venerdì 22 Novembre 2024

La militarizzazione della FIFA World Cup 2022

Siamo ormai vicini all’inizio del mondiale FIFA in Qatar che, sotto molti punti vista, appare come un qualcosa di unico e di diverso rispetto alle precedenti edizioni della Coppa del Mondo di calcio. Come per ogni grande evento sportivo, come già spiegato da L’Indipendente nel Monthly Report del giugno scorso, diventa difficile separare in maniera netta la componente sportiva da quella politica. Questa edizione del mondiale di calcio appare unica anche in questo aspetto: non perché questa volta diventi possibile la separazione tra sport e politica ma, anzi, perché quel legame si fa ancor più forte e, soprattutto, evidente. Questa edizione del torneo FIFA non sarà infatti la solita esibizione di soft power e sportwashing ma una vera mostra di forza militare; per l’occasione c’è chi ha coniato il termine Hard Sports Power. Il mondiale di calcio in Qatar sarà come una grande e reale esercitazione, oltre che una vera e propria operazione di sicurezza geopolitica. Le ragioni della militarizzazione di questa edizione della Coppa del Mondo di calcio sono molteplici e riguardano in particolar modo tutto ciò che è accaduto dal marzo del 2011. L’Italia, esclusa dalla competizione sportiva parteciperà però a quella politica e militare.

Le ragioni della militarizzazione

[Lo sceicco Tamim bin Hamad al-Thani.]
Dal 2014, uomini del Qatar di età compresa tra i 18 e i 35 anni si sono addestrati con l’esercito per almeno quattro mesi come parte del servizio nazionale obbligatorio introdotto dall’emiro, lo sceicco Tamim bin Hamad al-Thani. Gran parte di questo personale civile addestrato, compresi i diplomatici, è stato adesso impiegato per l’evento sportivo ospitato nel Paese, per il servizio militare obbligatorio che gestisce i checkpoint di sicurezza negli stadi della Coppa del Mondo. I coscritti si sono addestrati per gestire le code di sicurezza dello stadio, perquisire i tifosi e rilevare l’uso di alcol, droghe o armi. In Qatar vivono 2,8 milioni di persone, di cui appena 380.000 sono cittadini, e si aspetta un afflusso complessivo che si aggira su 1,2 milioni di visitatori. Questa è una delle ragioni per cui il Qatar ha deciso, negli scorsi mesi e anni, di stringere accordi sullo schieramento di personale militare straniero sul proprio territorio. Oltre ad una difficoltà logistica e di personale nella gestione dell’evento, le ragioni per una così decisa ed evidente militarizzazione della competizione FIFA sono altre: lo scoppio delle guerre del marzo 2011, in Siria e in Libia, e quella nello Yemen del 2014. Questi conflitti fanno parte di uno scontro più grande e che viene definita “guerra fredda del Golfo”.

Gli attriti tra i Paesi del Vicino e Medio Oriente hanno certamente radici storiche e profonde; le tensioni più forti e recenti, e che persistono, sono quelle legate alla guerra in Siria, iniziata nel marzo 2011 e ancor oggi in corso e a quella parallela, scoppiata a pochi giorni di distanza, in Libia; quest’ultima è anch’essa oggi presente, in altri termini e condizioni, ed è anzi diretta conseguenza, prosecuzione, di una stessa guerra che spesso si ricorda come velocemente conclusa con la liquidazione di Mu’ammar Gheddafi. In entrambi i conflitti armati il Qatar si è schierato al fianco dei Paesi occidentali. In Siria, il Qatar ha avuto un ruolo di primo piano nella guerra contro Bashar Hafiz al-Asad, finanziando e sostenendo l’ISIS, poi rinominato IS (Islamic State), insieme ad altri Paesi del Golfo come Arabia Saudita, Kuwait ed Emirati Arabi Uniti. Gli stati appena citati hanno anche finanziato e sostenuto i così detti ribelli siriani, ovvero una moltitudine di gruppi islamisti che hanno ricevuto il loro sostegno anche dai Paesi occidentali, Stati Uniti in testa. Il governo siriano ha invece chiesto e ricevuto sostegno dalla Russia e dall’Iran, con i quali è riuscito a frantumare e distruggere il califfato, sebbene il focolaio di guerra non sia ancora del tutto spento. Nel 2014, in Yemen scoppia una guerra civile che, come in Siria, sfocia in una guerra internazionale. In questo caso i ribelli, il movimento armato degli Houthi, sono appoggiati e sostenuti esternamente dall’Iran mentre le forze governative sono affiancate nella lotta militare sul campo da una coalizione guidata dall’Arabia Saudita e di cui fanno parte Qatar, Emirati Arabi Uniti, Kuwait, Bahrain, Marocco, Egitto e Giordania; un aiuto è anche arrivato da Gibuti, Eritrea e Somalia, i quali hanno messo a disposizione della coalizione il loro spazio aereo, le acque territoriali e le basi militari. La coalizione a guida saudita ha avuto il sostegno da parte di Stati Uniti, Gran Bretagna e Germania. Nella lotta sul campo contro gli Houthi abbiamo visto anche la partecipazione di Al-Qaeda in the Arabian Peninsula, anche conosciuta come Ansar al-Sharia in Yemen, una cellula di Al-Qaeda che, ricordiamo, al tempo dello scoppio del conflitto e negli anni successivi, è stata parte del più vasto ISIS (poi IS). Sebbene sia in Siria che in Yemen l’ISIS combattesse lo stesso nemico dei Paesi del Golfo e degli alleati occidentali, la narrazione è stata quella per cui anche tali cellule erano considerate come nemici e combattute dai Paesi coinvolti. In Siria è stato appurato che ciò non fosse vero e che, anzi, come già detto, i Paesi del Golfo sono stati i principali finanziatori dell’ISIS; nello Yemen, nella migliore delle ipotesi, la guerra contro le cellule terroriste è stata combattuta tramite accordi segreti, pagamenti e cooptazione dei combattenti all’interno della coalizione saudita, in cambio delle loro roccaforti e della liberazione delle città e dei villaggi che esse avevano occupato.

