Il 3 dicembre 2022, il giornalista Matt Taibbi ha pubblicato su Twitter quello che lui stesso ha etichettato come lo scandalo dei “Twitter Files”. Il report caricato sulla Rete contiene documenti reperiti da “fonti interne” al social e, almeno teoricamente, dovrebbe portare alla luce i segreti occulti sul come la narrativa di sinistra sia in grado a corrompere e manipolare i portali internettiani al fine di perpetrare obiettivi politici, ovvero di come Twitter si sia chinato alle richieste dei Democratici nel gestire una spinosa situazione giornalistica risalente all’ottobre del 2020. I contenuti messi online rivelano effettivamente una qualche forma di atteggiamento censorio, tuttavia le sue forme sono diverse da quelle suggerite dalle premesse.
Facciamo un passo indietro: due anni fa aveva fatto clamore la scelta di Twitter di bloccare la diffusione di un articolo che il The New York Post aveva pubblicato a proposito di Hunter Biden, figlio dell’allora candidato Democratico alla presidenza, l’odierno Presidente a stelle e strisce Joe Biden. Nel suo pezzo, la nota testata aveva rivelato alcuni dei contenuti ricavati dal computer del controverso personaggio, evidenziando come l’individuo non fosse certamente tra i più cristallini, quindi la decisione adottata dal portale di bloccare il pezzo era stata letta da molti come il frutto di una palese ingerenza politica, se non addirittura della soppressione del primo emendamento.
Appena Musk ha ottenuto il controllo di Twitter, ecco dunque che sono saltati fuori dei documenti interni che un’anonima anima pia ha ben deciso di condividere con il mondo al fine di far chiarezza sulla faccenda. Esposta in pompa magna e con atteggiamento virale, la pubblicazione della prima tranche dei Twitter Files è stata discretamente deludente. Piuttosto che dimostrare le sedicenti simpatie delle Big Tech nei confronti delle vedute Democratiche, ha svelato le preoccupazioni di un’azienda che, sotto elezioni, ha dovuto decidere in fretta e furia che fare di un materiale giornalistico che faceva riferimento a contenuti che si sospettava fossero frutto di un attacco hacker. Lo “scandalo” più imponente che è emerso è quello che rivela come gli addetti alla campagna elettorale di Biden senior abbiano chiesto la rimozione di alcuni tweet, tuttavia basta seguire i link citati da Taibbi per rendersi conto che questi facevano riferimento a scatti intimi rubati che sono stati pubblicati senza l’approvazione di Hunter Biden.
Le redini dell’indagine sono passate dunque nelle mani della giornalista Bari Weiss, la quale ha pubblicato la seconda e la quinta parte del report, e dell’autore Michael Shellenberger, che ne ha coperto invece il quarto capitolo. Gli stralci del report per ora resi pubblici affrontano la questione della presunta esistenza dello shadow banning, ovvero dell’imposizione di una “censura soft” che renderebbe impossibile alle persone visionare i post pubblicati da certi soggetti, ma anche della discussa decisione di cacciare Donald Trump dalla piattaforma. In ambo i casi non viene però a galla nulla di particolarmente inedito o inatteso: si gioca sul significato dei termini per evitare di ammettere che non ci siano prove concrete dell’esistenza di un oscuramento totale e occulto dei contenuti e si reitera come il processo manageriale fosse fino a poco tempo fa condizionato dal desiderio di evitare contraccolpi che avrebbero rattristato investitori e inserzionisti.
Il fatto che gli interessi dei dirigenti e dei finanziatori delle Big Tech possano influenzare la società e le persone è certamente argomento degno di nota, tuttavia una frangia vocale del mondo internettiano sta fraintendendo il problema, affibbiandogli una valenza puramente politico-ideologica quando le criticità sono decisamente più sfumate e insidiose. Ora che Twitter è pienamente nelle mani di Musk, la situazione del social è cambiata solamente nella forma superficiale. Nel puntare sul fare affidamento sugli abbonamenti e sulle monetizzazioni via app, il noto imprenditore si è potuto sgravare dai diktat imposti tacitamente dalle pubblicità, tuttavia la progressiva scomparsa di una moderazione di stampo commerciale sta lasciato spazio a un’imposizione amministrativa che cade in pieno nelle mani del nuovo proprietario. Da che Musk è salito al potere, Twitter ha già provveduto ad avviare una massiccia quanto frettolosa campagna di oscurazione dei profili più irriverenti, nonché ha imposto quel cosiddetto shadow banning tanto criticato da Weiss a danno di un utente che da anni traccia i movimenti del jet privato del multimiliardario.
[di Walter Ferri]