Che la Pedemontana Veneta – la superstrada a pagamento lunga appena 94 chilometri che collegherà la provincia di Vicenza a quella di Treviso – sarebbe stato un grosso spreco di denaro pubblico, l’avevamo già preannunciato in una serie di articoli precedenti, ma ora, a distanza di qualche mese, le conferme cominciano ad arrivare anche dalle stime ufficiali. Nel bilancio di previsione 2023/25 della regione Veneto è scritto nero su bianco che ci si aspetta che la Pedemontana provocherà un buco di 54 milioni di euro nelle casse regionali per i prossimi tre anni. Fondamentalmente perché gli incassi derivati dai pedaggi (e quindi il volume del traffico) saranno notevolmente più bassi rispetto a quanto ipotizzato nelle a dir poco ottimistiche stime progettuali. Una verità che molti avevano già ipotizzato dati alla mano e una situazione per la quale il governatore Zaia dovrebbe delle spiegazioni convincenti ai cittadini veneti.
Il problema della Pedemontana è a monte, e il rischio, ormai piuttosto concreto, è che l’opera potrebbe finire per costare in totale alle casse pubbliche 12 miliardi. Cioè tre volte quello stimato per il Ponte sullo Stretto di Messina. A fare le stime sui costi esorbitanti dell’opera non è stato solo qualche comitato locale, e di certo non è storia recente. Ci aveva già pensato la Corte dei Conti, per cui il contratto firmato dall’amministrazione veneta, concepito per tutelare l’appaltatore privato da ogni rischio d’impresa, riversando lo stesso direttamente sulle tasche dei cittadini, è irragionevole. Un accordo che Laura Puppato, ex sindaca di Montebelluna (uno dei Comuni attraversati dall’opera) ha sintetizzato con queste parole: «Neanche da ubriachi si poteva firmare una cosa del genere».
Spieghiamo meglio. Il fulcro dell’accordo contrattuale raggiunto nel 2016 con il Sis, il concessionario privato che ha progettato e sta realizzando l’opera, prevede che per i prossimi 40 anni, oltre a un contributo straordinario di 300 milioni di euro, l’amministrazione di Luca Zaia dovrà versare un canone annuo di 153 milioni di euro a favore del Consorzio costruttore. Canone annuo, tra l’altro, destinato ad aumentare nel tempo, fino a toccare quota 332 milioni annui al 2059. Per un totale quindi, a termine degli accordati anni, di oltre 12 miliardi: più di 100 milioni di euro al chilometro.
Quello con il consorzio è una tipologia di accordo che prende il nome di project financing, utilizzato quando le risorse pubbliche non sono sufficienti a coprire in quel momento determinati costi. Insomma, il privato finanzia il pubblico con la garanzia di un ritorno economico, a prescindere dalle effettive entrate. Un tipo di accordo che privatizza i profitti e socializza le perdite, proteggendo a spese dei cittadini l’azienda appaltatrice da ogni rischio di impresa.
«Il rischio di impresa è stato accollato totalmente al soggetto pubblico (Regione Veneto) nel momento in cui è stato concesso un canone di disponibilità», ci aveva detto in un’intervista esclusiva l’ingegnere Nicola Troccoli, progettista ed unico firmatario della progettazione preliminare dell’intera opera per conto della ditta concessionaria, ovvero la Sis Scpa. «Se, infatti, si fosse rimasti con il rischio a carico del promotore (così come previsto dal bando), molto probabilmente l’iniziativa non sarebbe nemmeno partita, perché con quelle condizioni e con quell’alto rischio determinato dai flussi di traffico, non sarebbero mai stati trovati investitori». Per Troccoli, sarebbe stato molto più semplice ed opportuno, ad esempio, far completare il finanziamento dell’opera allo Stato o all’ANAS. O, come credono alcuni, non portarla a termine affatto.
In generale, tutta la vicenda è piena di contraddizioni e mancate risposte. C’è una sola certezza, ma non è quella che i cittadini avrebbero voluto avere: ci sarà da impiegare tanto, tantissimo denaro pubblico.
[di Gloria Ferrari]