Nel 2017, il Qatar è stato estromesso dalla coalizione a guida saudita contro i ribelli Houthi perché ritenuto non affidabile circa le sue relazioni con l’Iran, gli Houthi e altri gruppi dislocati in vari scenari di conflitto nella regione. Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Bahrein, Egitto, Maldive, Mauritania, Sudan, Senegal, Gibuti, Comore, Giordania, governo libico di Tobruk e governo yemenita guidato da Hadi, decisero inoltre di interrompere le loro relazioni diplomatiche con il Qatar, chiudendo lo spazio aereo, le rotte commerciali navali e le rotte terrestri. Il Qatar dichiarò allora di voler intraprendere relazioni amichevoli con l’Iran, il quale rifornì di risorse alimentari il piccolo stato del Golfo che stava subendo un blocco totale. Nel gennaio del 2021, l’Arabia Saudita, insieme ai Paesi che avevano condotto il blocco contro il Qatar, decise di ripristinare le proprie relazioni bilaterali.

Questi conflitti, cui ha partecipato anche il Qatar, sono stati, e sono, parte di uno scontro più vasto che F. Gregory Gause ha definitoguerra fredda del Medio Oriente”, i cui contendenti principali sono Arabia Saudita e Iran, in lotta per l’egemonia della regione e che coinvolge l’intero mondo musulmano, anche al di fuori del Medio Oriente stesso. Quella tra Arabia Saudita (sunnita e wahabita) e Iran (sciita) è uno scontro settario e religioso ma che sul piano pratico si traduce in un conflitto che riguarda interessi economici e geopolitici. Oltre alle proxy war (guerre per procura) condotte dai due Paesi, anche il loro schema di alleanze ha influito sulla definizione di “guerra fredda”; gli Stati Uniti e il mondo Occidentale sostengono l’Arabia Saudita e i suoi alleati regionali mentre l’Iran è sostenuto da Cina e, soprattutto, Russia.

E se allarghiamo lo sguardo oltre il Medio Oriente, comprendendo nell’analisi anche il Vicino Oriente, la questione si fa ancor più complessa poiché vi è anche la posizione di peso di Israele, anch’esso Paese alleato dell’Occidente, in particolar modo degli Stati Uniti. In questo triangolo geopolitico per l’egemonia di Vicino e Medio Oriente, ogni nazione è nemica delle altre e solo alcune amicizie in comune permettono periodi di minor contrasto tra due delle parti in conflitto; questo è stato motivo di rapporti più distesi tra i Paesi del Golfo, sotto la guida saudita, e Israele. In merito, come non ricordare gli Accordi di Abramo, negoziati a partire dal 2019 e firmati nel 2020 negli Stati Uniti, da parte di Israele, Emirati Arabi Uniti e Bahrein, per la normalizzazione dei rapporti tra questi ultimi due con Israele, sancendo quella che è stata definita alleanza arabo-israeliana.

