giovedì 21 Novembre 2024

Kherson: Kiev denuncia crimini di guerra ma caccia i giornalisti che potrebbero verificarli

Le autorità ucraine lunedì 14 novembre hanno revocato ad alcuni giornalisti stranieri il permesso per svolgere il loro lavoro informativo nella città di Kherson, recentemente abbandonata dalle forze russe e tornata sotto il controllo di Kiev. Lo ha riferito lo Stato maggiore delle forze armate ucraine, spiegando che gli operatori avrebbero violato alcune regole procedurali inerenti le zone di combattimento: «Recentemente, diversi membri dei media, ignorando i divieti e le precauzioni esistenti in vigore e senza l’approvazione dei comandanti competenti e dei servizi di pubbliche relazioni delle unità militari, hanno condotto attività di informazione nella città di Kherson prima del completamento delle misure di stabilizzazione. Queste azioni sono una palese violazione della legge ucraina», si legge nella dichiarazione.

Tuttavia, le ragioni del divieto non sono ancora del tutto chiare, soprattutto considerando che la revoca dell’accreditamento ha interessato solo alcuni giornalisti e alcune testate e non altre. Si tratta, in ogni caso, di un fatto inedito dall’inizio del conflitto che solleva alcuni dubbi e pone alcune domande, specie se si considera l’alto livello di interesse strategico e comunicativo della città di Kherson dove, secondo gli ucraini, i russi avrebbero compiuto “crimini di guerra”. Non a caso, dopo la revoca degli accreditamenti, nelle ultime ore sono iniziate a circolare notizie su presunte camere di tortura e fosse comuni che, a causa del divieto, non possono essere verificate né divulgate dalla stampa.

Nello specifico, le autorità ucraine avrebbero revocato l’accreditamento ad almeno sei giornalisti, alcuni dei quali lavorano per la CNN e Sky News. Secondo quanto riportato dalla Pravda ucraina, Natalia Humeniuk, portavoce del Comando Operativo Pivden (Sud), aveva annunciato l’intenzione di ritirare l’accreditamento dei giornalisti di CNN e Sky News in una conversazione con Detector Media. La Humeniuk ha anche asserito che «Il divieto esiste per tutti, è stato annunciato ufficialmente sulla pagina del Comando Operativo Pivden (Sud). I media non dovrebbero ancora lavorare a Kherson a causa del pericolo. Questo è ciò che il comando ha deciso». Tuttavia, sono emerse delle incongruenze, dal momento che l’emittente italiana RaiNews ha fatto sapere che il divieto non è valido per tutti i giornalisti. L’inviato del canale televisivo in Ucraina, Ilario Piagnerelli, infatti, ha riferito che sarebbe stato organizzato un “press-tour” a Kherson per diversi giornalisti sul campo e che, dunque, si tratterebbe di un divieto mirato solo ad alcune testate o cronisti.

Circostanze che potrebbero essere interpretate come un modo per non permettere di verificare le reali condizioni sul campo e dei fatti circa la città appena ripresa da Kiev e che suscita ancora più perplessità se si pensa che il presidente ucraino Zelensky ha accusato i russi di aver commesso più di 400 crimini di guerra. Un motivo in più per permettere ai giornalisti di svolgere il loro lavoro, rendendo pubbliche le atrocità commesse. Zelensky ha, infatti, affermato che i soldati ucraini hanno ritrovato molti corpi di civili uccisi, ma non ne ha riportato il numero. Vietando ad alcuni reporter di verificare e divulgare quanto sostenuto, adducendo come motivazione quella della sicurezza – problema mai sollevato prima in altre aree e in altri momenti del conflitto – si dà adito al sospetto di una forma di censura mascherata, volta ad impedire l’accertamento di quanto sostenuto dal governo ucraino. Sospetto ulteriormente amplificato dal fatto che, dopo il divieto imposto ad alcuni giornalisti di operare sul campo, nelle ultime ore sono emerse notizie di presunte camere di tortura e fosse comuni nella città di Kherson, barbarie simili a quelle già denunciate in passato da Kiev e che si sono poi rivelate essere un falso.

Molte accuse di crimini e orrori sul campo imputate alle forze armate russe e rilanciate dai media mainstream occidentali, infatti, si sono spesso rivelate delle vere e proprie bufale, come quella di una fossa comune con 132 corpi di civili, prima torturati e poi giustiziati dai russi a Makariv, vicino Kiev, oppure quella di una presunta camera delle torture a Pesky-Radkovski, sbugiardata dai giornalisti di Bild che si sono recati nel villaggio nella regione di Kharkiv per verificare la notizia nel frattempo diventata virale. Queste sono solo alcune delle moltissime “fake news” che hanno riempito le pagine dei giornali dall’inizio del conflitto con lo scopo di indignare l’opinione pubblica e indurla così ad approvare e sostenere gli aiuti bellici occidentali in Ucraina.

Permettere ai giornalisti di svolgere onestamente il proprio mestiere, dunque, assume una rilevanza fondamentale per accertare quella che si dice essere la prima vittima della guerra: la verità o, quantomeno, la ricostruzione più verosimile e verificabile degli eventi. In attesa di capire meglio le motivazioni della scelta delle autorità ucraine e se queste ultime decideranno di revocare il divieto di operare da Kherson da parte degli addetti alla comunicazione, quel che è certo è che se ciò fosse accaduto da parte russa si sarebbe immediatamente gridato allo scandalo e alla censura. Se, invece, il provvedimento coinvolge un governo “amico” dell’Occidente, la notizia passa più o meno sotto silenzio. Il che testimonia anche l’enorme potere dell’informazione nel “plasmare” gli eventi, la percezione delle masse e l’orientamento delle opinioni pubbliche. Motivo per cui essa è strettamente monitorata e influenzata dagli interessi dominanti, i quali – senza dubbio – si moltiplicano in tempo di guerra.

[di Giorgia Audiello]

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