A margine delle riunioni del G20, il presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha tenuto diversi incontri bilaterali con l’obiettivo di rafforzare la propria posizione in ambito internazionale. Durante il colloquio con il presidente statunitense Joe Biden sono stati trattati diversi temi: dall’appoggio all’Ucraina alla stabilità del Mediterraneo, passando per la questione dell’approvvigionamento energetico e i rapporti con la Cina. Meloni ha poi incontrato il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan, lasciando a Palazzo Chigi le critiche rivolte al sultano negli ultimi anni. Durante il bilaterale è stata infatti ribadita “la necessità di continuare con determinazione la lotta comune contro il terrorismo” (in riferimento all’attentato di Istanbul), rilanciando il bisogno di lavorare insieme per “contrastare la migrazione irregolare e facilitare la risoluzione della crisi politica in Libia”. I due leader hanno poi “concordato sull’opportunità di cogliere insieme le vaste potenzialità della regione Mediterranea”, come riporta la nota di Palazzo Chigi.
Dopo aver visitato Bruxelles e le istituzioni europee, il presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha fatto il suo debutto sulla scena internazionale al G20 di Bali. Un debutto nel solco di Mario Draghi e della sua agenda, fatta di atlantismo, appoggio all’Ucraina e distensione nei confronti della Turchia, con cui Meloni ha auspicato di “rafforzare le relazioni bilaterali”. D’altronde, la distensione verso Ankara è strumentale per gli obiettivi del nuovo governo: contrasto all’immigrazione illegale e all’aumento dei prezzi dell’energia. Due fenomeni che conducono alla Libia e indirettamente alla Turchia, la quale punta a rafforzare il ruolo di intermediario tra le fazioni di Tripoli, Misurata, Bengasi e Tobruk. Il tutto con la benedizione dell’Italia, dal momento in cui l’Eni – a causa della precarietà politica della Libia – non estrae il petrolio e il gas di cui avrebbe bisogno. Inoltre, la stabilità nello Stato nordafricano porterebbe, negli auspici del governo Meloni, alla creazione di hotspot gestiti da Unione Europea e Libia e a una riduzione del fenomeno migratorio verso l’Italia. Un compromesso per cui Roma è pronta a chiudere entrambi gli occhi sulle azioni estere della Turchia, come le incursioni in Paesi stranieri (Siria), o le politiche repressive interne.
Corsi e ricorsi storici, direbbe Giambattista Vico osservando il dietrofront istituzionale che negli ultimi tempi sta affliggendo i presidenti del Consiglio italiani nei confronti delle relazioni con la Turchia. L’8 aprile 2021, durante una conferenza stampa, Mario Draghi definiva il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan «un dittatore del quale abbiamo bisogno». Cinque mesi dopo la narrativa era completamente stravolta: una conversazione telefonica tra i due si era trasformata in un “fruttuoso e amichevole scambio di vedute”, con Roma e Ankara al centro di “eccellenti rapporti bilaterali”. In poco più di un anno, Italia e Turchia sono diventati «partner, amici, alleati», così come dimostrano i nove accordi siglati durante il vertice inter-governativo tenutosi ad Ankara nel luglio scorso. L’evoluzione draghiana in politica estera ha esteso i suoi confini all’esecutivo successivo, con Giorgia Meloni che ha ribadito la solidità dei rapporti bilaterali con la Turchia. L’ennesimo giro di valzer della politica italiana, dal momento che in passato l’attuale presidente del Consiglio si è più volte schierato contro Erdoğan e le sue azioni. «Negli ultimi anni, Erdoğan ha intensificato l’involuzione della Turchia in chiave islamista, ha messo l’Unione Europea sotto ricatto migratorio, ottenendo miliardi di euro per bloccare i flussi di profughi che arrivavano dalla Siria e dei migranti economici che arrivavano dall’Asia. Ha avviato una politica espansionista nel Medio Oriente e nel Mediterraneo […], ispirata a una visione neo ottomana», aveva dichiarato Meloni lo scorso anno. Ancor più marcata la giravolta nell’appoggio alla lotta della Turchia contro il “terrorismo” ovvero il termine con cui il governo turco chiama i curdi del PKK, alleati dell’Occidente in Siria. Ad ottobre 2019 Meloni ricordava che i curdi «hanno eroicamente combattuto contro ISIS» e che Erdogan ha pericolose «mire imperialiste». Motivazioni evidentemente troppo deboli per non cedere al richiamo del compromesso.
[di Salvatore Toscano]