[Commando del Qatar durante il National Day.]
Sebbene i sauditi si siano sempre mostrati restii a far parte ufficialmente degli accordi con Israele, è chiaro che ne abbiano fatto parte ufficiosamente, permettendo agli alleati, Emirati Arabi Uniti e Bahrein, di farne parte. Alla già complessa situazione di equilibri di potere nell’area del Golfo, vogliamo aggiungere al quadro della complessità un altro elemento di cui tener presente e su cui riflettere. A partire dal 2021, anno in cui è finito il blocco al Qatar, Arabia Saudita e Iran hanno iniziato dei colloqui per la normalizzazione dei loro rapporti. Nell’aprile scorso i due Paesi si sono incontrati in Iraq per il quinto round di negoziati, sfociato in un accordo su un memorandum d’intesa basato su 10 punti e che dovrebbe portare al successivo livello, un round di negoziati a livello diplomatico che porti alla realizzazione della normalizzazione dei rapporti. Secondo criteri di geometria variabile dei rapporti tra Stati nella regione, in base ai loro interessi economici e geostrategici, sembra di assistere ad un riassetto degli equilibri di potere e la guerra in corso in Ucraina non fa che aumentare l’intensità del riassestamento geopolitico. La chiamata dell’Occidente contro la Russia non ha suscitato la reazione sperata sul fronte delle sanzioni e molti Stati hanno cercato di mantenere una posizione equidistante, compresi alcuni Paesi dell’area in questione. Come esempio su tutti, l’Arabia Saudita non solo ha rigettato la richiesta degli Stati Uniti di non tagliare la produzione di greggio in seno all’OPEC ma ha addirittura ridotto la produzione per una quota maggiore di quella annunciata, decidendo di tagliare 2 milioni di barili al giorno anziché 1 milione. Gli USA avevano chiesto di non procedere con il taglio della produzione mentre l’OPEC ha optato per un taglio doppio. Questo è un chiaro segnale politico che i Paesi dell’OPEC, Arabia Saudita in primis, hanno voluto mandare agli Stati Uniti e al mondo occidentale. Dalla Casa Bianca, Biden ha accusato il cartello di “allinearsi con la Russia”, avvertendo l’Arabia Saudita che dovrà affrontare le conseguenze della decisione di tagliare la produzione che favorirebbe Russia e Iran.

Hard Sports Power

La militarizzazione della competizione FIFA in Qatar si spiega quindi in base alla questione geopolitica regionale, la quale si inserisce nella più ampia partita geopolitica mondiale. Proprio per queste motivazioni l’edizione del mondiale di calcio che si gioca in Qatar non vedrà andare in scena il classico sportwashing attivato dall’utilizzo del soft power per mostrare nella vetrina del mondo il proprio Paese, magari nascondendo i lati oscuri e negativi che lo caratterizzano. Il Qatar, come invece sarebbe per un Paese occidentale, non sente la necessità di mostrare il suo volto liberale e di benessere diffuso, ma solo della sua concentrazione di ricchezza e della capacità di fornire sicurezza. Per questo motivo, i partecipanti alla competizione parallela si presentano ben attrezzati sotto il profilo militare. Da qui, la definizione fornita da Barney Ronay, dalle colonne di The Guardian, di Hard Sports Power. In sostanza, dalle armi soft del potere, come ad esempio l’informazione e la propaganda, si passa alle maniere forti, quelle hard, della capacità militare e alla mostra di questa. In fin dei conti, la competizione FIFA sarebbe un palcoscenico alquanto ghiotto per quanti avrebbero interesse a compiere atti ostili. I partecipanti alla competizione militare in Qatar
Saranno molti i partecipanti in forze a questa seconda competizione, parallela a quella sportiva, ma che, come visto, la precede e si proietta nel futuro. Il Qatar, fin dal 2020, ha stipulato accordi di cooperazione militare con vari Paesi, proprio in vista dell’evento calcistico. Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia, Italia e Turchia, come forze NATO, si occuperanno principalmente di minacce chimiche, biologiche e nucleari, oltre che di altri compiti specifici per ogni Nazione. In particolare, il dipartimento di polizia di New York (NYPD) ha trasferito competenze sulle migliori pratiche da seguire durante eventi del genere, mentre il Dipartimento della Sicurezza Nazionale degli Stati Uniti (DHS) dovrà aiutare a identificare i passeggeri aerei legati al terrorismo, al rilevamento dei viaggiatori in lista di controllo e al monitoraggio dei potenziali rischi per la sicurezza all’aeroporto internazionale di Hamad. La Francia si occuperà della sicurezza e della prevenzione nei luoghi di interesse strategico grazie anche all’ausilio di cani da fiuto. La Turchia ha deciso l’invio di personale di polizia antisommossa oltre a svariati consiglieri per la sicurezza. La Gran Bretagna sarà invece impegnata in operazioni di antiterrorismo. Anche la Corea del Sud sarà presente in Qatar con propri specialisti militari esperti di combattimento ravvicinato. Il Qatar ha stretto accordi di cooperazione per la sicurezza dell’evento sportivo anche con il Pakistan, il quale sarà presente con un proprio contingente militare.

