«Quando i nostri standard non vengono rispettati, dobbiamo compiere le azioni necessarie per proteggere l’affidabilità del nostro lavoro giornalistico. Non prendiamo questo tipo di decisioni con leggerezza, né esse si basano su episodi isolati». Lunedì scorso Associated Press (AP), una delle più importanti agenzie di stampa americane, ha licenziato il giornalista James LaPorta, un esperto di sicurezza nazionale e questioni militari, che il 15 novembre, diffondendo frettolosamente una notizia falsa, aveva contribuito a creare l’allarme in tutto il mondo sostenendo che la Russia avesse colpito il paese polacco di Przewodów, vicinissimo al confine con l’Ucraina. La conferma del licenziamento è stata data dal Washington Post.
Stando alla ricostruzione di LaPorta, «secondo un funzionario di alto grado dell’intelligence statunitense», rimasto anonimo, dei missili russi avevano «attraversato il confine della Polonia, paese membro della NATO, uccidendo due persone». La paternità dell’incidente veniva così ingiustamente attribuita al Cremlino.
Mentre perfino il Pentagono e il governo polacco predicavano cautela e stavano attenti a non alzare i toni, per il fenomeno dell’apertura dei cancelli dell’informazione, essendo Associated Press un’agenzia di stampa rispettata e nota per la sua affidabilità, moltissimi giornali e tv, in tutto il mondo, avevano ripreso la versione di AP.
Senza curarsi di aspettare qualche notizia ufficiale, in maniera tempestiva e frettolosa con le poche notizie confuse trapelate, alcuni politici (da Letta a Calenda) e giornalisti italiani (Riotta su tutti) si sono lanciati in dichiarazioni avventate, evocando, quasi lo desiderassero, uno scenario da Terza guerra mondiale. Il 16 novembre, un veloce sguardo ai quotidiani italiani denotava la linea adottata dagli organi di stampa: da Repubblica che, nonostante la “dinamica ancora incerta”, titolava però, “Mosca sotto accusa”, all’incipit dell’inviato da Kherson del Corriere della Sera, Andrea Nicastro: «La guerra di Putin tracima oltre i confini dell’Ucraina e investe la Polonia». Insomma, a finire come sempre sul banco degli imputati, senza conferme, era ancora una volta Mosca.
La follia russa generata dalle pesanti sconfitte continua. Siamo con la Polonia, con l’Ucraina e con la NATO. La Russia deve trovare davanti a se un fronte compatto. I dittatori non si fermano con le carezze e gli appelli alla pace.
— Carlo Calenda (@CarloCalenda) November 15, 2022
Come anticipato, a prendere una posizione molto esplicita su quanto accaduto al confine con l’Ucraina, Gianni Riotta, ex direttore del TG1 e de Il Sole 24, che su Twitter cinguettava la sua strategia per reagire al presunto attacco russo: «Attacco contro Paese @NATO #Polonia con vittime conferma che deriva terrorista russa non ha guida ma segue hubris Putin fino a rischiare la guerra mondiale. Pensare di fermare il dittatore con la resa lo scatena. Serve batterlo e isolare la sua Quinta Colonna in Italia e UE».
La furia bellicista degli autoproclamatisi professionisti dell’informazione non si è indebolita nemmeno di fronte alla conferma della NATO che quei missili non erano stati lanciati dalla Russia ma dall’Ucraina. Per non fare marcia indietro, rettificare o chiedere scusa, costoro hanno virato sulla “responsabilità russa”: della serie, “Se i missili sono ucraini, la colpa dell’incidente è comunque di Putin”. Quasi con esasperazione, Il Foglio ha puntualizzato che: «L’esplosione sul territorio polacco è una conseguenza della guerra ingiustificata voluta da Putin».
Similmente, lo stesso Riotta ha accusato Travaglio e i colleghi del Fatto Quotidiano di aver adottato una «linea #Putinversteher filorussa» per aver attaccato Calenda e Letta per i loro tweet a dir poco incauti. Inutile ricordare che Riotta, oltre che appassionato sostenitore delle liste di proscrizione, da direttore di IDMO, ha battezzato il sodalizio tra debunking e media di massa. Peccato che, se si adottassero gli standard di AP e la furia purista degli inquisitori digitali nei confronti di quei giornalisti che avvelenano intenzionalmente l’informazione, la maggior parte delle redazioni sarebbe vuota.
Solo focalizzandosi sul conflitto russo ucraino, possiamo ricordare alcune delle più assurde bufale divulgate proprio dai media mainstream: dalle immagini di videogiochi spacciate per sequenze reali (tendenza inaugurata da Purgatori) alle prime pagine de La Stampa del 13 marzo (la bambina con lecca lecca e fucile) e del 16 marzo (la strumentalizzazione della strage di Donetsk), passando i forni crematori mobili dell’esercito russo o la mini Auschwitz.
Arrogarsi il diritto di certificare la verità e monopolizzare l’informazione, come fanno Riotta e compagni, è una palese assurdità, tanto più ipocrita se, alla prova dei fatti, non si ha nemmeno la decenza di ammettere i propri sbagli e smentire quelle fake news che si vorrebbero combattere ma che, invece, si divulgano.
[Enrica Perucchietti]
Bisogna anche dire che l’AP aveva bisogno di un capro espiatorio e ha silurato il giornalista per scaricarsi anche le proprie responsabilità. Il problema è della stampa in generale.
Volevo scrivere più o meno la stessa cosa. Poi naturalmente in Italia il cancro dell’informazione è praticamente irreversibile, ma gli altri non stanno messi tantissimo meglio.
In Italia c’è ancora l’Ordine dei giornalisti? Io ogni gennaio pago la quota…
A zappare li manderei e a calci in culo