgenSir, ha definito «una cultura di pace nella cittadinanza». Sarà importante, per questo, che il Presidente metta in atto anche delle riforme nei confronti delle proprie forze armate. I colombiani associano la polizia governativa a violenza e brutalità. Petro ha espresso la volontà di trasformare l’esercito in una forza che faccia sentire i cittadini più al sicuro, che riduca gli omicidi per mano di gruppi armati e protegga le famiglie che coltivano coca in maniera legale.

Difficile dire se effettivamente tutto questo succederà ma, come ha detto a Foreign Policy Vera Grabe, ex politica ora impegnata in un’organizzazione colombiana che promuove i diritti umani: «Vivevamo in un deserto dove la pace non esisteva. Almeno ora ci sono dei dubbi: prima non c’era niente. Ora esiste una possibilità». 

In generale comunque le premesse non mancano. C’è aria di cambiamento in Colombia, quello che si auspicava con l’arrivo del nuovo Presidente Gustavo Petro. Tra le altre riforme, martedì 18 ottobre il Congresso della Repubblica ha definitivamente approvato per il 2023 uno stanziamento di 85,5 miliardi di dollari da investire principalmente in istruzione, salute pubblica e agricoltura. Il disegno di legge ingloba una “spesa sociale” senza precedenti, la più alta nella storia del Paese, che come ha detto il ​​ministro delle finanze Jose Antonio Ocampo verrà impiegata anche in «programmi a favore della pace» per tentare i conflitti con i gruppi armati che da decenni sono attivi nel Paese.

La Colombia ha lottato a lungo e più volte per consolidare la pace, firmando numerosi accordi con gruppi armati, tra cui quello degli anni 2000 con i paramilitari di destra e quello con le Forze armate rivoluzionarie della Colombia (Farc) nel 2016. Ma il fallimento dei Governi precedenti nell’attuare i patti e nell’assumere il controllo della situazione ha portato con sé un aggravamento della violenza.

Questa volta potrebbe essere diverso, soprattutto perché, a dirla con le parole di Camilo Posso , Presidente di Indepaz – l’Istituto per lo sviluppo e la pace in Colombia – «la gente non vuole la guerra, non vuole le armi, o la politica come la conosciamo noi. Vuole un cambiamento che dia un futuro a questa società. Questo è ciò che vogliamo con questo progetto di pace totale: un futuro».

[di Gloria Ferrari]

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