La partita militare dell’Italia

Già nel 2021, Italia e Qatar avevano stipulato un protocollo di collaborazione bilaterale di polizia firmato dall’allora vice direttore generale della Pubblica Sicurezza, Vittorio Rizzi, ed il generale Abdul Aziz Abdalla Al Ansari, capo della Fifa World Cup 2022 of Safety and Security Operation Committee (SSOC). Non solo. L’Italia sarà presente nel Paese ospitante l’evento calcistico con forze militari, insieme ad altri Paesi NATO, come precedentemente anticipato.

Il Governo precedentemente presieduto da Mario Draghi ha deciso di inviare a sostegno delle forze armate locali 560 militari, 46 mezzi terrestri, una nave e due aeromobili. Il contingente avrà il compito di garantire, insieme alle altre forze armate, che l’evento si svolga in sicurezza. In una nota dello Stato Maggiore della Difesa si legge così: “Il dispositivo interforze a guida Esercito Italiano, insieme agli altri contingenti, sarà pronto a intervenire, in supporto e su richiesta delle autorità dello Stato ospitante, in situazioni di emergenza o in caso di atti ostili che possano minacciare infrastrutture critiche quali stadi, porti, aeroporti, complessi industriali, centri commerciali e luoghi affollati”.

Sarà il Generale di Brigata Giuseppe Bossa, Comandante della Brigata Sassari, a detenere il comando su terra dell’operazione Orice. In generale, tutte le attività del gruppo italiano saranno invece coordinate da remoto dal COVI – Comando Operativo di Vertice Interforze della Difesa – con a capo l’onnipresente generale Francesco Paolo Figliuolo.

L’Esercito sarà dotato di unità EOD (Explosive Ordnance Disposal), quelle cioè specializzate nella difesa dagli attacchi chimici, biologici, radiologici e nucleari, oltre che di unità cinofile anti-terrorismo. Ci sarà anche la Marina Militare, che impiegherà un veicolo sottomarino automatizzato del tipo Remus 100, per tenere sotto controllo le acque internazionali al largo della capitale Doha e quelle in prossimità della costa. L’Aeronautica Militare italiana avrà invece il compito di monitorare lo spazio aereo affinché si scongiuri l’impiego di droni da parte di terzi non autorizzati.

Perché tutto questo impegno dal fronte italiano? Lo ha spiegato Lorenzo Guerini lo scorso 7 luglio. In quell’occasione il Ministro della Difesa uscente ha incontrato a La Spezia il Vice Primo Ministro e Ministro di Stato per gli Affari della Difesa del Qatar, Khalid bin Mohamed Al Attiyah, per la consegna del pattugliatore d’altura Sheraouh, prodotto da Fincantieri. «La cooperazione militare bilaterale tra Italia e Qatar è forte e intensa e abbraccia numerose attività di spiccato valore strategico», ha detto il politico italiano alla stampa, aggiungendo poi che tra i due Paesi sono già in atto ulteriori (e numerosi) programmi di cooperazione industriale, e altre collaborazioni sono in cantiere «in piena coerenza anche con i nostri interessi comuni in materia di sicurezza e difesa».

Il mercato dell’industria militare italiana è spesso frequentato dal Qatar che, negli ultimi anni, ha speso molti soldi per acquisire la tecnologia militare dal nostro Paese. Dal sito di Leonardo si può leggere che l’azienda fornirà alla Marina del Qatar un Centro Operativo Navale (Naval Operation Centre – NOC) per “garantire al Paese il monitoraggio e il pieno controllo di acque territoriali, Zona Economica Esclusiva (EEZ) e spazi di mare adiacenti, e per aumentare al contempo la cooperazione con le agenzie nazionali preposte alla sicurezza marittima”.

In base all’accordo, il NOC sovrintenderà al comando, controllo e coordinamento delle operazioni in mare, consentendo alle Forze Armate di svolgere un monitoraggio integrato, grazie all’elevato livello di cooperazione tra tutti i sensori presenti in campo. Secondo Leonardo, la Marina qatariota avrà pertanto una “consapevolezza dello scenario completamente integrata, a supporto del processo decisionale tattico-operativo di tutte le parti interessate e di interventi rapidi lungo l’intera catena di comando”.

A sua volta, il Qatar è un partner importate del nostro Paese per il rifornimento di materie prime energetiche come gas e petrolio; nel giugno scorso, Eni è entrata nel più grande progetto al mondo di GNL, proprio in Qatar.

[di Michele Manfrin]

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