giovedì 26 Dicembre 2024

L’Australia contro gli USA per il suo cittadino Assange: “Quando è troppo è troppo”

Il primo ministro dell’Australia, Anthony Albanese, si è schierato per la prima volta pubblicamente a favore del giornalista e cittadino australiano – fondatore di Wikileaks – Julian Assange, accusato di avere diffuso in rete nel 2010 migliaia di documenti classificati riguardanti informazioni riservate su crimini di guerra del governo americano. Albanese ha chiesto all’amministrazione americana di porre fine alle «azioni legali» a carico di Assange, dichiarando che «quando è troppo è troppo» e che «è giunta l’ora che questa questione giunga a una conclusione». Il primo ministro australiano si è espresso sulla vicenda qualche giorno fa in un’informativa parlamentare, dopo essere stato esortato ripetutamente al riguardo dagli esponenti di entrambi gli schieramenti. Albanese ha fatto sapere di non sostenere le azioni del fondatore di Wikileaks di diffondere in Internet informazioni riservate ma ha anche sostenuto che l’“accanimento” legale contro Assange è ingiustificato: «Qual è il senso di continuare questa azione legale che può durare ancora per molti anni?», ha chiesto. «La mia posizione è chiara ed è stata messa in chiaro con l’amministrazione Usa. Continuerò a sollevarla, come ho fatto di recente in incontri che ho avuto», ha asserito, anche se non è ancora chiaro se abbia sollevato la questione direttamente con Joe Biden. In ogni caso, i due leader hanno avuto recentemente diversi incontri di persona.

La notizia è di particolare rilievo, non solo perché Assange è cittadino australiano, ma soprattutto perché l’Australia è uno dei principali alleati politici e militari degli Stati Uniti: il che rende l’iniziativa di Albanese ancora più indicativa della vessazione giudiziaria che gli USA esercitano – ormai da anni – ai danni del giornalista diventato simbolo in tutto il mondo di un’informazione indipendente che sfida il potere piuttosto che servirlo. Inoltre, la vicenda di Assange sta ottenendo una solidarietà a livello politico e mediatico che non si era mai registrata prima a livello globale: nelle ultime settimane, il neo presidente del Brasile, Lula, ha lanciato un appello alla comunità internazionale per la sua liberazione, dopo avere incontrato i vertici di Wikileaks; mentre il presidente della Colombia, Gustavo Petro, si è impegnato a “fare pressione” sul capo dello Stato americano Joe Biden affinché metta fine alle accuse al giornalista, in carcere in Gran Bretagna dal 2019 e in attesa di essere estradato negli USA, dove potrebbe attenderlo una pena che prevede fino a 175 anni di carcere.

Oltre ai capi politici, anche dal mondo del giornalismo si sono finalmente sollevate le prime voci a favore di Julian Assange: a fine novembre, il Guardian, il New York Times, Le Monde, Der Spiegel e El Pais hanno pubblicato una lettera congiunta in cui chiedono la liberazione di Assange. Si tratta degli stessi giornali che, nel 2010, hanno pubblicato estratti dei documenti diffusi da Wikileaks. Nella lettera, i firmatari hanno sostenuto che «la pubblicazione non è un crimine: il governo degli Stati Uniti dovrebbe porre fine al processo contro Julian Assange per la diffusione di documenti riservati». Pare, dunque, che Julian Assange non sia più solo e che stia finalmente ricevendo dai media, dalla politica internazionale e dagli stessi rappresentanti della sua nazione l’attenzione e la giustizia che merita.

[di Giorgia Audiello]

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1 commento

  1. É stato l’unico in tempi recenti che ha deciso di andare contro il sistema,e viene accusato per questo. Chissà quanti segreti si celano dietro lw “democrazia ” senza avere una visione complottista. Al cittadino vengono negate informazioni importanti, viene quasi pilotato verso un certo pensiero non rendendosi conto che di porcherie ne avvengono e come.

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